L’Asinara, Tuvixeddu e gli ulivi giapponesi

1 Agosto 2010

asinara

Marcello Madau

La traversata verso Fornelli è breve. La linea edificata della costa fin verso il Capo Falcone fa impressione, si interrompe con l’isola Piana ma sembra separata da un filo che vorremmo più solido. Vi sono molte visite: barche private, catamarani, linee per turisti.
La strada è accidentata, il paesaggio sublime. Mi fanno scoprire i preziosi e rari cespugli di Centaurea Horrida (è protetta dalla Convenzione di Berna), mentre le rovine raccontano storie molteplici, antiche e molto recenti.
Vorrei non essere pessimista, attraversando un’isola – pur nelle sue lacerazioni – così speciale come l’Asinara, e pensare che questa volta il paesaggio verrà tutelato, magari perché siamo ancora in tempo per farlo. La sensazione è che il Parco Nazionale sia in movimento, c’è chi ci crede e opera con passione e sacrificio, nonostante la politica, a destra come a sinistra, faccia di tutto per indebolire il Parco. La destra da sempre non lo vuole, lo sappiamo. Ci farebbe altri venti Hotel Rocca Ruja. Ma anche Renato Soru si è esercitato con perizia nell’attacco al concetto stesso di Parco Nazionale.
In questi giorni poi si è scoperta un’opera a tutti (?) ignota: pare che l’ordine di fare la gigantesca piattaforma radar-militare risalga al 2007. Segreto in divisa, probabilmente anch’esso bipartisan. Ma le betoniere, almeno per ora, sono state rispedite in continente.
La gente accorre al richiamo dell’isola, e nella Sardegna del turismo e del mare impara che il turismo non è un mondo separato grazie alla presenza scandalosa degli operai della Vinyls, che resistono, con fatica sempre maggiore e notizie sempre meno confortanti dall’ENI e dal governo. Perciò in questo torrido agosto l’attenzione non deve cedere, ma crescere, ed è bello che il Festival ‘Pensieri e Parole’ organizzato da Sante Maurizi ed Antonello Grimaldi ne includa la storia e la presenza. Ci giuriamo quasi sottovoce di provare ad andare oltre la corrente mediatica, che ancora si muove.
Molta gente conosce l’Asinara tramite il messaggio dell’Isola dei Cassintegrati (ecco il loro sito). Ed è spiacevole la sensazione che ciò dia fastidio anche a chi, molto da vicino, non vede ora che l’isola sia senza vincoli.
La scelta verso il turismo di elite anche qua sembra difficilmente resistibile. Lo sviluppo sostenibile, l’agricoltura biologica, i prodotti del Parco da far crescere e vendere, seguendo la storia ambientale e una terra che può dare, è tema poco coltivato. Cubature, da costruire o da riadattare, purchè siano.
Mi dicono che l’ idea di un parco senza alberghi, vero santuario della biodiversità marina, terrestre ed aerea, ad alto tasso di impegno scientifico e didattico, da mostrare sotto l’egida dell’UNESCO a tutte le scuole e gli studiosi del mondo diventando una grande risorsa economica duratura, su cento torresini non ne avrebbe uno a favore. E non molti di più tra i sardi. Magari sono malignità, ma si sorride definendola utopia: invettiva adatta ad evitare rischi. Eppure sarebbe economia ambientale e sostenibile, da altre parti insegnata, teorizzata e praticata. Ma forse è per questo che non si coglie il valore e il significato di Parco Nazionale, e tutti ci compattiamo, in colpa e in dolo, con il federalismo truffaldino di marca leghista per non andare oltre il cortile di casa.
Sarà difficile togliere un’occasione così ghiotta al popolo e allo speculatore. Al colonialismo classico e a quello interno.
Ritorno a Stintino. Il viaggio è così breve che non capisco se la striscia di cemento che parte da Capo Falcone non sia iniziata da Punta dello Scorno.

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Due buone notizie vengono da Cagliari, o per lo meno due speranze si riaprono. Il nuovo Soprintendente archeologo di Cagliari, Marco Minoja, ha riaperto la questione dell’anfiteatro, dicendo quello che alcuni di noi – nonostante il qualunquismo della fascinazione pittoresca di una serata musicale fra (le poco visibili) rovine romane – dicono da anni (vedi il nostro pezzo del 2007). Non possiamo che plaudire ad un’ attenzione istituzionale che davvero appare ‘merce rara’.
La sistemazione per i concerti ha danneggiato l’insigne monumento penetrando nella pietra, frantumandola ed esponendola a danni gravissimi. Ora tutto dovrà essere smontato, risanato e comunque, nel caso di autorizzazione per i concerti, sottoposto ad un parere ci auguriamo più arcigno dell’Ente di Tutela e a misure davvero ispirate al concetto di reversibilità.
Pur tuttavia continuiamo a pensare che una società contemporanea evoluta debba avere e costruire i propri luoghi per lo spettacolo. Il prezioso anfiteatro va restituito alla sua natura di eccellente monumento archeologico, al massimo funzionare da fondale, e non da contenitore, di intere stagioni musicali.
L’altra notizia riguarda Tuvixeddu (potete selezionare e scaricare il nostro dossier nella barra a destra della Home page), dove la battaglia non è ancora definitivamente perduta. Il Consiglio di Stato, respingendo le ultime argomentazioni di Comune di Cagliari e costruttori di Coimpresa ha richiesto un supplemento di indagine per verificare la congruenza dei dispositivi del PPR sui colli, anche alla luce dei nuovi rinvenimenti. Le relazioni sono state chieste alla Soprintendenza Archeologica di Cagliari e Oristano e alla Regione (auguri). Ma, come abbiamo avuto modo di sottolineare altre volte, nessun ottimismo nè trionfalismo è ammesso. Le costruzioni nell’area sembrano correre veloci, e della famosa ‘acquisizione’ pubblica non si sa più nulla.

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Anche nella progressista Sassari il rapporto urbanistica/beni culturali (si veda la pessima sistemazione del Pozzo di Rena nell’Emiciclo Garibaldi) sembra avere ampi margini di miglioramento. Pure quella fra urbanistica e ambiente.
Aggirandomi con mio figlio nella bella ‘notte bianca’ promossa dal Comune, ho visto l’accattivante sistemazione di Piazza Azuni, con un prato e due ulivi. L’abbiamo, in due, pensata temporanea: io non credendo ad altre possibilità, mio figlio per potersi rotolare (dopo aver avuto l’ok di qualche organizzatore) nell’erba. Ma un giovane saccente spalleggiato dalla genitrice mi ha invitato a compiere il mio dovere di padre, e quindi proibire ogni contatto con il verde.
“Sa, ci sono soltanto cinquanta centimetri di terra”.
Fortunatamente sulla Nuova Sardegna una lettera indignata di Ignazio Camarda, professore ordinario di Botanica all’Università di Sassari (leggetela selezionando il seguente collegamento: Olivi Piazza Azuni) ha denunciato la pessima iniziativa e censurato, notandola, la trasformazione dell’olivo da pianta produttiva a pianta ornamentale; dando peraltro la notizia che gli ulivi messi in Piazza Azuni provengono dalla Spagna e hanno quattrocento anni (forse quelli che allora rimasero agli spagnoli dopo aver avviato l’olivicoltura moderna nell’isola).
Siccome non crediamo che la giunta di centro-sinistra, recentemente più che vincente sul centro-destra, sia stata presa da una forte nostalgia ulivista, mi pare che la morale sia più o meno questa: si distruggono le fasce olivetate, si fanno città senza verde, poi ci laviamo la coscienza, e magari ci sentiamo pure un po’ ambientalisti, mettendo un prato senza terra e alcuni olivi secolari scapitozzati presi da un’altra parte. Noi ci auguriamo davvero che il sindaco Ganau abbandoni un’iniziativa (certo pensata in buona fede) che sta a metà strada fra l’idea dello zoo e quella dei distintivi degli animali scomparsi che portano i bambini giapponesi.
Siccome i soldi sono stati spesi si potrebbero far girare prati e olivi in altre piazze presentandoli con questo slogan: “difendiamo gli olivi del territorio in modo che non diventino mai piante ornamentali”.

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