L’arcivescovo Arrigo Miglio risponde a Gianni Loy
2 Gennaio 2016Arrigo Miglio
Pubblichiamo la risposta dell’arcivescovo Arrigo Miglio alla lettera aperta scritta da Gianni Loy (Red).
Caro Gianni,
grazie della simpatica provocazione pubblicata su questo giornale l’11 u.s. e che correttamente mi avevi anticipato.
Provo a dare qualche elemento di risposta, parziale, con l’auspicio che il dialogo possa continuare e approfondirsi con tutti coloro che condividono la medesima sensibilità.
Premesso che autorizzare la traduzione dei libri liturgici (messale e lezionario) è cosa riservata alla S. Sede, va subito detto che la meta non è irraggiungibile: occorre compiere un itinerario, come ad es. hanno fatto da anni i Friulani.
Devo però anche subito scusarmi per le imprecisioni, inevitabili per uno come me che viene da fuori, da una regione dove questo stesso problema esiste ma è sentito da una cerchia ristretta di persone, vuoi per la molteplicità delle parlate piemontesi vuoi per la composizione variegata della popolazione.
Sono però molto interessato al problema da te affrontato perché ho avuto modo tante volte di vedere e sentire come la lingua sarda sappia esprimere bene la religiosità e la pietà popolare dei sardi. Ma sono interessato anche perché mi affascina il mistero della Parola, che uscita dal seno del Padre si è incarnata e inculturata in Israele e nella lingua ebraica, ma è destinata a raggiungere tutti i popoli e le loro culture fino ai confini della terra.
E ogni volta che una parola passa da una lingua all’altra, ciascuna traduzione svela qualche aspetto nuovo del termine tradotto, arricchendone il messaggio. Pensiamo ad es. al termine stesso Parola – in latino Verbum – in greco Logos – in ebraico Davar – in aramaico Memra. O al termine Misericordia – in greco Eléos – in ebraico Hésèd – Rahamîm. Ed è altrettanto vero che alcune parole sono rimaste non tradotte: Amen – Alleluia – Hosanna per l’ebraico – Christòs per il greco ecc.
Tornando a noi, un passo importante è quello di avere tutta la Bibbia in sardo, perché la gran parte dei testi liturgici è presa dalla Bibbia. A dire il vero è stato già fatto un grande lavoro nel passato e avviata la traduzione della Bibbia nelle due varietà di Campidanese e Logudorese, da cui prendere i testi liturgici. Sono pronte in bozza le traduzioni di 21 libri della Bibbia per la varietà campidanese e di 10 per quella logudorese. Il lavoro si è interrotto intorno all’anno 2000, in seguito alla Legge Regionale sulla Lingua comune che sembrava considerare superata l’impostazione data al lavoro. Il materiale prodotto è conservato dalla Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, che era stata incaricata dalla CES di curare l’intero lavoro.
Altro passo importante mi pare quello di ampliare l’uso di testi sardi nella liturgia e nella pietà popolare: c’è il Rosario con il Padre nostro e l’Ave Maria (il Gloria è rimasto in latino), i canti natalizi e della Settimana Santa, i Goccius e altri. Vari cori parrocchiali possono testimoniare la mia insistenza perché siano più usati i canti sardi.
Per i testi del Messale e del Lezionario la prudenza della S. Sede va capita. Lex orandi è lex credendi, e siccome il proverbio dice che traduttore può essere anche traditore, ecco la cautela nel curare i testi che esprimono la fede ricevuta. Inoltre, la liturgia è patrimonio di tutta la Chiesa e non è di una sola comunità.
Ma, ripeto, è un percorso che si può compiere e che assolutamente io riterrei utile dal punto di vista pastorale e culturale. Su quest’ultimo aspetto conta molto di più il parere dei vescovi nati e cresciuti in Sardegna. Questo incoraggiamento, tuttavia, non può essere interpretato come un avallo a passi che non compete ai vescovi autorizzare. Ma gli ambiti dove poter lavorare non sono pochi, e proprio partendo da questi sarà possibile compiere i passi successivi.
Con viva cordialità,
Arrigo Miglio