Lazzarato e le nuove modalità di governo dell’economia capitalistica

1 Giugno 2020

Nella foto: Maurizio Lazzarato

[Gianfranco Sabattini]

Dopo la Grande Recessione del 2007/2008, nei sistemi capitalistici ad economia di mercato si è affermato un nuovo “meccanismo” di appropriazione/espropriazione della ricchezza, del prodotto sociale e delle procedure democratiche di governo dell’economia, che ha avuto il suo antecedente in quello affermatosi negli anni Settanta del secolo scorso. Anche allora, infatti, come afferma Maurizio Lazzarato in “Il governo dell’uomo indebitato”, il processo di appropriazione/espropriazione sul piano distributivo era andato di pari passo con quello svoltosi sul piano politico, in quanto aveva “colpito” anche le modalità di governo democratico dei sistemi capitalistici.

L’origine di questo fenomeno, ricorda lo stesso Lazzarato, è riassumibile nell’affermazione dell’economista liberale Joseph Stiglitz, secondo il quale l’approfondimento degli squilibri distributivi verificatisi dopo gli anni Settanta era da ricondursi alla nuova ideologia neoliberista, che era riuscita a far prevalere (nel funzionamento del sistema economico degli Stati Uniti – Paese neoliberista per eccellenza – “un governo dell’1%, per l’1%, con l’1%”. Ciò in considerazione del fatto che negli Stati Uniti, nel corso dell’ultimo trentennio del secolo scorso, l’1% degli americani era riuscito ad accumulare nelle proprie mani il 40% della ricchezza del Paese; cosicché, mentre il 90% dell’intera popolazione aveva visto i propri redditi aumentare solo del 15%, l’1% più ricco aveva “assistito all’esplosione del proprio reddito […], aumentato di 150 volte”.

Le istituzioni di gran parte dei Paesi capitalistici, secondo Lazzarato, legittimando questo primo processo economico e politico di appropriazione/espropriazione, hanno dato origine al sopraggiungere della crisi mondiale del 2007/2008; questa, a sua volta, ha legittimato “una seconda grande appropriazione attraverso le politiche di austerità”, la cui funzione doveva essere quella “di rimettere in ordine” i conti pubblici dissestati degli anni precedenti, per rilanciare la crescita e la produzione attraverso lo strumento dell’imposta, divenuta la nuova leva strategica in grado di assicurare nuove e più efficienti modalità del funzionamento dei sistemi capitalistici.

Secondo qualunque teoria economica, sia essa ortodossa o eretica, tutto comincia – sostiene Lazzarato – con la produzione, cui consegue l’esercizio della funzione impositiva, sulla quale è fondato l’esercizio di quella distributiva. Laddove avviene il contrario, la distribuzione è ben lontana dal dipendere dalla produzione realizzata attraverso il contributo dei diversi fattori produttivi alla sua formazione; in questo caso, è la distribuzione il presupposto della produzione. Nel capitalismo ortodosso, la distribuzione del prodotto sociale avviene “attraverso l’azione di un meccanismo di cattura” che fa capo al profitto, al salario, alla rendita e all’imposta, secondo un ordine, continua Lazzarato, che varia a seconda delle contingenze proprie delle varie fasi evolutive del modo capitalistico di produrre.

Se fino agli anni Settanta del secolo scorso sono stati il profitto e (in subordine) il salario a svolgere un ruolo centrale nel processo di distribuzione del prodotto sociale, con l’avvento dell’ideologia neoliberista il rapporto si è rovesciato, nel senso che a prevalere sono state la rendita (soprattutto finanziaria) e l’imposta. Ma con la crisi del debito sovrano, all’origine della Grande Recessione del 2007/2008, il rapporto gerarchico tra profitto, salario, rendita e imposta è ancora cambiato: ad occupare il primo posto fra gli elementi regolatori del processo distributivo è stata l’imposta. Ciò ha determinato un cambiamento radicale riguardo al modo tradizionale di governare il funzionamento dei sistemi capitalistici, imponendo la necessità di mutare l’ordine gerarchico degli elementi che presiedono alle modalità di svolgimento del processo distributivo.

A parere di Lazzarato, tale mutamento ha implicato che a provvedere all’organizzazione della produzione non siano più gli imprenditori e i lavoratori, ma la moneta e l’imposta. Per l’economia tradizionale, la moneta è sempre stato il mezzo intermediario che consentiva di coordinare le decisioni degli imprenditori con quelle dei lavoratori, mentre l’imposta era un prelievo pubblico di una parte del prodotto sociale per provvedere al costo di funzionamento dello Stato e soddisfare finalità ridistributive. Nell’economia tradizionale, sia la quantità di moneta da immettere in circolazione, sia il livello dell’imposta erano decisi dal mercato; al contrario, nell’economia neoliberale, sono la moneta e l’imposta a fondare il mercato, dando loro così una dimensione di natura politica.

La dimensione politica del mercato “emerge con prepotenza – osserva Lazzarato – non appena crollano i suoi automatismi”. Apparentemente, il regime proprietario dei fattori produttivi cessa di essere di natura privata, per divenire di natura pubblica, poiché è lo Stato a stabilire la quantità di moneta da immettere in circolazione e la misura dell’imposta. Ciò fa sì che sia difficile distinguere la vera natura della proprietà, poiché ciò che lo Stato raccoglie attraverso l’imposizione va direttamente alle banche e ai titolari di conti bancari in quanto creditori, tutti “annidati” nella sfera del privato. Nell’economia neoliberista, infatti, moneta ed imposta dipendono, per Lazzarato, da un “dispositivo di potere” (Stato nazionale o Istituzioni transnazionali) che “fanno da incipit ai rapporti economici”, determinando le nuove modalità di distribuzione del prodotto sociale. Persino la fase ultima del capitalismo tradizionale, il fordismo, ha cessato di prendere le mosse dal mercato per determinare le modalità di funzionamento del sistema economico, per renderle (a partire dal governo della moneta e dall’imposta) conseguenti a decisioni di natura politica.

Anche il governo del sistema economico “di stampo keynesiano”, volto a rimuovere le forme di appropriazione improduttiva del prodotto sociale (attraverso l’eliminazione della rendita), avviene con l’attuazione di politiche monetarie e fiscali nascenti da decisioni politiche, finalizzate alla promozione della valorizzazione del capitale, per assicurare costanti livelli di occupazione della forza lavoro e nuove forme di ridistribuzione del prodotto sociale attraverso il sistema di protezione sociale del welfare State.

Con il passaggio al post-fordismo (cioè all’economia neoliberista), la funzione keynesiana della moneta e dell’imposizione fiscale è stata rovesciata, in quanto, anziché rimuovere la rendita, la incentiva, con la privatizzazione di gran parte di ciò che il welfare realizzato nel periodo di gestione del sistema economico dell’epoca fordista aveva socializzato. Nell’economia neoliberista, infatti, è cambiata la natura del welfare; la sua crescente incidenza nella determinazione della distribuzione del prodotto sociale ha cessato, come hanno sempre sostenuto i liberali, d’essere un ostacolo all’aumento della produzione e della crescita, per diventare, per Lazzarato, la condizione necessaria per fondare un altro tipo di economia, alternativa a quella sperimentata nelle fasi precedenti del capitalismo.

Alla luce della “nuova economia neoliberista”, possono essere allora spiegate, osserva Lazzarato, le modalità con cui sono stati governati i sistemi economici (in particolare quelli gravati di un eccesso di debito pubblico) a partire da quanto è accaduto dopo la crisi del 2007/2008: è stato l’”apparato di cattura dell’imposta” a garantire l’organizzazione della produzione alla quale il mercato non era più in grado di provvedere. Con la decisione che a pagare il prezzo della crisi fossero i cittadini non responsabili del suo scoppio e che le risorse raccolte con la pressione fiscale dovessero essere prevalentemente indirizzate verso i creditori e le banche (che, invece, erano i principali responsabili della crisi), lo Stato – nota Lazzarato – ha garantito con l’imposta la riproduzione politica del profitto, per cui la distribuzione del gettito fiscale non è “sfociata” in una nuova crescita e in una nuova accumulazione. Di conseguenza, il rimborso del debito non è avvenuto a valere sulla produzione di nuova ricchezza, ma sui redditi correnti determinati dalla distribuzione discrezionale del gettito dell’imposta.

La logica neoliberista di funzionamento dei sistemi economici (soprattutto di quelli in crisi) implica perciò che, quando il mercato non funziona (perchè la crescita è bassa o perché sono frequenti le situazioni di instabilità nascenti dall’eccessiva conflittualità fra i gruppi titolari dei fattori produttivi in sede di distribuzione del prodotto sociale), la responsabilità sia da attribuire alla società, va cambiata perché sia conforme alla “nuova economia”. Da qui originano – a parere di Lazzarato – “le contro-riforme del mercato del lavoro, i tagli alle spese sociali, la diminuzione e il blocco dei salari, l’aumento della tassazione dei più poveri e delle classi medie”. Al fine di allineare società e democrazia alla valorizzazione del capitale, i neoliberisti sono giunti persino a fare accogliere dallo Stato misure illiberali, non esitando a proporre misure politiche volte a realizzare forme di governo autoritarie post-democratiche.

E’ possibile – si chiede Lazzarato – riscattare la società dalle “pastoie” della nuova economia neoliberista? E’ possibile solo attraverso una mobilitazione della protesta sociale “in grado di porre le condizioni di nuove possibilità di espressione, di nuove prese di parola, di pratiche democratiche”. Perché si affermi una nuova soggettivazione, si ha però bisogno di “un tempo di rottura, di un blocco della ‘mobilitazione generale’ che faccia emergere un tempo di sospensione, un tempo dell’ozio”. L’ozio, però, sottolinea Lazzarato, non deve essere semplicemente una “non azione”; esso deve tradursi in “una presa di posizione rispetto alle condizioni di esistenza nella società capitalistica”, da esprimersi attraverso la protesta sociale.

Per uscire dai limiti dell’economia capitalistica – conclude Lazzarato – la protesta sociale deve affermare il “bisogno di un altro modo di vivere il tempo”. Se per il capitalista il tempo è denaro, per l’ozioso il capitale a sua disposizione deve essere il tempo, necessario per trasformare il capitale stesso in nuove modalità organizzative della società, tenendo presente che, a tal fine, occorreranno “non soltanto delle nuove lotte, ma anche dei nuovi processi di soggettivazione”.

In tutta la sua analisi, Lazzarato si avvale prevalentemente di idee di autori la cui critica della modernità e della società economica contemporanea si è limitata a “destrutturate” quanto di positivo l’umanità ha sinora realizzato per migliorare le proprie condizioni di vita. Ciò ovviamente non significa che le attuali modalità del vivere insieme debbano andare esenti da ogni critica; ma quella radicale espressa da Lazzarato non può limitarsi a sottolineare solo la necessità di una mobilitazione sociale: essa deve anche predire l’architettura di ciò che la protesta propone come alternativa alle realizzazioni del passato oggetto di critica. A tal fine, non basta limitarsi, come fa Lazzarato, a sottolineare che scopo della critica e della protesta deve essere solo quello di promuovere una maggiore soggettività, la quale, senza il supporto organizzativo di quanto è necessario per renderla operante, rischia di tradursi on un’improponibile utopia.

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