L’eleganza dell’aragosta
16 Gennaio 2009
Pierluigi Carta
Nelle coste della Sardegna è possibile ravvisare quotidianamente lo spopolamento del mare, molte specie marine si sono già estinte e il fenomeno non risparmia né la flora né i crostacei. La desertificazione dei nostri mari è ciò che Gianni Usai, il direttore regionale di Legapesca in Sardegna, sta tentando di arginare già da dieci anni. La depredazione delle aragoste sottotaglia pur essendo vietata per legge è uso comune in tutte le coste del mare sardo e da questo traffico sono avvantaggiati i pescatori clandestini che distribuiscono il pescato presso i grossisti o direttamente al mercato nero.Il risultato nefasto è stato un brusco calo degli esemplari della specie nei mari sardi. Le statistiche degli anni ’80 registravano un trend di crescita costante fino all’86, raggiungendo picchi di produzione con anche 13 tonnellate annue. Dall’86 in poi la produzione è scesa fino al baratro di 600 Kg all’anno; ora nelle aree che hanno aderito ai progetti di ripopolamento la situazione è un poco migliorata con una tonnellata di pescato. Recentemente la Regione ha firmato i decreti che prevedono l’erogazione dei finanziamenti per i nuovi progetti di ripopolamento delle acque di Su Pallosu. I cinque progetti in via di elaborazione riprendono un progetto avviato dieci anni fa da Legapesca, che prevedeva la chiusura di un tratto di mare per 2 km2 e l’interdizione alla pesca in quell’area. Nel settore protetto si è favorito il ripopolamento della specie dell’aragosta, liberando in mare le aragoste sottotaglia (per i parametri UE sono quelle sotto i 26 cm di lunghezza). Questo nuovo progetto lavora sulla novità della collaborazione stretta tra scienza e applicazione pratica, avvalorandosi della responsabilizzazione diretta dei pescatori locali, contribuendo così ad indirizzare un percorso formativo; Gianni Usai infatti rimarca che questo caso dimostra come anche quantitativi di denaro modesti possono produrre ottimi risultati se mirati nella giusta direzione. L’esperimento è partito nel ’98, nato da un contratto tra il dipartimento di Biologia marina dell’Università di Cagliari e le strutture cooperative di pesca e ha consentito la raccolta di numerosi dati inerenti lo studio dell’aragosta, (il dipartimento di Biologia Marina di Cagliari è uno dei pochi al mondo che si occupa di tale argomento). Sono stati marcati 6000 esemplari, di cui 300 sono stati recuperati anche dopo dieci anni. È stato possibile quindi rilevare importanti informazioni riguardanti la crescita e gli spostamenti, si è scoperto ad esempio che l’aragosta è una nostra risorsa in quanto si sposta solamente sullo stesso tipo di fondale. È stato chiesto alla Regione di estendere il progetto in tutte le marinerie della Sardegna; attualmente chi partecipa all’iniziativa è Legapesca, Conf Cooperative, e Unci Pesca. L’intenzione sarebbe quella di richiedere i sovvenzionamenti per avviare altri venti progetti più i cinque già in corso. La Regione per ora ha solamente approvato il decreto che prevede lo stanziamento di 250.000 € per ogni progetto per tre anni; Gianni Usai spera che la macchina amministrativa non si inceppi nuovamente nelle guerre tra i politici e che ciò non ritardi troppo l’erogazione del finanziamento, trattandosi di progetti di complessa attuazione e a lungo termine. Lo spopolamento del mare è causato dall’attività della pesca industriale attuata tramite le reti a strascico, proibite per legge ma quotidianamente utilizzata dai bracconieri dei nostri mari, questi Francis Drake dalle reti troppo fitte battono costantemente le nostre coste entro il limite di un miglio e mezzo, portando via in una notte, come è stato calcolato, il lavoro di una barca artigianale per un anno. La legge prevede il pescaggio di solo il 10% delle aragoste sottotaglia; l’esperimento consiste nel reinserire nelle riserve gli esemplari pescati sottotaglia, ottenendo in breve tempo risultati stupefacenti; ci sono stati aumenti del 3000%, non solo nella riserva ma per un’area di diverse miglia. Gli esemplari rilasciati diventano le “fattrici”, le quali rilasciano milioni di uova, ottenendo quindi un aumento esponenziale. Un particolare che si è potuto notare è che il mare sardo, almeno nella zona delle coste dell’oristanese è in buone condizioni e che l’inquinamento non ha inciso rilevantemente sul depauperamento delle risorse ittiche. I controlli severi sono indispensabili per garantire l’efficacia del progetto e delle stesse aree protette, le leggi esistono già, ma le motovedette, a quanto affermano i pescatori artigianali, non navigano di notte, lasciando praticamente la strada sgombra alle infrazioni delle barche industriali, che dovrebbero pescare con un fondale di non meno di cinquanta metri. Le reti a strascico infatti distruggono anche lo strato vegetativo di Poseidonia, una pianta importantissima che garantisce la produzione primaria di ossigeno. Dove cresce quest’alga non si dovrebbe attuare la pesca a strascico, invece i battelli industriali ultimamente hanno anche modificato gli attrezzi, irrobustendo il fondo delle reti, riuscendo in questo modo a causare un danno maggiore al fondale. L’organizzazione delle aree marine protette, per intenderci quella del Sinis, non ha coinvolto i pescatori artigianali, ciò è stato senza dubbio un errore del ministero e dell’ente gestore, in quanto sensibilizzando i piccoli pescatori, che sono i primi diretti interessati, si potrebbe sviluppare un’autoregolamentazione del territorio. Il risultato ottenuto invece è stato lasciare insorvegliate le zone A, ovvero le zone “Santuario”. Gianni Usai infine sostiene che in Sardegna i politici e la popolazione non hanno mai avvertito il mare come una risorsa capace di produrre ricchezza; secondo lui non si tiene conto del fatto che il mare è un settore primario della produzione e che l’incremento del quantitativo di aragoste o della fauna ittica in generale porterebbe ad un incremento del numero dei posti di lavoro nel settore e del reddito.