Le ragazze sono partite
1 Giugno 2015Bastiana Madau
È appena uscito in libreria Le ragazze sono partite (CUEC, 2015) di Giacomo Mameli, in cui il giornalista e scrittore continua a farci conoscere l’universo del lavoro femminile sardo, a cui anche in precedenti volumi ha prestato una grande attenzione, e in particolare in Donne Sarde (2005) dedicato alle imprenditrici e professioniste dell’isola di oggi.
Per raccontare il mondo del lavoro nei suoi diversi aspetti, Mameli raccoglie storie di vita, mettendo in luce le esistenze concrete delle persone delle piccole comunità del territorio e mostrandoci una sezione della realtà tagliata attraverso il tempo, così da rendere presenti sia gli istanti del passato importanti – per meglio afferrare il nostro presente –, sia il futuro che ci aspetta, dipendentemente dall’interazione con i problemi della contemporaneità. L’idea che viene fuori da ogni suo libro è in Sardegna ci sono i segni di un mutamento che non ha mai smesso di compiersi. Come già anche in La ghianda è una ciliegia (2006) in Le ragazze sono partite l’autore elegge Perdasdefogu, suo paese natale, a ossevatorio di fenomeni che sono vastissimi: nel primo attraverso il racconto corale dell’enorme scotto pagato dalla povera gente in termini di perdita di vite umane e di estrema povertà durante la seconda grande guerra, nel secondo – attraverso una polifonia di voci di giovani donne – il fenomeno dell’emigrazione femminile, in special modo del dopoguerra. La postfazione del volume è affidata all’antropologa Martina Giuffrè, docente all’Orientale di Napoli e alla Sapienza di Roma, specialista di migrazioni, autrice di L’arcipelago migrante. Eoliani d’Australia e del saggio “Genere” contenuto in Antropologia e Migrazioni.
Le ragazze del libro sono emigrate verso Roma e Milano e nelle fabbriche della Svizzera e della Germania, e le tante storie sono tenute dal racconto di Pietrina, che tiene l’ordito delle narrazioni di Clelia, Evelina, Giovanna, Erminia, Bonaria, Silvana, Carrula, Elena, Delia, Eugenia, Odilia, Secondina di Lodine (la sola barbaricina del libro), Cichedda e tante altre. Partono perché ambiscono a poter guadagnare qualcosa che gli consenta di aiutare la famiglia, ma anche per sperimentare una vita diversa, conoscere altro che non sia il paese, le campane della chiesa, le capre, i maiali, il solito povero cibo. Ambiscono anche alla libertà dal rigido controllo paterno o dal controllo sociale tout-court; ambiscono a emanciparsi, andando a fare lavori domestici presso le famiglie benestanti delle città del Continente, ossia a fare le «seràccas». E quando gli dice bene, cioè quando sono trattate civilmente e non accolte subito con un «tu sei la mia serva», come accade a Pietrina, a fare le domestiche. Prestano servizio anche in case “importanti”: ad esempio Maretta – apripista dell’emigrazione femminile foghesina, nel 1917, a 14 anni – lavorò nella casa romana di Edda, moglie di Galeazzo Ciano; Delia, partita per Roma nel 1968, a 15 anni, fece la baby-sitter presso i Kezich-De Manzolin, ossia a casa del già affermato critico cinematografico Tullio Kezich, dove fu trattata bene, tanto da riuscire a intraprendere anche un persorso di crescita personale; Cecilia Melis, domestica a Cagliari dall’età di 12 anni, emigrò a Roma per lavorare in casa di De Quirico, ma naturalmente non sapeva chi fosse, e a chi le domandava dove prestava servizio rispondeva «a casa di un vecchio che dipinge». Peraltro Cecilia – affezionata all’anziano pittore, che le prestò a sua volta assistenza quando la ragazza, rimasta incinta di un tizio che non si sarebbe mai fatto vivo, andò in ospedale per partorire – continuò a vivere nella casa in piazza di Spagna insieme alla piccola Betrice, che poi si laureerà in Storia dell’arte all’Accademia di Brera.
Sono tante e tutte significative le storie delle ragazze che, per lo più nel dopoguerra, lasciano il paese e le famiglie poverissime, e di tutte Mameli dà anche l’esito della loro emigrazione, in un modo della narrazione straordinario, che cattura il lettore sin dalle prime pagine. Ancor più il libro è importante perché rinvia indirettamente a tematiche aperte, che vanno dal nuovo fenomeno migratorio che investe la Sardegna a quelle dell’immigrazione femminile, in particolare delle cosiddette “badanti”. Il successivo ingresso in massa delle donne nel mercato del lavoro, infatti, aprirà il problema dell’insostituito lavoro di cura, per cui il libro stimola anche alla riflessione sui problemi legati allo spostamento delle donne da ogni sud del mondo, che a loro volta lasciano i figli ancora piccoli e i propri anziani per assistere gli anziani del nostro occidente.