L’Araba fenice

16 Settembre 2009

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Marcello Madau

Così mi appare la questione meridionale. Ogni tanto sparisce, e ricompare. Dell’araba fenice ha il distinto sentore mediterraneo, ma nella ricomparsa non vi sono aspetti magici: piuttosto la sgradevole scomodità di un ospite ingombrante e mai veramente gradito.
La pesante sopraffazione subita nella modernità dal Mezzogiorno a causa del capitalismo settentrionale forse ha, in questa dura contingenza storica, un’importante occasione di lotta: proprio ora che tutto sembra così difficile porge, dai suoi territori assolati e meridiani, spunti, indicazioni e potenzialità globali che meritano ben altro che una colta indagine conoscitiva, e dovrebbero trasformarsi in politica.
Sono grandi la natura e il ruolo dei beni culturali e delle forme del paesaggio (esse stesse beni culturali), collettivi per essenza storica. Territori lucani, pugliesi, sardi, campani, calabresi, siciliani, laziali, abruzzesi e molisani, particolarmente ricchi dovunque la modernizzazione agricola e industriale nei secoli non abbia piallato le testimonianze storiche ed archeologiche e annichilito le culture orali. Un gigantesco bene comune capace di dare un respiro, una ricchezza e una prospettiva futura che non possiamo perdere. Un patrimonio che viene quasi unicamente speso in maniera difensiva (sempre più precaria, visto l’indebolirsi strutturale del sistema nazionale della tutela) oppure declinato in sagre, fiere e ‘itinerari’ generalmente di maniera.
Penso alle testimonianze più preziose della preistoria e della storia: giacimenti e rotte dell’ossidiana (Palmarola, Lipari, Sardegna), il periodo nuragico, rotte e stanziamenti di micenei, fenici, greci. Megale Hellas, Magna Grecia. Le bellezze, dense e particolari, dei paesaggi costieri e interni di ogni regione del mezzogiorno, ognuna ricucita a suo modo da un mare nostrum alle regioni dell’Africa costiera, di Egitto, Egeo, Vicino Oriente.
Sono lunghi millenni di vicende e destini via via differenziatisi con il cosiddetto avvento della storia ovvero della proprietà privata, talora unificati da imperi e regni, talaltra divisi da resistenze, ribellioni, banditi e briganti. E, sullo sfondo antico, una matrice trasversale ai territori che si riconosce nelle comunità agricole del neolitico e nell’immaginario contadino di lunga durata – pur se maschile – della donna ‘madre mediterranea’.
Si restituiscono più che altrove tracce reticolari, racconti che si cristallizzano – cristalli fragili – nei paesaggi culturali, quelli che parlano della storia dell’uomo e della natura, nella loro reciproca azione. Risorse storiche, se interrogate nei documenti, preziose per la comprensione del punto al quale siamo arrivati, che contengono, comprendono e rivelano il perché delle cose, il maturare ed il formarsi degli eventi.
Ma perché lo spazio dei paesaggi culturali come ‘una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni’ (Convenzione Europea del Paesaggio, art. 1a) non diventi – come è stato correttamente notato da Vezio de Lucia – arbitrario, la battaglia non può che essere a favore di norme generali di tutela che li riconoscano allo ‘stesso modo’ ovunque, che sappiano costruire una diversa politica dell’abitare e del rispetto dei ‘vuoti’ e dei racconti paesaggistici.
I racconti delle identità emergono quasi come una curiosa vendetta, dalle vaste aree del cosiddetto ‘sottosviluppo’ risparmiate dalla modernizzazione agricola e industriale incompiuta o assente, che ora consegnano identità parlanti altrove mute, vere e non basate su volgari guerrieri immaginari provenienti da Giussano.
Nella difesa del paesaggio terreno e marino il Meridione, particolarmente esposto alla ‘deregulation’ della tutela, mi sembra possa essere avanguardia, avamposto, piano alternativo, se unitario, allo squallore neo-liberista. Le decine migliaia di cristalli più o meno fragili, ma tutti essenziali, sono ostacolo decisivo, nella tutela e valorizzazione generali, ai grandi predoni del territorio del terzo millennio.
Non è infatti un caso che i più grandi affari si giochino nel Mezzogiorno: appalti di opere pubbliche, prelievo, rendita: aumento delle volumetrie (particolare l’esposizione delle coste sarde, ma non solo), il Ponte sullo Stretto di Messina, le pattumiere industriali-militari con il grande affare delle scorie e i termovalorizzatori. Se capita l’occasione, le new towns sulle sventure altrui (non si era ancora assestato il terremoto, che già Ghedini, in una puntata di Anno Zero, presentava il plastico di L’Aquila-2).
Franco Cassano nel suo ‘Pensiero Meridiano’ sottolineava il valore del nostro mare caldo e avvolgente. Questo mare che restituisce relitti di ogni epoca e prodigiosi bronzi greci e fenici, sta rivelando innominabili carichi di veleni radioattivi.
In Sardegna si vuole destinare a pattumiera nucleare la terra riarsa e generosa che ha restituito le statue colossali di Monti Prama, le delicate tracce neolitiche all’isola di S. Stefano e generato Orroli e Barumini.
I gossip sul premier e sui drive-in di uomini e donne del suo corteggio offuscano in realtà la ragione della sfida odierna, la rinnovata aggressione, di inusitata violenza, al territorio e in particolare al Mezzogiorno d’Italia, finanziariamente supportata, si pensa, dalle ‘nuove’ alchimie creative di Giulio Tremonti.
Intanto un nuovo fascismo razzista, sociale e di Stato, si esercita nel respingimento inumano di altri, nuovi meridionali, si accanisce su ‘diversi’ come rom, albanesi, omosessuali. Come un tempo. Né è un caso che l’attacco al sistema pubblico della conoscenza colpisca duramente a Mezzogiorno, dove sarebbe assai opportuno che le Università si ribellassero al destino di cinghie produttive di questo processo, per difendere e sviluppare piuttosto l’autonomia della conoscenza e il suo legame stretto con la cura sostenibile dei luoghi.

Quanti a sinistra, più che dubbiosi, scettici, contrari alle ‘magnifiche sorti e progressive’ dell’industrialismo – e che industrialismo poi! – nel Mezzogiorno, sono stati considerati non in linea con la classe operaia?
Mentre la classe operaia del nord che doveva liberare i contadini del Sud (e magari allearsi con i nostri operai) pare essersi sottratta al compito storico che affascinò Antonio Gramsci, l’esigenza di salvare e documentare in maniera attiva e partecipata tale ricchezza può diventare essa stessa liberazione per il nord e per l’Italia.
Sono perciò convinto che la battaglia meridionale per difendere i territori della cultura e del paesaggio, assieme al godimento dei beni comuni e ad una elevata qualità della vita, sia una battaglia centrale irrinunciabile, non marginale. Che la sinistra si giochi su di essa la propria sopravvivenza.
L’araba fenice della questione meridionale riemerge, con maggiore forza, sulle ceneri di vecchi soggetti non più propulsivi: all’interno delle comunità che devono poter decidere sui propri destini e territori, i produttori di un’agricoltura e di una pastorizia pulita e consapevole, di energie rinnovabili per natura, assieme alle nuove generazioni della conoscenza e delle sue reti, possono dire la propria.

1 Commento a “L’Araba fenice”

  1. Marcello Madau scrive:

    Ieri, e non è la prima volta, abbiamo subito una pesante e volgare aggressione informatica, che si è sovrapposta a parte dellle nostre pagine, in linea con le pratiche particolarmente note in questi ultimi mesi. Se il prodotto veicolato identifica gli aneliti celoduristi di chi periodicamente attacca il nostro sito, questa ci sembra una forma che partecipa all’attacco generale alla libertà di informazione. I lettori ora possono riavvicinarsi al sito. A parte le misure tecniche che si sono rese necessarie, mi colpisce la coincidenza di tali attacchi con particolari fasi politiche e specifiche iniziative nostre. Soprattutto rivolte alla critica del neo-fascismo e razzismo di stampo leghista. E oggi viene presentata la fiction sul Carroccio e Barbarossa voluta da Bossi e girata non a Legnano, ma in Romania, con meno costoso personale romeno. Il nostro contributo al dibattito sta nelle notti padane che vi proponiamo da qualche mese, nella battaglia per la democrazia e la ‘questione meridionale, nel chiedere una riflessione sull’immaginario Alberto da Giussano. Alla prossima.

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