L’ecofobia dei nostri tempi
1 Giugno 2023Foto Street Levels Gallery: Fragile, Ache77
[Amedeo Spagnuolo]
Nonostante tutto, continuo a pensare che insegnare, se non il più bello, è sicuramente uno dei mestieri più affascinanti che l’uomo abbia inventato. Ti pagano per respirare per tutto l’arco della tua vita lavorativa il vento burrascoso dell’adolescenza, un grande privilegio, non c’è che dire.
La maggior parte dei lavori si svolgono tra persone che, inesorabilmente, chi prima chi dopo, invecchiano, invece nel nostro lavoro invecchiamo solo noi, i docenti, mentre i nostri alunni rimangono sempre giovani anche se sempre diversi, ma, in realtà, anche la nostra anima rimane giovane, o meglio, siamo costretti a imporle di rimanere giovane altrimenti, con il passare degli anni, svolgere questo lavoro diventa impossibile.
E così, anno dopo anno, la vita dell’insegnante trascorre, dal punto di vista lavorativo (tralascio volutamente l’aspetto economico), in maniera gratificante e divertente, almeno per quella che è la mia esperienza. La vita diventa in parte piacevole poiché continuiamo, giorno dopo giorno, a condividere con i nostri alunni l’entusiasmo dell’adolescenza riuscendo, almeno a tratti, a non pensare alle innumerevoli rogne della vita.
Tutto questo mi accade ancora oggi, con la differenza però che con il passare degli anni, mi trovo di fronte un numero sempre maggiore di giovani che, purtroppo, stanno perdendo la speranza, non riescono, anzi non possono, individuare davanti a loro, non dico una strada, ma almeno un piccolo sentiero che li possa condurre nella direzione giusta, quella che gli adolescenti della mia generazione riuscivano a trovare molto più facilmente. Certo anche ai miei tempi esistevano tanti miei coetanei che si perdevano, ma erano molti di meno e, comunque, le possibilità di condurre una vita meno precaria e assillata dalle incertezze erano sicuramente inferiori.
Qualche riga sopra dicevo che l’entusiasmo per il mio lavoro è rimasto quasi intatto però, di sicuro, rispetto a qualche anno fa, l’insegnamento è diventato, per certi aspetti, più “doloroso”, si proprio così, ascoltare le parole di alcuni miei alunni mi provoca dolore, un dolore che non mi passa facilmente perché le parole che ascolto sono tristi e senza speranza anche se espresse con il sorriso. Ovviamente questo non mi capita con tutti i miei alunni, sarebbe impossibile per me continuare questo lavoro se così fosse, però, come dicevo in precedenza, il numero dei giovani che mi confessano che, ad esempio, trascorrono parte del loro tempo “a dormire per non pensare”, aumenta di anno in anno.
Un ragazzo di 15, 16 o 17 anni che per non pensare al vuoto esistenziale che lo avvolge preferisce dormire, non so ai miei colleghi, ma a me, questo pensiero, crea un profondo malessere. Si dorme per riposare la mente e il corpo, non è naturale scegliere di dormire per scacciare i pensieri molesti che angosciano i nostri adolescenti.
Eppure in tanti temi o anche durante un’interrogazione o una semplice chiacchierata durante l’intervallo, ho ascoltato, spesso, queste parole e non mi hanno fatto bene. Insomma, è arrivato il momento che, chiunque si senta veramente “adulto” e quindi capace di assumersi la responsabilità di contribuire con il proprio lavoro a cambiare lo stato di cose presenti, agisca, si ribelli e dia una mano a questi giovani che dai loro banchi chiedono solo un po’ di aiuto, quell’aiuto che non possono ricevere da genitori, spesso, più angosciati dei propri figli per le attuali condizioni esistenziali (guerre, disoccupazione, incertezza economica ecc.) e privi di strumenti adeguati per fronteggiare l’ansia di chi hanno messo al mondo.
La mia esperienza di docente, suffragata da un numero discreto di letture di lavori di tecnici che si sono occupati di questo argomento, mi dice che molti nostri giovani, oggi, semplicemente non riescono a immaginarsi un futuro, ciò accadeva anche prima, ma il disastro ecologico, la pandemia, la guerra hanno amplificato questo pensiero distorto sul futuro dilatando a dismisura certe paure come l’ecofobia che produce nei giovani una devastante angoscia perché, per la prima volta, viene messa in discussione l’esistenza del nostro pianeta. Tutto questo genera nei giovani rabbia ma anche impotenza e l’impotenza, com’è noto, genera ansia. Quando l’ansia supera la soglia di guardia, lo sappiamo tutti, diventa paralizzante e la vita assume caratteristiche, indubbiamente, molto fastidiose.
Non credo di esagerare nell’affermare che il comportamento di noi adulti nei confronti del futuro dei nostri giovani è da considerarsi immorale, pensare di continuare a sfruttare senza limiti il nostro pianeta, infatti, significa non solo mettere a rischio il futuro dei nostri figli e nipoti, ma significa anche che stiamo accettando in maniera scellerata, la possibilità che il nostro operato possa cancellarlo definitivamente poiché stiamo arrivando al punto di non ritorno ovvero abbiamo raggiunto quel confine ultimo che, nel caso decidessimo stoltamente di superare, significherebbe la fine del nostro pianeta e dunque del genere umano.
In questo contesto, le parole del filosofo tedesco Hans Jonas sono illuminanti e ancora molto attuali. Hans Jonas nel 1979 scrisse un bellissimo libro dal titolo Il principio responsabilità. In esso il filosofo tedesco sviluppa un’interessante analisi che parte da un’etica razionalista applicata prevalentemente ai temi dell’ecologia.
Egli afferma, mostrando l’incredibile attualità della sua filosofia, che l’uomo deve applicare il principio della responsabilità a ogni piccolo gesto, a ogni atto che egli compie poiché questi avranno, inevitabilmente, delle conseguenze su chi verrà dopo di noi. Nello specifico egli si concentra sullo sviluppo tecnologico e sul devastante impatto che esso può avere sul nostro pianeta asservito totalmente alla logica dominante del profitto. Jonas, infatti, afferma che quest’etica della responsabilità deve basarsi sulla seguente formulazione: “Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la continuazione di una vita autenticamente umana”.
Per fare questo bisogna però limitare quella che Jonas definisce “l’esagerazione tecnica” alimentata dall’assurda filosofia del progresso illimitato e dall’altrettanto assurda “arroganza filosofica” che autorizza l’uomo a concepire la natura come qualcosa che esiste per essere a disposizione completa dell’uomo e del soddisfacimento della sua avidità.