L’epidemiologia sia una leva per rinnovare il SSN

3 Gennaio 2025

[Mario Fiumene]

La riforma più rischiosa, e forse più importante, degli ultimi 50 anni può essere l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, con la legge 833/78.

Una legge che è l’espressione dell’articolo 32: tutti devono poter ugualmente soddisfare i propri bisogni sanitari e i costi devono essere sostenuti da tutti, sani e malati, in proporzione alle loro disponibilità.

La legge 833 pose fine alle differenze tra cittadini determinate dalle mutue sanitarie. Lo slogan «Pubblico è meglio» si sviluppo perlopiù nei servizi pubblici o in quelli convenzionati con il pubblico. I servizi privati erano quasi una nicchia per pochi e si limitavano a cliniche di lusso dove operavano comunque i Primari medici degli ospedali pubblici.

Quello che accadde fu importante: una riforma che dava sicurezza a tutti. Due componenti della 833 erano fondamentali: innanzitutto, a differenza del centralismo delle mutue, fu data molta autonomia alle realtà locali con l’istituzione delle USL, pensate mediamente di 40.000 abitanti, e dei distretti di poche migliaia di persone; poi stimolando la partecipazione delle comunità nel governo della sanità con i Comitati di gestione nominati dai Consigli comunali.

Quando ancora non si era raggiunto un adeguato assetto della riforma attraverso la partecipazione democratica al governo della sanità, le USL furono trasformate in Aziende (ASL controllate centralmente dalle Regioni. Queste ASL divennero sempre più ampie, sino a coincidere persino con l’intero territorio regionale; questa spinta al ritrovato concentramento si originò per due motivi: un maggior controllo gestionale e una riduzione sperata dei costi.

Nei primi anni del 2000, esplosero due aspetti critici: la galoppante crescita della spesa sanitaria e la cosiddetta pletora medica, che ha portato all’introduzione del numero chiuso in facoltà e scuole di specializzazione. E’quest’ultimo provvedimento, un determinante dell’attuale carenza di medici specialisti in alcune branche (vedasi medicina d’urgenza per i Pronto Soccorso). La spesa medica, invece, è aumentata, innanzitutto perché c’è stato uno sviluppo notevole nelle prestazioni mediche, poi perché la popolazione è invecchiata e quindi anche i bisogni sono aumentati. Ma, se vediamo il rapporto della spesa con la ricchezza disponibile (il PIL), l’aumento non è mai stato elevato; anzi, ultimamente la tendenza è a diminuire. Le figure 1 e 2 riguardano la spesa sanitaria e sono grafici pubblicati dall’osservatorio CPI della Università Cattolica, in cui il picco del 2020 ovviamente è dovuto al COVID-19 (https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-pubblicazioni-l-evoluzione-della-spesa-sanitaria-italiana).

Sono due decenni che, rispetto al PIL, escludendo le spese per far fronte alla pandemia di COVID-19, le risorse assegnate alla sanità non aumentano, semmai decrescono, nonostante aumentino i bisogni dovuti all’invecchiamento della popolazione e i costi delle prestazioni per il continuo relativo sviluppo, peraltro ovviamente benefico, della medicina. E la legge di bilancio 2024 non è per nulla confortante, nonostante le dichiarazioni enfatiche del governo! A proposito, Giancarlo Giorgetti, l’attuale Ministro dell’Economia, in un’intervista ha affermato che l’aumento del fondo sanitario è una misura a favore dei meno abbienti, perché sono loro che non possono pagarsi le prestazioni. E questo fa intravvedere qual è la visione politica crescente: un sistema sanitario prevalentemente garantito solo per chi non può pagarsi un’assicurazione sanitaria privata! In parte è già così, come risulta dai dati della Indagine Multiscopo Istat del 2022 (figure 3 e 4).

La conseguenza è ovviamente una maggior rinuncia alle cure da parte dei meno abbienti. Allora, c’è anche da chiedersi se un sistema come il nostro servizio sanitario potrà reggersi in futuro se i costi della sanità dovessero aumentare ancora in misura importante. Qual è la quota del PIL per la sanità che un Paese come il nostro può permettersi? E in futuro, se questa quota fosse superata, potrà usufruire di una buona e completa sanità solo chi potrà pagarsela oppure la crescita attuale delle assicurazioni sanitarie private? Assicurazioni che non danno copertura a chi ha più di 75 anni (proprio nell’età critica!!). Grave sarebbe la riammissione della proposta del parlamentare Calderoli sull’autonomia differenziata!!

Gli attuali politici dell’opposizione fanno della sanità un argomento di battaglia, ma non sembra che queste loro giuste rivendicazioni siano vissute come tali da tutta la popolazione e c’è da chiedersi il perché. I giovani, non intravvedono necessità immediate relative alla loro salute e gli anziani abituati ad avere accesso ai servizi sanitari non riescono a cogliere il rischio di perdere un importante sostegno.

Vi è poi una crescente sfiducia nella sanità, con più del 20% degli intervistati nella Indagine Multiscopo Istat che dichiara di avere poca fiducia nei sanitari. E il giudizio è tanto più negativo quanto meno si è soddisfatti della propria salute; nelle Regioni meridionali c’è ancor maggior sfiducia, forse a causa di una sanità ancora meno garantita (figure 5 e 6).

Ma allora che fare? E’auspicabile che l’epidemiologia possa dare un fondamentale sostegno e una rinnovata fiducia al SSN.

Attraverso l’epidemiologia si potrebbero diffondere e commentare i dati pubblici riguardanti lo stato di salute e l’uso di servizi sanitari da parte della popolazione: i dati rimangono confinati e poco consultati anche da parte dei decisori dei servizi sanitari.

Attraverso i dati della ricerca epidemiologica sarebbe possibile predisporre misure di sanità pubblica. La sanità privata, individuale, non si occupa di prevenzione collettiva e si limita necessariamente a trattare i problemi del singolo.

L’obiettivo della 833 era proprio quello di realizzare un SSN che affrontasse globalmente le dimensioni della salute integrando gli elementi individuali con quelli collettivi e, per poter raggiungere questo obiettivo, il lavoro degli epidemiologi è sicuramente determinante. 

La salute si promuove e si protegge concretamente con un approccio globale, sia individuale sia collettivo, e solo un servizio pubblico, se ben governato, può garantirlo. La prevenzione si basa su un quadro epidemiologico che solo un sistema pubblico può fornire. Gli epidemiologi possono dare una mano al SSN anche per evitare attività inappropriate e per valutare l’efficacia delle azioni; la carenza di risorse dipende in parte anche dalle inefficienze e dagli sprechi.

Nel concludere questa breve riflessione, dico che è essenziale mettere mano all’impianto di tutto il sistema sanitario e sociale, innanzitutto definendo una volta per tutte la funzione del medico di medicina generale che sembra abbia perso il suo ruolo centrale: pur restando autonomi dovranno partecipare alle attività delle Case di Comunità, interagendo con altri pari e con altre professionalità, in primis gli infermieri di famiglia e comunità (IFeC).

Una possibile, indispensabile e urgente, ristrutturazione del SSN deve vedere la partecipazione attiva di esperti epidemiologi sia nella fase di analisi che in quella di progettazione e di valutazione. E opinione di tanti addetti ai lavori e di altrettanti cittadini avere un rinnovato Servizio Sanitario Nazionale, che sappia realizzare tutti gli obiettivi fondativi dell’attuale SSN, ma sapendone evitare le criticità via via accumulatesi.

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