Legler, la lotta infinita
15 Giugno 2007Fabio Pireddu
La macchina si ferma davanti ai cancelli della Legler di Macomer, nella zona industriale di Tossilo. All’interno non si muove una foglia, non un segno di vita dentro quella che un tempo era uno dei fiori all’occhiello del settore tessile di tutta l’isola. Il tempo di scattare due foto alla pietra con lo stemma dell’azienda lombarda che tante volte è comparsa in televisione e prendo la via di casa, attraverso una zona industriale che sta lentamente morendo. La Queen sta vivendo uno dei momenti peggiori nel Marghine, l’inceneritore dovrà lasciare il posto al termovalorizzatore di Ottana. Così Tossilo perde altri pezzi pregiati.
La crisi va avanti ormai da diversi anni. La lunga vertenza ha appassionato e appassiona ancora i giornali sardi molto più di quanto non abbia interessato i vertici della politica, soprattutto nazionale. E attraverso i giornali cominciamo a ripercorrerla, con una serie di cifre, dati e promesse. Perchè di certezze ancora non c’è l’ombra. «Salvate la Legler e l’occupazione a Macomer», per esempio, non è la novità degli ultimi giorni, ma un titolo comparso su un quotidiano sardo nel novembre del 2005, quasi due anni fa. Nello stesso periodo si parlò anche di «Legler, c’è l’accordo. Cessa la mobilitazione» e «Vertenza Legler, arriva l’accordo». La popolazione si era mossa al fianco dei lavoratori che occupavano la fabbrica. Manifestazioni in piazza e blocchi stradali. Tutto fino ai primi giorni del 2006, quando gli stabilimenti di Macomer, Ottana e Siniscola chiudono e spediscono a casa centinaia di operai. Da allora sono passati mesi di cassa integrazione, lotte sindacali e marce di protesta. Il piano originario prevedeva addirittura l’aumento dei posti di lavoro nello stabilimento di Macomer. Quasi quattrocento operai entro il 2008. Adesso, invece, si rischia addirittura la chiusura. Tra fine maggio e i primi di giugno del 2007 la Sfirs, la finanziaria regionale, ha formalizzato l’acquisto della Legler, con la conversione dei crediti vantati nei confronti del gruppo tessile bergamasco (circa 43 milioni di euro) in azioni ordinarie e speciali. Secondo l’ultimo progetto presentato gli stabilimenti di Siniscola e Ottana dovrebbero riprendere entro questo mese la produzione, grazie al prestito di dieci milioni di euro promesso da Banca Intesa. Un secondo fronte su cui stanno lavorando alla Regione è quello che vede in un prossimo futuro un accordo commerciale con la Senoussi, l’azienda marocchina che gestisce gli stabilimenti Legler nel paese nordafricano, dove si era spostato gran parte del gruppo. La Senoussi sembra che sia interessata a rilevare la partecipazione ancora in mano a Legler Italia (circa il 17 per cento), per la quale assicurerebbe in cambio l’acquisto delle produzioni che verranno realizzate nei prossimi mesi negli stabilimenti sardi. La soddisfazione dei sindacati per queste operazioni non lascia, però, spazio a facili entusiasmi. La situazione è ancora molto incerta, e la manifestazione che il 26 giugno porterà a Roma i lavoratori tessili servirà a far conoscere meglio al governo le precarie condizioni dell’industria nel centro Sardegna. A cominciare dall’occupazione. Secondo i sindacati, degli attuali 825 dipendenti Legler, infatti, solo 250 potrebbero essere collocati in pre-pensionamento, grazie alla mobilità lunga. Degli altri 575 solo un terzo potrebbe essere riassorbito dalla riorganizzazione delle fabbriche. Per gli altri il futuro è ancora molto incerto.
In tutto questo sembra che il tessile debba perdere uno dei suoi pezzi più pregiati. Macomer, infatti, potrebbe rimanere fuori dal rilancio della Legler. «Lo stabilimento di Macomer è ritenuto non idoneo nell’ottica di una riorganizzazione del gruppo Legler, finalizzata allo spostamento in Sardegna del processo di finissaggio», ha detto il presidente Soru durante un vertice a Cagliari, «perché è una costruzione realizzata qualche decennio fa, strutturata in maniera non funzionale rispetto ai procedimenti industriali necessari al giorno d’oggi». Il futuro di Macomer sembra adesso essere legato alla produzione di tappeti artigianali. In attesa dei quali i lavoratori del Marghine accetterebbero ben volentieri i soldi promessi dalla Regione per superare l’emergenza. Secondo un accordo firmato un anno fa gli operai avrebbero dovuto ricevere mille euro per far fronte alla cassa integrazione. Ma per i sindacati quei soldi ancora non si sarebbero ancora visti. L’assessore al Lavoro Maddalena Salerno, però, non è dello stesso avviso e sostiene che i pagamenti sarebbero già stati effettuati, rispedendo la palla al mittente. Palla che rimbalza su lavoratori ormai da mesi senza stipendio. «In piazza per salvare il polo tessile». Questo titolo è comparso su un quotidiano sardo nel 2005, ma l’appuntamento è per il 26 giugno 2007 a Roma. Perché la lotta non è ancora finita.
21 Settembre 2007 alle 10:30
sono sconcertata…mi chiedo come soru possa essere ancora al governo…mi chiedo come possa imporre questo termovalorizzatore anche quando la gente non lo vuole….mi chiedo quali inetressi ci siano dietro per mettere a rischio la salute dei cittadini…mi chiedo cosa stia facendo la sinistra per impedire questo orrore.