Leggere i giornali
1 Marzo 2018[Graziano Pintori]
Molte volte certi servizi giornalistici entrano in contrasto tra di loro, rendendo più complicata la comprensione delle notizie e conseguente disorientamento dei lettori. Per esempio, risale a qualche settimana fa la pubblicazione di una rilevazione della CNA (Confederazione Nazionale Artigianato) sulla condizione demografica della nostra isola, i risultati a dir poco deprimenti, come ben sappiamo, non sono indice di dinamismo economico.
L’indagine evidenzia che i sardi residenti nell’isola, nel 2017, sono diminuiti di quasi cinquemila unità; le nascite, celebrate come eventi eccezionali, sono in netto calo (-12,2%), tanto che il numero dei morti superano i nuovi nati. Un altro dato del termometro sociale negativo è la disoccupazione giovanile al 56%, un + percentuale di 18 punti rispetto ai dati nazionali; i giovani che nel 2017 hanno abbandonato l’isola per motivi di lavoro o per studio sono stati 1700, il che costituisce la classica premessa dell’andata senza ritorno”.
Il quadro, alquanto fosco e poco incoraggiante per il futuro, ha trovato spazio sui quotidiani con altre notizie di ben altro colore. Voltare pagina è stato sufficiente per passare dalle notizie di un grigio nebuloso novembrino, a notizie aulenti di rosa primaverile: “La ripresa c’è ecco come l’aiuteremo”, “Aumentano consumi e fatturati aziendali: l’isola può respirare”, “Talent up come fucina”, “Migliorano i conti” ecc.ecc. Sono i titoli di alcuni articoli dei quotidiani sardi, da cui si capisce subito che l’ottimismo in essi riportato non è della gente comune, ma quello dei politici che governano la regione, degli imprenditori aziendalmente più solidi (vedi Top 500), quello della BPER Banca, da noi opportunisticamente ancora Banco di Sardegna.
L’alveo da cui si dirama tanto ottimismo, non a caso, è la Regione Sarda, che porta a 12 mila euro (quattro mila in aggiunta agli otto mila dello stato) la quota alle aziende per la decontribuzione su ogni giovane assunto; il Talent up è rivolto a giovani avanti negli studi o freschi di laurea e in possesso d’innovative idee imprenditoriali, requisiti indispensabili per accedere agli “ecosistemi imprenditoriali a livello mondiale”. Inoltre, sempre per giovani e nuovi imprenditori, sono stati resi disponibili 1500 ettari di terreno per impiantare nuove aziende agricole. Mentre il politico e candidato di spicco rincara annunciando che è stato colmato il gap, o meglio il divario sull’insularità grazie alla valanga di euro, da spendere subito, per superare gli endemici problemi legati alla viabilità, al sistema ferroviario e continuità territoriale.
Il politico, prendendo fiato, continua a parlare di buon prezzo dell’energia per le aziende e della banda larga in tutti i comuni ecc. Infine, anche se i magistrati contabili affermano che i conti migliorano ma non per le famiglie, resta il conforto che arriva dal Banco di Sardegna, il quale conferma che aumentano i consumi e i fatturati aziendali. Insomma, una nuova primavera, o Piano di Rinascita, è lì, dietro l’angolo.
Il ragionamento che voglio porre all’attenzione non è il ruolo dell’informazione in sé, ma la coincidenza del bifrontismo delle notizie, o l’accavallamento delle stesse che fondono il segno – con il segno +. Il lettore medio rimane basito, a bocca aperta, insoddisfatto e sempre in attesa di poter leggere, dopo anni di sacrifici e sottomissioni, la notizia con la quale si annuncia che si è proceduta a una concreta e rilevante diminuzione di quel 56% di disoccupazione giovanile, che nulla ha da spartire con le aziende semi fallite o in eterna crisi, seppure “foraggiate” in continuità.
Una condizione, quella giovanile, da emergenza sociale, che fa corpo unico con la decrescita anagrafica e lo spopolamento, temi che dovrebbero essere affrontati con determinazione afferrandoli “per le corna”. “Come?”. A stretto giro di posta si potrebbe rispondere: a) “Lavorare meno, lavorare tutti a parità di salario”; b) abbassare l’età pensionabile – mandare a riposo gli ultra sessantenni per lasciare il lavoro agli ultra ventenni -; c) multe per le aziende che licenziano senza giusta causa, invece di incentivarle con migliaia di euro per sostenere un posto (dico 1) di lavoro. L’elenco potrebbe contenere anche un serio programma di lotta dura contro l’evasione fiscale, drastiche riduzioni alle spese militari… ma fermiamoci qui, perché già si sente l’altra tiritera: “… però agli accordi con l’Europa, ai conti pubblici, al PIL, alla BCE, al Mercato! Che cosa rispondiamo a tutti questi soggetti?”. Siccome il lettore di giornali da un’altra parte aveva letto che in Italia l’1% più ricco possiede il 25% della ricchezza nazionale, e che le 8 persone più ricche del pianeta fanno la ricchezza di 3,6 miliardi (non milioni) di poveri, viene spontaneo rispondere: “…ridistribuiamo la ricchezza”.
Ovviamente ridistribuire non significa avvantaggiarsi da parassiti del prodotto altrui, ma significa dare al lavoro, quello da cui dipende la salute sociale, il suo fondamentale ruolo terapeutico, in netto contrasto con l’assistenzialismo aziendale, con le privatizzazioni selvagge e il puro liberismo egoista. In sintesi, il problema si riduce alla scelta: o curare la salute sociale con forti iniezioni di lavoro buono, oppure intervenire sulle singole e solite malattie aziendali, da curare con le vitamine degli incentivi, con le decontribuzioni, con l’assistenzialismo e privilegi vari.