Elezioni: non aiuta neanche il fotofinish

1 Marzo 2013
Marco Ligas
Sono diverse le considerazioni che si possono fare sull’esito delle elezioni. Provo a farne alcune non per segnalare particolari novità rispetto alle affermazioni che facciamo solitamente ma per sottolineare l’esigenza di analisi più approfondite e aggiornate.La prima riguarda il recupero dei consensi da parte di Berlusconi e della sua coalizione rispetto ai sondaggi e ai convincimenti di tanti cittadini. Nessuno se l’aspettava e comunque non in queste dimensioni. Non è un caso che gli stessi dirigenti del Pdl, anche i più vicini al loro leader, siano rimasti sbigottiti quando hanno sentito i primi risultati, quelli autentici, che davano la coalizione di centro destra addirittura in vantaggio.
Possiamo spiegare il divario tra le previsioni e i dati reali solo con la grande capacità comunicativa di Berlusconi, grande soprattutto nell’essere impostore e perciò in grado di raggirare molti elettori? O con l’ipotesi secondo cui, quando si fanno i sondaggi, le persone intervistate non sempre rispondono dicendo la verità e perciò falsificano i risultati? Per quanta verità possa esserci in entrambi i casi, non possiamo attribuire il recupero del Pdl solo a queste ipotesi.
Se accogliessimo queste motivazioni sottovaluteremo la dimensione e le caratteristiche delle componenti della destra presente nel nostro paese. In un passato, neppure tanto recente, abbiamo definito il capitalismo italiano straccione. Forse mancano ricerche recenti ma l’impressione che si ricava è che il nostro sistema economico non si  è allontanato da questa realtà. Le attività industriali non sono finalizzate al reinvestimento o alla crescita. Siamo ancora lontani dall’etica protestante di cui ha parlato Weber. Lo spirito del nostro capitalismo è un altro: certo siamo in presenza della globalizzazione che ha modificato molti comportamenti ma i nostri imprenditori ritengono sempre preferibili le speculazioni finanziarie e, insieme ad esse, in barba alle filosofie neoliberiste, i sostegni statali, la riduzione dei costi del lavoro, le rivendicazioni perché le infrastrutture vengano realizzate dal potere pubblico, e così via. Se a tutto ciò si accompagna una richiesta, più o meno diretta, di illegalità (i condoni, l’evasione fiscale, le truffe nei confronti dello stato, lo sperpero del denaro pubblico, ecc.), si capisce come  le componenti della destra riescano a conservare la loro vitalità. Berlusconi e i suoi alleati, ma soprattutto Berlusconi, riescono a cementare questi interessi in diversi modi, sia con un uso sproporzionato e abile dei mezzi di comunicazione, sia facendo leva sulla crisi che spinge molti cittadini a ritenere attendibili gli imbrogli più meschini, come è successo con la promessa della restituzione dell’IMU. In realtà la crisi economica non solo amplia le aree di povertà ma scompagina il tessuto sociale del paese creando nuovi canali e opportunità di consenso. Questo fenomeno si accentua se le formazioni politiche che vorrebbero realizzare le politiche di solidarietà e di equità perdono credibilità e non qualificano il loro impegno con obiettivi concreti come il lavoro o la tutela dei bisogni sociali.
Una seconda considerazione che l’esito elettorale non solo suggerisce ma impone riguarda il successo, anch’esso oltre misura (rispetto alle previsioni), della formazione di cui è leader Beppe Grillo. La sorpresa per l’affermazione del movimento 5 stelle sembra direttamente proporzionale al distacco dei partiti dalla domanda di cambiamento che viene dai cittadini. Una larghissima percentuale di elettori (25/30%) ha detto in modo inequivocabile che non tollera più la corruzione dilagante a tutti i livelli compresi quelli istituzionali, non tollera lo spreco delle risorse pubbliche, né i conflitti di interessi o la politica intesa come sistemazione personale. Chi sceglie l’impegno politico deve capire e affrontare i problemi del paese: sono questi i principi basilari della democrazia. Eppure molti rappresentanti delle istituzioni interpretano queste rivendicazioni come proposte eversive, capaci di destabilizzare gli equilibri(!) del paese. Certo le modalità comunicative di Grillo non rientrano negli stili abituali della politica e talvolta le sue stesse rivendicazioni hanno poco da invidiare all’arroganza di alcuni suoi avversari. Ma al di là della forma, anch’essa importante, resta il messaggio dell’affermazione del m5s: la necessità di un cambiamento reale.
È stato detto, anche nel corso di questa campagna elettorale, che c’è negli atteggiamenti di Grillo del populismo. Non è una critica infondata. Colpiscono infatti alcuni aspetti del m5s: è sempre Grillo, o quasi, il portavoce; non sono identificabili altri (come chiamarli?), rappresentanti o dirigenti; né si capisce quali siano le occasioni di confronto sia per la scelta dei candidati alle elezioni sia per la definizione degli obiettivi politici. Se confermati da una prassi che tende a consolidarsi questi aspetti ipotizzano una fragilità della pratica partecipativa, cioè una minaccia seria per la tenuta democratica anche per un movimento che non intende ripetere gli errori organizzativi di altre formazioni politiche. Questo è un tema importante da cui il m5s non potrà sottrarsi: già la formazione del nuovo governo incalza il m5s perché dia risposte convincenti.
E che dire (terza e ultima considerazione) della sconfitta della sinistra/sinistra? Si è impegnata, ci siamo impegnati, con poca convinzione, in parte consapevoli dell’inadeguatezza del risultato che si sarebbe raggiunto.  La definizione di un buon programma politico, anche grazie all’impegno di Alba e Cambiare si può, non è stata sufficiente perché Rivoluzione civile ottenesse una rappresentanza nel parlamento. La stessa Rivoluzione civile oggi sbaglia ad attribuire le ragioni della sconfitta agli altri schieramenti. Più giusto riconoscere i propri errori: il gruppo che ha assunto la direzione della nuova formazione politica non ha mostrato grandi capacità nell’organizzazione della campagna elettorale; non le ha mostrate sia nella fase della formazione delle liste sia nella conduzione del lavoro successivo. Forse le esigenze delle diverse componenti che hanno dato vita a Rivoluzione civile erano tra loro inconciliabili, protese com’erano a tutelare principalmente il proprio spirito di corpo.
Dovremmo riflettere più a lungo su queste questioni e senza remore.
Oggi mi sento di affermare che forse è positivo che questi piccoli pezzi della sinistra, sopravissuti a troppe divisioni, abbiano perso. Lo dico perché naturalmente mi auguro che da qui possa nascere qualcosa di nuovo e di più efficace per contribuire ad un cambiamento della nostra società.

4 Commenti a “Elezioni: non aiuta neanche il fotofinish”

  1. Nicola Imbimbo scrive:

    Io te tanti altri impegnati con ALBA e “Cambiare si può” per costruire una lista di “cittadinanza politica” non ci siamo poi identificati con la lista Rivoluzione civile di Ingroia, De Magistris, Di Pietro, Ferrero, Diliberto e Leoluca Orlando. Come ALBA non abbiamo dato né indicazione di voto né fatto campagna elettorale, per il modo in cui l’esito delle tante assemblee di Cambiare si può era stato sprezzantemente ignorato a livello regionale e nazionale dai firmatari dell’accordo elettorale.Tu fai bene a sottolinearlo. Anche ALBA dovrà riflettere su questo risultato che pur non avendola vista impegnata direttamente e quindi non sconfitta non credo possa continuare nel suo impegno di costruzione di un Soggetto politico nuovo come se nulla fosse accaduto.E’ stata sancita anche col voto la crisi dei partiti da cui aveva preso le mosse il progetto. Ma come da fisica, il vuoto non esiste.Un soggetto politico nuovo, diverso da quello pensato dagli estensori del “MANIFESTO PER UN SOGGETTO POLITICO NUOVO” lo sta già occupando. L’impresa ALBA potrebbe essere più facile essendo il vuoto di sinistra,ma anche preclusa. Chi sa se quei “piccoli pezzi di sinistra sopravvissuti alle divisioni” vorranno persistere nella vocazioni di frammenti o provare a misurarsi con prospettive nuove e unificanti sul macerie di vecchi partiti e tuttavia su una persistente capacità, necessità e viva voglia di lottare per il cambiamento di aggregazioni varie e vasti strati della società.

  2. Gianni Loy scrive:

    Caro Marco,
    ci proponi riflessioni sensate e pacate. Concordo largamente. Aggiungendo, se mi è possibile, due sole considerazioni.
    La prima è che contrariamente alla nostra abitudine di interpretare, trovare ragioni, spiegare, secondo un rito che, per molti di noi, affonda nella notte dei tempi, dobbiamo, forse, fare un ulteriore passo indietro e, prima di tutto, “predere atto” di quanto è accaduto. Sopratutto pensando che, il risultato che abbiamo davanti, è la scelta consapevole di persone che, magari con ragioni o motivazioni diverse dalle nostre, esprimono e rappresentano i valori, gli umori, le passioni, gli opportunismi del nostro popolo.
    E’ quello che passa il convento.
    La seconda considerazione, conseguente, è che non dobbiamo soffermare l’attenzione su questa classe politica, con i suoi programmi, funambolismi, opportunismi, ma sulle persone che, esprimendo un voto, la giudicano, la innalzano sugli altari e la ributtano sulla polvere.
    E’ questo il termometro della nostra democrazia, l’humus su cui crescono e si affermano, ahinoi, i fenomeni (nel senso etimologico del termine) della classe politica che, governando od opponendoci, ci governa.
    Per ora voglio sopratutto “prendere atto”, poi s’at a biri.

  3. Andrea Pubusa scrive:

    Cari compagni/e,

    per carità, tutto in politica è lecito e ammissibile. Anche tirarsi fuori da uno scontro elettorale aspro, dove la posta in gioco era, al di là delle persone e delle forme, spesso discutibili, un giudizio sul governo Monti, sulla operazione antipopolare che lo ha reso possibile e sulla volontà manifestata dal PD (con SEL al seguito) di una sua parziale riedizione con Bersani al posto di comando. Sul recente passato e su questa prospettiva moderata avanzata dal centrosinistra occorreva unn giudizio esplicito, chiaro e netto e delineare anche in campagna elettorale, seppure in modo poco più che simbolico, una diversa opzione a sinistra. Certo, anche una nostra esplicita presa di posizione non avrebbe modificato di molto il risultato. Per carità, dopo aver taciuto con distacco o parlato d’altro durante la campagna elettorale, è anche lecito e ammissibile ora riiniziare con le analisi di rito e con le lunghe dissertazioni sulle sorti della sinistra, come mi pare proponga Nicola. Ma con quale autocredibilità?

  4. Marco Ligas scrive:

    In un precedente commento ho ricordato come i tempi brevissimi per la formazione delle liste non abbiano aiutato Rivoluzione civile che comunque ha avuto il merito di presentare un programma elettorale convincente.
    Ho aggiunto però che nessuna formazione politica, anche la più innovativa, può rendere praticabili le indicazioni programmatiche se non ha un radicamento nella società, e soprattutto se i suoi obiettivi non sono sostenuti da protagonisti legati al territorio. Rivoluzione Civile, in Sardegna e in altre circoscrizioni, ha imposto candidati che non avevano queste caratteristiche, ha risposto alle esigenze dei gruppi che hanno dato vita alla nuova formazione, dando un’immagine di sé più vicina ad un cartello elettorale piuttosto che ad una coalizione nuova capace di praticare un metodo di lavoro finalmente diverso.
    In questa situazione era difficile che si affermasse. Gli elettori disponibili inizialmente a sostenere la nuova formazione non l’hanno fatto o l’hanno fatto con poca convinzione? Era prevedibile che accadesse. Questo non significa che abbiano scelto Monti o la destra, piuttosto hanno votato distribuendo le loro preferenze tra le diverse formazioni del centro sinistra e, soprattutto, scegliendo M5s. Una catastrofe? No, però siamo lontani da un processo di cambiamento radicale della nostra società. Ripartiamo piuttosto, come suggerisce Gianni Loy, tenendo presenti gli orientamenti dei cittadini.

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