La tragedia dei beni comuni

1 Febbraio 2011

cubeddu

Mario Cubeddu

Un comitato sardo, sorto per rivendicare che l’acqua è un bene di tutti, fa giustamente dell’opposizione all’ambito unico di gestione dell’acqua, della proposta di ambiti più ristretti di governo della risorsa idrica,  una “questione di democrazia”. Le risorse comuni sono gestite al meglio e con minorisprechi se possono essere controllate dalla democrazia di base. I beni comuni danno anche fondamento a qualsiasi discorso di eguaglianza tra gli uomini. Per beni comuni a ciascun essere vivente sulla terra, dal minimo organismo agli esseri complessi, le piante, gli animali, l’uomo, si intendono anzitutto la terra che ci sostenta. E l’acqua, le varie fonti energetiche, i minerali e l’aria. Siamo sempre lì: terra, acqua, fuoco, aria.
I beni comuni hanno consentito e consentono la vita sulla terra. Sono a disposizione di tutti per rendere migliore la vita di ciascuno. Nella società tradizionale questo era più o meno scontato ed era senso comune: la terra appartiene a tutti, come i frutti spontanei del mondo animale e della vegetazione. Questa concezione sopravvive oggi, e non casualmente, solo a vantaggio del cacciatore, l’uomo qualunque fornito di un’arma. A lui è consentito l’accesso alla terra e il prelievo da essa, negato a tutti gli altri pacifici cittadini non armati. E questo omaggio all’uomo armato non esiste solo negli USA, ma è ben presente nella pacifica e costituzionale Italia delle potenti associazione di cacciatori di destra e di sinistra. L’allungamento del calendario venatorio sardo provoca solo le proteste dei soliti patetici ambientalisti. I politici “seri”, di ogni parte, approvano per non perdere voti.  Il possesso e il godimento comune della terra è rimasto sullo sfondo delle proposte moderne di ripristino e conquista dell’eguaglianza tra gli uomini. In primo piano c’era la gestione egualitaria dei mezzi di produzione sul fronte più avanzato della modernità, quello della fabbrica. Agli ex contadini, diventati da servi della gleba uomini liberi grazie alla rivoluzione industriale e alla lotta di classe vittoriosa trasportata dalla fabbrica allo Stato, sarebbe spettato il compito di trasformare i “solchi bagnati di servo sudor” in un “locus amoenus” a disposizione della classe lavoratrice liberata.  Intanto si trascurava il “paradiso possibile”, la conquiste di una politica che avrebbe potuto rendere migliore la vita degli uomini qui ed ora. Le strutture di eguaglianza esistenti nel mondo tradizionale non hanno costituito una base per lo sviluppo, ma sono diventate un problema ulteriore, in aggiunta alla dipendenza e all’asservimento.
La questione dei beni comuni riguarda in primo luogo le realtà che arrivano a confrontarsi con il mondo sviluppato avendo conservato strutture appartenenti al passato, quali appunto la comunanza di beni essenziali. Il lungo e drammatico percorso della storia europea ha fatto sì che il processo di frantumazione e privatizzazione dei beni comuni si sia sviluppato nel corso dei secoli e sia stato in sostanza assorbito e metabolizzato. Lo stesso non è avvenuto nei paesi in via di sviluppo, e non è avvenuto allo stesso modo in Sardegna. Qui i beni comuni fanno ancora parte della vita di molte persone. In Africa nessuno era proprietario di milioni di ettari di deserto, savana, foresta. Una parte era stata requisita indebitamente da coloni provenienti dai paesi colonizzatori, come in Somalia, in Libia, in Etiopia, per restare all’esperienza italiana.  Solo dopo l’indipendenza le borghesie locali si sono impadronite della terra per privatizzarla e arricchirsi a spese del popolo che aveva dato loro il potere. E’ un  processo in corso che dice molto sulle vicende difficili degli Stati postcoloniali. Nella Sardegna spopolata succede qualcosa di simile. I comuni sardi, cioè i cittadini sardi, sono proprietari di decine di migliaia di ettari di terra, un residuo di beni comuni che ancora molti cittadini posseggono come patrimonio collettivo. Diventano in genere terra di nessuno, campo per esercizi di appropriazione abusiva e di ogni forma di prepotenza. In altre regioni d’Italia sono invece fonte di benessere e strumento di democrazia comunitaria.
Molti paesi sardi avevano portato avanti una politica corretta di utilizzo delle proprie sorgenti e gestivano la distribuzione dell’acqua a beneficio dei propri  cittadini. Purtroppo molto spesso le preoccupazioni si fermavano al momento in cui l’acqua scendeva dai rubinetti, senza provvedere alla fase successiva della depurazione e della tutela del territorio. Sino ad oggi le forze della sinistra sarda hanno mostrato evidenti difficoltà a confrontarsi con la gestione delle terre pubbliche e degli altri beni comuni. “Abba libera”, se non ricordiamo male, è uno slogan lanciato dall’IRS quando ancora a tutti sembrava andar bene la privatizzazione dell’acqua nell’isola. Sulle terre comuni poco si è fatto. E’ anzi pratica diffusa tra le amministrazioni di sinistra quella di liberarsi appena possibile dei vincoli di “uso civico” ancora esistenti.
La situazione dei beni comuni in Sardegna è veramente drammatica, soprattutto perché distruzione e sperpero si consumano nell’indifferenza. L’inquinamento della costa da Stintino a Santa Teresa di Gallura ha faticato a conquistare la prima pagina dei notiziari regionali, mentre è stata ignorata da quelli nazionali. I danni provocati dall’inquinamento industriale sono considerati da tutti uno scotto da pagare al progresso. Appare sempre più chiaro che la questione dei beni comuni è anzitutto questione di democrazia. La facilità e la rapidità della comunicazione rende oggi possibile l’informazione di tutti, o quasi, e quindi il coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni. Questi strumenti sono invece usati perlopiù per distrarre e divertire, non per dare più potere all’uomo comune. In tutto il mondo i giovani hanno una preparazione culturale sufficiente a capire, a responsabilizzarsi, a decidere. Il tema dell’uso dei beni comuni a vantaggio di tutti può costituire la base di una politica che ridia a tutti gli uomini il governo delle cose che a tutti appartengono.

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI