Le criticità del Percorso diagnostico terapeutico assistenziale per la SLA
1 Maggio 2023[Mario Fiumene]
Con l’approvazione del Percorso diagnostico terapeutico assistenziale per la Sclerosi Laterale Amiotrofica nella Regione Sardegna, tutte le Aziende sanitarie della Sardegna dovranno garantire l’applicazione del Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (PTDA) dedicato ai pazienti colpiti da Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), portato dall’assessore alla Sanità, Carlo Doria, al tavolo della seduta di Giunta del 13 aprile 2023 ed approvato nel corso della discussione.
Ritengo opportuno evidenziare alcune criticità del documento in questione, per aprire una discussione con finalità propositive e migliorative, in considerazione dell’elevata incidenza della SLA nella Regione sarda. Per meglio esplicitare la critica estrapolo dal documento alcuni passaggi:
« L’Assessore dell’Igiene e Sanità e dell’Assistenza Sociale rappresenta che la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia cronica degenerativa del sistema nervoso centrale che determina grave disabilità permanente a carico di diverse funzioni e presenta notevoli complessità sul piano clinico, assistenziale e gestionale, non soltanto per l’elevato impegno di assistenza multiprofessionale richiesto da parte del Servizio Sanitario Regionale, ma anche per l’impatto psicologico sulla persona malata e sulla sua famiglia». Non è la prima volta che questa revisione venga fatta dall’organo competente e dobbiamo approvare che ciò avvenga. La novità, secondo l’Assessore, sarebbe il PDTA (percorso diagnostico terapeutico).
L’Assessore ricorda che la Regione Sardegna, attraverso l’individuazione e applicazione del Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (PDTA), intende fornire risposta alla complessità dei bisogni e dei percorsi assistenziali delle persone con SLA, definendo le linee di indirizzo per la corretta presa in carico integrata e il governo della continuità assistenziale in tutto il territorio regionale. Credo sia doveroso fare alcune osservazioni al riguardo in considerazione dell’incidenza di questa malattia nella nostra Sardegna.
Da uno stralcio della Delibera in questione: «L’Assessore riferisce che con Decreto n. 3343 A/1 del 09/03/2008 e ss.mm.ii. è stata istituita la Commissione regionale per la Sclerosi Laterale Amiotrofica e altre malattie del motoneurone, aggiornata in ultimo con Decreto n. 9 del 30.04.2021, alla quale è stato affidato il compito, tra gli altri, di proporre un PDTA specificatamente dedicato alle persone con SLA con il quale si intende definire le linee di indirizzo per la corretta presa in carico integrata della persona malata. L’Assessore precisa che la citata Commissione, con la partecipazione delle Associazioni dei malati di SLA, supportata dalla Direzione generale della Sanità, ha provveduto alla definizione di un documento (PDTA) specifico per la SLA capace di fornire concrete indicazioni per garantire percorsi personalizzati e integrati di presa in carico della persona, in tutte le fasi di vita e di evoluzione della malattia, nel quale sono appunto esplicitate non solo le modalità operative di assistenza, ma anche di collaborazione con i team delle cure primarie».
Come si può vedere sono ben 15 anni che gli organi competenti “girano e rigirano” le pagine dei vari documenti (posso affermare senza tema di essere smentito che di persone in carne e ossa affette da SLA in Sardegna si sono spese parole, dedicate ore di assistenza, versate lacrime dagli stessi malati e dai loro familiari; senza citare la paura, la rabbia di tanti per le difficoltà vissute dai malati). Non metto in discussione le “buone intenzioni” di chi oggi governa la Sanità, ma sono critico riguardo quanto contenuto nel documento, non posso restare silente. Vado a meglio esplicitare le mie osservazioni: nel documento leggiamo «La SLA, malattia cronica degenerativa del sistema nervoso centrale, determina grave disabilità permanente a carico di diverse funzioni, è una malattia complessa sul piano clinico, assistenziale e sociale, con un drammatico impatto psicologico sulla persona malata e sulla sua famiglia».
Non capisco perché si scriva quanto segue: «al colloquio per comunicare la malattia possono essere presenti familiari, se il malato lo desidera ed eventualmente anche lo psicologo, se ha già preso in carico il malato»; se si è accertato l’impatto psicologico non si può prescindere dalla figura professionale Psicologo/a! Probabilmente in Assessorato sanno bene che in Sardegna non ci sono Psicologi nel Servizio Sanitario, né in numero sufficiente né con un’esperienza in ambito di Cure territoriali. Ecco la prima cosa che bisogna fare: assumere Psicologi e dare loro strumenti adeguati. Sottolineo che il supporto psicologico è necessario anche per la famiglia, per i caregiver e per tutto il personale di cura e assistenza (un miraggio nelle attuali condizioni del SSR).
Il documento assessoriale così prosegue: «Un fattore di complessità nella comunicazione potrebbe essere la presenza o la successiva insorgenza di disturbi di tipo cognitivo o comportamentale. In questo caso é necessario effettuare la comunicazione in presenza di una figura di riferimento (caregiver, amministratore di sostegno)». Gli ultimi e unici caregiver formati all’uopo sono quei familiari che tra il 2017/2018 hanno usufruito di un percorso formativo predisposto dall’assessorato in quegli anni: i familiari avevano fatto richiesta molti anni prima, restando in estenuante attesa: in alcuni casi il congiunto era già deceduto.
La mia critica si innalza di tono quando leggo nel documento quanto segue: «Rete delle cure domiciliari di area critica Le Unità Operative di Rianimazione e di Anestesia delle ASL della Sardegna assicurano nel territorio di competenza la presa in carico integrata del malato SLA di concerto con il distretto sociosanitario, sia in regime domiciliare che presso le strutture residenziali (RSA) in alcuni territori. I teams costituiti da anestesisti rianimatori e infermieri di area critica partecipano alle valutazioni multidimensionali per la decodifica dei bisogni del malato e della sua famiglia»; ed ancora: «Comuni e Ambiti PLUS collaborano al sistema integrato dei servizi alla persona»; ancora: «La rete del Nucleo di presa in carico è integrata in quanto costituita sia da professionisti del CRP, il neurologo e l’infermiere, che da professionisti del distretto: il medico di medicina generale (MMG), il neurologo, il fisiatra, il fisioterapista, lo pneumologo, l’anestesista, il medico esperto di cure palliative, lo psicologo, l’infermiere, l’assistente sociale, il logopedista, il nutrizionista e tutte le altre figure specialistiche necessarie presenti nel distretto, la persona con SLA e/o il suo caregiver».
Aggiungo infine questo passaggio del documento: «L’infermiere di famiglia o di comunità, in coerenza con il DM 77; svolge all’interno del team, in qualità di case manager di ogni singolo caso, il ruolo di facilitatore nel governo dell’intero processo di presa in carico multidisciplinare e multidimensionale della persona e della sua famiglia, attivando le varie professionalità e risorse, al fine di garantire un’assistenza personalizzata e continuativa, promuovendo anche l’educazione al corretto uso delle risorse e dei servizi disponibili, oltre che quella terapeutica.
Si attiva per facilitare e monitorare percorsi di presa in carico e di continuità dell’assistenza avvalendosi dei percorsi di inserimento che verranno garantiti dalle COT e in raccordo con le altre figure professionali del territorio». Sono tutte dichiarazioni di intenti, nella realtà: non ci sono MMG a sufficienza nei Comuni sardi (chi è nelle AsCot appena istituite non conosce i malati di SLA e non può agire in modo continuativo come sarebbe necessario e come giustamente scritto nel medesimo documento assessoriale).
Non ci sono neurologi, non ci sono pneumologi, non ci sono infermieri di famiglia (il Master specifico non è stato attivato in Sardegna), logopedisti chi sono costoro? (vedere le nostre Università sarde quanti ne sfornano); le citate Cure palliative previste da una legge del 2010 sono in Sardegna una chimera (quello che abbiamo è frutto della buona volontà di pochi medici e infermieri che si sono formati con grande difficoltà (spesso andando in Università del Continente).
Concludo nel dire che al di là delle buone intenzioni la sostanza non c’è: resta la sofferenza dei malati, dei familiari, resta la loro rabbia. Restano le mani nude degli operatori sanitari e sociali che stanno per andare in Burn-out.
La politica deve cambiare il passo, deve capire la realtà e affrontare la vera situazione che investe decine di malati; deve predisporre investimenti nella ricerca consentendo in Università studi con fondi adeguati. Non basta una delibera.
Nell’immagine: Unpacking Gratitude di Miguel Barajas. Murales a Dallas, USA dedicato alle operatrici e gli operatori sanitari, Primo Maggio 2020