Le operazioni antiterrorismo e il dovere di rettifica delle notizie
1 Marzo 2020[Osservamedia Sardegna]
Era stata un’operazione spettacolare, quella con cui i Nocs avevano arrestato Amin Ahmad Alhaj, profugo palestinese di origine saudita, a Macomer: decine di uomini e mezzi mobilitati, la cittadina bloccata, come se si dovesse prendere un uomo armato, pericoloso e pronto a tutto. L’accusa, d’altronde, era quella di stare preparando un attentato all’acquedotto della cittadina del Marghine, con lo scopo di “mostrare che nessun luogo può ritenersi al sicuro”, nemmeno nella provincia profonda della Sardegna interna.
I media locali, ovviamente, avevano rilanciato la notizia con grande enfasi, riportando tutti i particolari possibili offerti dagli inquirenti, mettendo il caso in primo piano per alcuni giorni, con tanto di commenti allarmati e plauso per il ruolo protettivo delle istituzioni di pubblica sicurezza, ma ovviamente il caso era rimbalzato con grande evidenza anche nelle testate a diffusione statale.
Come troppo spesso capita in questi casi, le ipotesi degli inquirenti venivano presentate sostanzialmente come dati di fatto già acclarati, senza che la sporadica ed illogica presenza di qualche formula dubitativa come “presunto”, o come qualche condizionale, potesse minimamente fare da contrappeso allo strillo dei titoli, degli occhielli, e al senso generale degli articoli.
L’interesse degli inquirenti a spettacolarizzare l’arresto, dimostrando la efficacia e l’utilità della propria azione, coincideva perfettamente con quello delle redazioni, felici di poter affrontare dal proprio ristretto ambito locale lo spettro globale del terrorismo islamico: da qui una accettazione acritica delle affermazioni degli inquirenti.
Oggi, dopo più di un anno di carcerazione preventiva, e a poco più di due settimane dall’inizio del processo, sappiamo che parte importante delle accuse più gravi, quelle che hanno riempito i titoli dei giornali e dei telegiornali nel dicembre del 2018, sono cadute. Che attualmente per la Corte D’Assise Amin Ahmad Alhaj non è una persona pericolosa, tanto che ne ha disposto l’immediata scarcerazione.
Apprendiamo anche degli effetti devastanti che queste accuse stanno avendo sull’imputato, e delle misure che la prefettura ha adottato nei confronti dell’imputato. Veniamo a sapere di tutto ciò da La Nuova Sardegna, e sebbene siamo stati e siamo spesso critici verso questo giornale, gliene diamo atto, visto che è l’unico mezzo di stampa in Sardegna che abbia provveduto a dare notizia puntuale dell’evolversi dei fatti.
Tutto ciò, d’altra parte, non è nuovo, ma è un meccanismo che si ripete con costanza: l’operazione di arresto spettacolare, le conferenze stampa ricche di particolari minutissimi, tutti tesi a presentare un quadro indiziario inattaccabile e ad alimentare l’inquadramento narrativo più accattivante per i giornalisti e il can can mediatico che ne consegue.
Se l’operazione ottiene le prime pagine e lo strillo dei titoli di apertura, la sua smentita viene invece, nel migliore dei casi, ricondotta alle pagine interne, in qualche articolo di taglio medio o basso.
Eppure il Testo unico dei doveri del giornalista, all’articolo 9, quello dedicato ai “Doveri in tema di rettifica e di rispetto delle fonti”, parla molto chiaro: “il giornalista rettifica, anche in assenza di specifica richiesta, con tempestività e appropriato rilievo, le informazioni che dopo la loro diffusione si siano rivelate inesatte o errate”.
Appropriato rilievo significa consentire di controbilanciare la diffusione delle precedenti informazioni e non può avere razionalmente altro significato. Ed è evidente che questo appropriato rilievo, per casi riguardanti persone appartenenti a categorie emarginate accusate di reati gravi e infamanti, non è considerato necessario da nessuno.
In un caso come quello di Amin Ahmad Alhaj, per il quale i giorni dell’arresto è stato scritto davvero di tutto, vorrebbe dire dare altrettanto risalto alla notizia che egli è stato scarcerato.
D’altra parte non è questo il primo caso: un insegnamento in ordine alla prudenza da adottarsi dai giornalisti potrebbe venire dalla storia della così detta “cellula olbiese di Al Qaeda”, con una carcerazione preventiva portata all’estremo della scadenza dei termini (dopo più di 3 anni), conclusasi con una assoluzione piena di tutti gli imputati dal reato di terrorismo, dopo aver prodotto effetti pesantissimi sulla vita delle persone coinvolte.
In quella vicenda, l’assoluzione non ha ottenuto la giusta attenzione: se a livello locale se ne è parlato, dando anche voce almeno ai due imputati che ancora intendono vivere e lavorare a Olbia, ci vorranno comunque anni di copertura costante per superare l’eco delle indagini e del processo.
Inoltre, se al momento della pubblicizzazione dell’inchiesta i particolari che hanno condotto gli inquirenti a formulare le accuse sono stati ampiamente diffusi, non altrettanta eco hanno avuto le ragioni che hanno portato all’assoluzione; eppure è evidente l’interesse generale a capire come sia possibile che delle persone innocenti abbiano dovuto subire questo calvario giudiziario.
L’osservatorio sui media sardi Osservamedia Sardegna nasce dalla collaborazione tra l’Associazione Sarda Contro l’Emarginazione, capofila del progetto, e l’associazione Chentu Concas. La costituzione dell’osservatorio nasce dalla constatazione che il ruolo dei mass-media, nella costruzione dell’immaginario collettivo, nella fissazione dei criteri di normalità e alterità, nella certificazione degli spazi di centralità e marginalità entro l’organizzazione sociale, è fondamentale. La lotta alle cause dell’emarginazione sociale non può prescindere dall’esame del ruolo dei media nel costruire, riprodurre, amplificare quelle narrazioni che la giustificano, ne rimuovono dalla coscienza collettiva le cause storiche e politiche, ne fanno un elemento naturale, indiscutibile, non negoziabile della realtà condivisa dal senso comune. I principi e l’analisi su cui si fonda il lavoro dell’osservatorio sono spiegati più diffusamente nel Manifesto d’Intenti di Osservamedia Sardegna.