Donne in Barbagia

1 Febbraio 2008

MURALES A ORGOSOLO
Manuela Scroccu

L’omicidio di Peppino Marotto, lo scorso 29 dicembre, e i successivi fatti di cronaca nera con l’assassinio di due giovani fratelli, hanno portato ancora una volta Orgosolo sotto i riflettori deformanti dei media. Attirati non dal nero del lutto, che accompagna un dolore in fondo sempre uguale, ma dal rosso del sangue che qui ha una sfumatura più intensa: quella della faida, della vendetta, di un mondo arcaico e ferale che sopravvive secondo antichi codici, che si condanna ma che affascina. Di fronte allo sconvolgimento dell’ordine naturale delle cose che sempre accompagna l’evento di un uomo che toglie la vita ad un altro uomo, non c’è niente di più rassicurante del luogo comune. Ciò che conta è la rappresentazione scenica di una tragedia che si vuole sempre uguale a se stessa. A nessuno interessa veramente sapere cosa c’è sotto quel lenzuolo bianco che le televisioni hanno mostrato di sfuggita.
Per questo le telecamere seguono da lontano le anziane donne in nero, strette nei loro scialli. Sperano di coglierne gli sguardi sotto i mucadores neri. Cercano di rubare l’anima ad un mito, di restituire ad uno spettatore distratto l’immagine di un mondo impenetrabile e immutato nel tempo in cui le donne sono allo stesso tempo vittime e istigatrici di vendette che attraversano intatte le generazioni. Ma quelle donne che passano silenziose per le strade del paese, che siedono nei banchi della chiesa durante i funerali dei loro figli, mariti, padri, sono solo stanche. Hanno pianto i loro morti. Hanno vissuto la loro vita e hanno visto mutare e sfaldarsi il tessuto sociale del loro paese. Hanno sul viso la rassegnazione composta, scolpita da Ciusa ne “La madre dell’ucciso”.
Potrebbero raccontare un’altra storia, squarciare il velo dell’ipocrisia e dei facili “sociologismi” sulla realtà delle zone interne della Sardegna. Potrebbero dirci dei bar dove si ritrovano i giovani disoccupati del paese, a bere birra in branco. “Balentes” da Grande fratello, che sfrecciano a velocità folle per le strade del paese, rumoreggiano, provocano, sparano ai lampioni. Sono fauna locale, quanto e più delle vecchie in scialle e dei pastori.
In quella società “mitica” di cui si cercano le rovina come della perduta Atlantide, la donna era il tramite tra l’uomo e la comunità. La conciliazione delle faide avveniva, come descrive bene Franco Cagnetta nel suo “Banditi a Orgosolo”, tramite il matrimonio tra un uomo del gruppo dell’ucciso e una donna del gruppo dell’uccisore. Oggi le donne affermano il proprio ruolo in un altro modo.
E’ emblematico che il giovano sindaco di Orgosolo, intervistato da Giovanni Maria Bellu per il quotidiano La Repubblica, dica che i giovani del paese soffrono il confronto con le donne.
C’è un murales famoso nel paese, che rappresenta una donna in abiti tradizionali con in mano una bandiera rossa, sulla quale si legge. “Feminas sardas/semus istracas/de facher galu/sas teracas/” (donne sarde siamo stanche di fare ancora le domestiche). Ebbene, ad Orgosolo (ma i dati sono simili in molti paesi dell’interno), dei 180 giovani che hanno conseguito il diploma di scuola superiore le donne sono 137; su 22 laureati ben 19 sono donne, che difficilmente torneranno a lavorare nei paesi d’origine e comunque, se tornassero, non avrebbero più niente da dire, o quasi, a quei coetanei con i quali hanno diviso l’adolescenza.
Donne che percorrono le propria strada in realtà sociali sempre più frammentate. Ho digitato “donne orgosolo” su google: il primo link che è apparso non è su faide e omicidi ma è quello dell’associazione “Donne e scienza” che organizza il festival della scienza ad Orgosolo. Queste ragazze sono probabilmente sorelle, cugine, compagne di scuola di quei loro coetanei che, invece, si cimentano nel gioco più in voga tra i ragazzini adolescenti in alcuni paesi del nuorese: il giro della morte. Per giocare si devono percorrere a tutta velocità le strade del paese, senza casco, senza luci e contromano; vince chi ne esce vivo, ma qualcuno ci muore e si schianta su un muro scrostato a diciotto anni o poco più. Perché? Come è possibile?
Oggi il tasso di suicidi delle zone interne è tra i più alti d’Italia. Lo spopolamento dei paesi dell’interno priva le realtà sociali delle proprie menti migliori. Il deserto di valori che si genera fa germogliare un’ aggressività cieca verso se stessi e verso gli altri. Tutto questo ha a che fare con la specificità etnica e antropologica della Barbagia? Forse non più. Forse con la mano che ha crivellato di proiettili il corpo del poeta Peppino Marotto si è dato il colpo di grazia anche al mito dell’esistenza di una diversità culturale, di un’epopea sociale che ormai non significa più niente. Le ragioni di quei morti, e di quelli che verranno, non hanno più niente a che fare con la crisi del mondo pastorale. I vuoti valori del consumismo sono arrivati già da decenni alle pendici del Supramonte. Presto anche le televisioni si accorgeranno che i “nostri” omicidi non sono così diversi da quelli che avvengono nelle periferie milanesi e romane e non verranno più a “spiare” i visi delle donne in nero in cerca di quello che rimane di un mito.

1 Commento a “Donne in Barbagia”

  1. Angelo Liberati scrive:

    …-Presto anche le televisioni si accorgeranno che i “nostri” omicidi non sono così diversi da quelli che avvengono nelle periferie milanesi e romane e non verranno più a “spiare” i visi delle donne in nero in cerca di quello che rimane di un mito.-…
    Bene Manuela Scroccu,
    a proposito di murales …-C’è un murales famoso nel paese-…
    mi auguro ci siano murales altrettanto famosi, con immagini meno legate ad uno stereotipo che tanto piace a chi guarda dall’esterno la Sardegna, sempre magica, sempre genuina e sempre così fascinosamente arcaica…ecc. ecc. ecc.

    Con gran dispiacere per l’uccisione del Poeta Peppino Marotto che ricordo nella commemorazione di Gramsci ad Ulassai nel mese di novembre, dove ci ammutolì con un intervento veemente, secco e lucidissimo che raramente ho avuto modo di ascoltare (forse sono distratto) da uomini in berritta di ordinanza. Mando un saluto al Poeta e a tutti coloro che avranno la volontà di tramandarlo alle nuove generazioni con linguaggi contemporanei e con i mezzi adeguati ai tempi.
    Angelo Liberati

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