Le politiche contro i migranti dei governi europei stanno giungendo a una resa dei conti
4 Aprile 2020[red]
Un comunicato dell’Osservatorio Solidarietà – Carta di Milano che si unisce ai molti appelli già lanciati per richiedere il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini e delle cittadine migranti, per coloro che lavorano nel settore agricolo e per l’accesso alle cure e alla regolarizzazione, anche provvisoria, per i mesi di emergenza, a vantaggio di tutta la collettività.
Una moltitudine di persone stimata in circa 600mila unità, abbandonate a se stesse, vive oggi in Italia privata di ogni diritto: alcuni con occupazioni insalubri, malpagate e precarie, altri costretti a vivere alla giornata, molti già ridotti alla fame, tutti privati dell’accesso al servizio sanitario nazionale, senza casa, servizi igienici, acqua corrente, in un momento in cui viene giustamente ingiunto a tutti di “restare a casa” e di curare in modo sistematico l’igiene propria e del proprio habitat.
Era prevedibile che la negazione dei diritti umani fondamentali nei confronti dei migranti avrebbe finito per ripercuotersi anche nei confronti dei cittadini degli Stati in cui vivono, comportando una compressione dei diritti fondamentali di tutti. Lo confermano, in Italia, i decreti Salvini che contengono anche misure liberticide nei confronti di cittadini italiani ed, ancor più, è dimostrato dalla parabola dell’Ungheria di Orbàn, il primo ad aver costruito un muro di filo spinato per tenere lontani i migranti e che oggi ha proclamato i suoi pieni poteri, esautorando, di fatto, il Parlamento, senza limiti di tempo, in violazione flagrante del principio della separazione dei poteri, così come enunciato in tutte le Costituzioni dei Paesi democratici e in violazione dei valori fondanti dell’Unione Europea (art. 2TUE).
D’altronde, oltre che una violazione dei più elementari principi di umanità, la condizione esistenziale dei migranti, che riescono a lavorare, comporta una drastica distorsione di tutto il sistema economico, fondato su aziende – e catene commerciali della Grande distribuzione organizzata (GDO) – che si reggono solo grazie a uno sfruttamento estremo della manodopera, e destinate dunque a crollare non appena venga loro meno questo “fattore competitivo”.
Con lo scoppio della pandemia di covid-19 la situazione si è ulteriormente aggravata e tutte le persone che si trovano in quella situazione vengono trasformate automaticamente, sia singolarmente che riunite in aggregati affollati e insalubri, in altrettanti focolai di propalazione dell’epidemia, diventando con ciò stesso un pericolo sia per loro che per tutto il resto della popolazione.
A questi problemi, già di per sé sufficienti a gettare allarme e a richiedere misure di contrasto drastiche ed efficienti, si aggiunge il fatto che la maggioranza dei lavoratori migranti, sia stagionali che stanziali, è impegnata in agricoltura durante il periodo dei raccolti.
Nel nord del paese si tratta prevalentemente di cittadini comunitari provenienti da Romania, Bulgaria e Polonia, a cui i rispettivi governi impediscono di venire in Italia – come pure di raggiungere altri paesi dell’UE – per timore che si trasformino in vettori del contagio.
Nel sud si tratta prevalentemente di cittadini non comunitari, in gran parte irregolari, malamente ammucchiati in tendopoli e rifugi di fortuna – per lo più tollerati quando non promossi dalle autorità di pubblica sicurezza – e tradizionalmente abituati a spostarsi da una regione all’altra in coincidenza con la raccolta delle rispettive colture; ma attualmente impossibilitati a muoversi per via delle limitazioni alla mobilità adottate per contenere la diffusione del contagio.
Questa situazione, che va ad aggiungersi ai danni inferti all’agricoltura dai cambiamenti climatici rischia di compromettere in misura drastica i raccolti e con essi l’approvvigionamento alimentare in tutto il paese. Approvvigionamento che difficilmente potrà essere garantito dall’import, dato che quasi tutti i paesi dell’Europa, e ora anche del mondo, sono già o stanno per precipitare in una situazione analoga. Si aggiunga che la chiusura di tutti i mercati del fresco all’aperto, dove tradizionalmente l’agricoltura delle aziende familiari e, in particolare, quella biologica e biodinamica – che produce il cibo del nostro futuro – trovava il loro sbocco, ne provoca la rovina.
L’allarme per questa situazione ha indotto numerose associazioni, personalità e cariche dello Stato a chiedere che il Governo intervenga con misure che vanno dalla regolarizzazione di tutti gli stranieri che vivono nel paese e, conseguente, la loro ammissione ai diritti e alle tutele sanitarie di cui godono i cittadini italiani, – secondo il modello fatto proprio con successo dal Governo portoghese – alla “importazione”, con un adeguato “decreto flussi”, di manodopera non comunitaria per sopperire ai vuoti lasciati dagli stagionali di origine comunitaria: complessivamente si parla di un fabbisogno di non meno di 250-300mila unità.
La filiera agroalimentare, in tutte le sue articolazioni, è di importanza ben più vitale per tutto il Paese di quanto lo siano molte altre produzioni, e soprattutto quella delle armi, a cui il Governo concede invece agevolazioni e la possibilità di non sospendere nemmeno temporaneamente l’attività.
L’unica risposta sensata a questi tre problemi, quello del rispetto dei diritti umani, quello sanitario e quello dell’agricoltura, non può che essere la concessione in tempi stretti a tutti gli stranieri che vivono nel paese del permesso di soggiorno e della regolarizzazione, unitamente alla istituzione di corridoi sicuri per l’ingresso di coloro che intendono venire lavorare in Italia, con la contestuale istituzione di presidi e controlli sanitari in tutti i punti di ingresso e di aggregazione, in modo che i loro indispensabili spostamenti da una regione all’altra per tener dietro alle diverse stagioni agricole avvenga in sicurezza per tutti.
Prendiamo come esempio la strategia politica del Governo portoghese, che ha condotto, con successo, lo Stato fuori da una significativa crisi economica, mantenendo impregiudicato il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini e dei migranti, a cui, è stata garantito l’accesso alle cure ed una regolarizzazione, quantomeno provvisoria, per i mesi di emergenza, a vantaggio di tutta la collettività.