Le elezioni in tempi di crisi

1 Febbraio 2013
Marco Ligas
Puntualmente, nelle settimane che precedono le elezioni, si intensificano gli impegni dei partiti perché si chiudano positivamente almeno quelle vertenze ritenute cruciali, soprattutto sui temi dell’occupazione. È curioso questo dinamismo ritrovato, questo voler fare in tempi brevi ciò che non è stato realizzato in anni di governo. Sta di fatto che singoli candidati o formazioni politiche che aspirano alla riconferma o alla crescita del loro peso elettorale fanno di tutto per apparire meritevoli della fiducia dei cittadini. Come se dovessero prepararsi allo scatto finale di una competizione sportiva e attraverso l’uso scorretto dei mezzi di comunicazione (dove le regole della par condicio diventano un optional), tutti si presentano agli elettori come i protagonisti positivi della vita politica e perciò meritevoli di una nuova fiducia.
Molti di questi leader parlano con disinvoltura al paese, non si preoccupano di proporre il contrario di quel che han fatto quando governavano. I cambiamenti improvvisi dei programmi vengono vissuti e presentati come virtù della politica, non trasformismi funzionali al mantenimento del potere. È clamorosa per esempio la giravolta del Professor Monti in materia di tasse. Chi l’avrebbe mai ritenuto capace di tanta elasticità, proprio lui che si è presentato al paese come un sostenitore del rigore e come una persona dotata della massima coerenza (tutta neoliberista, naturalmente). Eppure è passato dall’imposizione di un’IMU pesantissima che ha ridotto ai minimi termini la tredicesima di tanti lavoratori alla proposta di un suo ridimensionamento come se avesse scoperto all’improvviso l’enormità di quell’imposta. Chissà, forse la salita in politica provoca anche in lui queste trasformazioni, insieme alla manifestazione di un’ambizione al comando a lungo soffocata!
Queste settimane di campagna elettorale ci hanno offerto anche altri esempi. Clamoroso  quello sulle alleanze. Anche stavolta è Monti che mostra una discreta flessibilità passando senza difficoltà da una possibile alleanza col centro sinistra a quella col PDL, purché quest’ultimo ripulito dalla presenza di Berlusconi. Un Presidente del Consiglio dunque ormai omologato alle pratiche di una politica capace di sovvertire regole e rigore.
Intendiamoci, non vogliamo sottovalutare i volteggi  di Berlusconi e del suo partito o quelli della Lega, formazioni sempre disponibili alle indecenze pur di rimanere al comando; o le affermazioni strumentali sul voto utile finalizzate ad escludere le minoranze. Insomma, chi più chi meno, tutti fanno del loro meglio per presentarsi con un aspetto credibile.
In Sardegna queste forme di trasformismo non sono meno diffuse e non producono effetti meno rovinosi. Spesso il trasformismo si accompagna a comportamenti di totale disinteresse: assistiamo così alla ripetizione di progetti di rilancio industriale che non hanno né capo né coda. Abbiamo sottolineato più volte come intere filiere industriali siano scomparse o stiano per scomparire e come sia in crisi tutta l’ossatura dell’apparato industriale a cui bisogna aggiungere l’estrema debolezza del settore agro-pastorale. Eppure da parte delle forze politiche che governano la Regione non si coglie alcuna preoccupazione, né una proposta che indichi ciò che bisognerebbe fare per uscire dalla crisi.
Così, se per esempio ci si riferisce al Sulcis, si parla quasi per abitudine di rilancio delle attività minerarie e si pensa allo stoccaggio dell’anidride carbonica nel sottosuolo ma non si dice se questo progetto farà bene ad un territorio già compromesso da attività industriali inquinanti. Né si prendono in considerazione i costi di questi piani e non si capisce chi dovrà sostenerli: per chi governa la Regione sembra sufficiente enunciare i progetti. Anzi la loro indeterminatezza sembra una scelta calcolata che verrà usata successivamente perché possano essere attribuite alle altre istituzioni le responsabilità dell’insuccesso (tipica la disputa tra Stato e Regione o tra Regione e Unione Europea sui finanziamenti destinati alla Regione e poi non concessi).
Neanche l’attuale campagna elettorale sembra favorire un impegno delle formazioni politiche teso ad individuare quelle attività produttive capaci di creare lavori legati alle caratteristiche del territorio. Eppure già le sole attività di risanamento ambientale potrebbero offrirlo a centinaia di disoccupati. Per non parlare di quelle attività legate all’agricoltura e alla pastorizia, erroneamente considerate ancora attività minori e per le quali non viene concesso alcun incentivo.
Ecco, penso che in una campagna elettorale dove si parla poco di lavoro, dove non vengono indicate attività produttive diverse da quelle attualmente in crisi, si rischi di avere ancora una volta una bassa percentuale di votanti. E questo non è un buon segnale per uscire dalla crisi. In realtà soprattutto in tempi di crisi e di distacco dei cittadini dalla politica le elezioni dovrebbero favorire un maggiore coinvolgimento dell’elettorato se davvero si vuole rafforzare la democrazia.

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI