Le cine(pre)se puntate sull’Oriente
1 Dicembre 2012Francesco Mattana
Intervista a Sergio Basso. Apolidi si diventa, non si nasce. Sergio Basso, nato a Milano 37 anni fa, matura con gli anni una sensibilità cosmopolita. Alla Ca’ Foscari di Venezia studia Lingue e letterature Orientali. La fascinazione per la Cina risale a quegli anni. “La Cina è vicina” è un motto che sicuramente Basso ha fatto proprio. La rivolta di via Sarpi nel 2007 gli ispira l’idea di raccontare la ‘Chinatown’ milanese: un microcosmo meritevole di essere approfondito.
In Giallo a Milano racconti la comunità cinese a Milano. Che insegnamento ne hai tratto?
Ho scoperto che l’immigrato è una persona che parte dalla sua terra con un sogno: in quanto tale è identico a noi. Quando l’immigrato si accorge che non ce l’ha fatta, a quel punto abbiamo a che fare con un uomo a pezzi, che si sbriciola giorno dopo giorno.
Perché gli italiani sono così diffidenti verso i cinesi?
C’è una sorta di rimozione: la maggioranza degli italiani non vuole accettare l’entrata dell’Asia in Europa. Un po’ come Romolo Augustolo che chiudeva gli occhi di fronte all’avanzata dei Goti. C’è un oblio collettivo che ci porta a dire “Quando la Cina avrà il primato”. Errore: la Cina ha già il primato.
E i milanesi perché hanno un atteggiamento così circospetto?
Guardiamo al passato prossimo di questa città: ai milanesi stavano antipatici i pugliesi perché non lavoravano. Ora gli stanno antipatici i cinesi perché lavorano troppo. Sarà mica che il problema sono i milanesi?
Qual è lo stato di salute del documentario in Italia?
Sono pochi gli spazi televisivi in cui il genere trova ospitalità. Si privilegiano i documentari naturalistici (animali, paesaggi): hanno un’importanza divulgativa, ma non bisogna concentrarsi solo su quello. Oltretutto un buon documentario sociale si può fare con un budget basso: bastano 6000 euro.
E chi sono i responsabili su cui puntare l’indice?
Ci vorrebbe maggiore attenzione da parte degli operatori culturali del cinema. I critici preparati ci sono, ma dovrebbero farsi carico della visibilità del film. Il fatto che Giallo a Milano abbia girato il mondo, ma che in Sicilia e in Campania non l’abbiano visto è colpa degli operatori culturali, non del pubblico.
E gli autori hanno delle responsabilità?
Se fai un documentario e lo posti subito su Youtube o su Vimeo il film non ‘sbiglietta’: fai pubblicità a te stesso, ma mostri scarso rispetto verso i finanziatori del film. Troppo individualismo anche tra gli autori. Inoltre molti scambiano la tecnica con l’arte: puoi essere un genio della tecnica, ma con la forma senza la sostanza fai solo un puro esercizio di stile.
In quali progetti sei impegnato al momento?
Cine tempestose è un documentario in cui raccolgo le testimonianze di alcuni intellettuali italiani che partirono nei primi anni settanta alla scoperta della Cina. C’è poi in cantiere un lavoro sui profughi buthanesi in Nepal. A breve cominceranno le riprese del lungometraggio ‘Amori elementari’: una coproduzione tra Dolomiti e Mosca in cui racconto l’universo sentimentale dei bambini.