Lettera aperta a Corrado Augias

27 Luglio 2024

[Francesco Casula]

Egregio dottor Corrado Augias, sono un assiduo lettore dei suoi libri: ne apprezzo la profondità e, insieme, la leggerezza. Ma anche il linguaggio estremamente sorvegliato, ricco ed elegante. Frutto, il tutto di una vasta cultura letteraria e storica.

Mi ha perciò sorpreso, quanto ho ritrovato in un suo scritto in cui parla del Sardo come di un “dialetto” e non di una lingua.

Mi son chiesto: semplice sgrammaticatura lessicale? O, come io penso, qualcosa di più grave? Anche lei vittima di pregiudizi – gli Idola fori baconiani – e di luoghi comuni che popolano tanta (in)cultura italica?

Io li capisco, ma nell’uomo della strada e nel profano ma non in chi conosce la storia la letteratura e la legge.

A proposito di leggi: sa che oggi è lo stesso Stato italiano a riconoscere al Sardo lo status di Lingua: nella Legge del 15 dicembre 1999, n.482 concernente “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”?

Ma, a prescindere da questo riconoscimento ricordo che nessun linguista o intellettuale rigoroso e serio ritiene che il Sardo sia un dialetto: ad iniziare dal massimo studioso, agli inizi del ‘900, Max Leopold Wagner (che scriverà una monumentale opera dal titolo inequivocabile: La lingua sarda. Storia, spirito e forma). a Antonio Gramsci.

A proposito di Gramsci, intellettuale di gran vaglia che Lei certamente conosce e apprezza, voglio rammentare quando scrive in una lettera dal carcere alla sorella Teresina, il 26 Marzo del 1927, “[…] Devi scri­vermi a lungo intorno ai tuoi bambini, se hai tempo, o almeno farmi scrivere da Carlo o da Grazietta. Fran­co mi pare molto vispo e intelligente: penso che parli già correttamente. In che lingua parla? Spero che lo lascerete parlare in sardo e non gli darete dei dispia­ceri a questo proposito. È stato un errore, per me, non aver lasciato che Edmea, da bambinetta, parlasse libe­ramente il sardo. Ciò ha nociuto alla sua formazione intellettuale e ha messo una camicia di forza alla sua fantasia. Non devi fare questo errore coi tuoi bambi­ni. Intanto il sardo non è un dialetto, ma una lingua a sé” “[…].

Chiaro dottor Augias?

Una lingua a sé: non un dialetto. Con proprie strutture sintattiche e grammaticali, espressioni foniche e semantiche, peculiari, autonome e distinte da tutte le altre lingue neolatine, ad iniziare dall’italiano, rispetto al quale nasce circa 300 anni prima. Come lingua parlata e scritta comunemente ma anche come lingua ufficiale e cancelleresca dei quattro regni giudicali sardi.

Ciò premesso occorre anche aggiungere che la linguistica moderna, scientifica, non distingue né fa differenze tra ciò che comunemente si chiama lingua da ciò che si chiama dialetto. Ciò che rende differente ciò che noi chiamiamo lingua da quello che chiamiamo dialetto non è qualcosa di insito nel sistema linguistico ma l’uso e l’importanza sociale dello stesso. In altre parole, fra lingua e dialetto non ci sono differenze culturali ma politiche e giuridiche.

Per cui schematicamente potremmo affermare che la lingua è un dialetto che nella storia “vince” politicamente: così è stato per l’Attico di Atene in Grecia; per il castigliano di Madrid in Spagna; per il francese che da “dialetto” di Parigi, in seguito alla supremazia della città, è stato adottato come idioma di tutto lo stato francese; per lo stesso italiano che da “dialetto” di Firenze, diviene idioma comune a tutta la penisola per il prestigio culturale degli scrittori fiorentini,

O pensiamo ai “dialetti” dei vari paesi africani e asiatici ecc., che una volta decolonizzati e ottenuta l’indipendenza, diventano “lingue”. È cambiata qualcosa? Sì. Lo status politico e giuridico, non altro. Ed è proprio lo status politico, in buona sostanza, a distinguere una lingua da un dialetto. A questo proposito è quanto mai opportuno ricordare la famosa definizione del linguista tedesco-baltico Max Weinreich: “Una lingua è un dialetto con un esercito e una flotta”.

2 Commenti a “Lettera aperta a Corrado Augias”

  1. Francesco Giretti scrive:

    Mi ha colpito particolarmente la definizione di Max Weinreich: “Una lingua è un dialetto con un esercito e una flotta”. che spiega bene il concetto. Per il sardo per trovare esercito e flotta occorre tornare agli Shardana!

  2. dionisio pinna scrive:

    Mia madre, nata e vissuta in Basilicata, insegnante elementare, nel 1939 si trasferì a Cagliari per sposare un sardo originario di Pozzomaggiore. Che, dopo quattro anni dalle nozze, perì nel bombardamento del 28 febbraio 1943. Rimasta vedova con due figli piccoli (uno nato addirittura in un rifugio venti giorni dopo la morte del marito) si trasferì a Sestu, dove insegnava, e lì visse fino al 1952.
    Riteneva che compito primario di un insegnante fosse insegnare la lingua italiana e che il “dialetto sardo” fosse la lingua degli analfabeti. Che i suoi figli lo parlassero era disdicevole perchè dovevano dare l’esempio agli altri. Era una brava insegnante che considerava il suo lavoro una vera e propria missione.
    Prediligeva i più deboli fra i suoi alunni, che spesso portava a casa per una sorta di doposcuola. Ed era stimata e ben voluta.
    Nell’infanzia del sardo ho solo imparato qualche parola e qualche espressione scurrile, tanto per ridere.
    E pensare che mia madre condiva il suo buon italiano con adagi e proverbi in perfetto dialetto campano (aveva studiato a Napoli), che alle mie orecchie risultavano molto gradevoli, seppure spesso incomprensibili e necessitanti di traduzione.
    Lasciata la Sardegna sono diventato continentale e tale sono rimasto per tutta la vita successiva.
    Se la mamma fosse viva le regalerei la lettera di Francesco Casula a Corrado Augias. Per dirle che mi sarebbe piaciuto lasciare l’isola di Sardegna, a nove anni, portandomi appresso un salutare bilinguismo.

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