L’Europa si toglie la maschera
1 Luglio 2015Marco Ligas
Non è una novità che l’Europa stia attraversando una crisi difficile. In alcuni Paesi si registrano livelli di povertà preoccupanti e le stesse istituzioni democratiche mostrano la loro fragilità.
Se pensiamo agli obiettivi che l’Unione si è posta sin dalla sua origine dobbiamo concludere, con amarezza, che siamo ben lontani dalla loro realizzazione. Ricordiamoli questi obiettivi e valutiamoli tenendo presenti due vicende contemporanee emblematiche: 1) ciò che succede oggi in Grecia e 2) il trattamento riservato ai migranti.
L’Unione, così è detto nei trattati condivisi, dovrebbe fondarsi sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi quelli delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri. Inoltre, le società degli Stati membri si caratterizzano per il pluralismo, la non discriminazione, la tolleranza, la giustizia, la solidarietà e la parità tra uomini e donne. Tali valori svolgono un ruolo importante, e soprattutto in due casi concreti. In primo luogo, il rispetto di questi valori è una condizione preliminare per qualsiasi adesione di un nuovo Stato membro all’Unione secondo la procedura enunciata all’articolo I-58. In secondo luogo, la violazione di tali valori può comportare la sospensione dei diritti di appartenenza di uno Stato membro all’Unione (articolo I-59).
Se i rappresentanti dei Paesi membri di questa Europa fossero coerenti e rispettosi delle norme stabilite, non solo dovrebbero dimettersi dai loro incarichi senza alcuna indecisione, ma più opportunamente dovrebbero accompagnare le loro dimissioni alla dichiarazione di fallimento dell’Unione Europea così come è stata concepita dai padri fondatori.
Ma non lo fanno, e con la protervia che li caratterizza continuano le loro politiche tese ad accentuare le disuguaglianze tra i Paesi ricchi e quelli poveri e, all’interno dei vari Paesi, le disparità tra le classi sociali agiate e quelle meno abbienti.
In questi giorni è stato chiesto al governo greco di accettare un vincolo che prevede nuovi tagli alle pensioni, ulteriori riduzioni dei salari nel settore pubblico, l’aumento dell’IVA per i generi alimentari, per il settore della ristorazione e del turismo, e l’abolizione degli alleggerimenti fiscali per le isole della Grecia. È l’unico modo, dicono sia il FMI che la BCE, perché la Grecia possa risparmiare e risanare i debiti contratti dai governi precedenti. Che queste misure peggiorino le condizioni di vita del popolo viene considerato un fatto secondario, meglio rimpinguare le casse delle banche che sono state generosissime nella concessione dei prestiti, ben consapevoli che poi il popolo greco sarebbe stato costretto a pagarli attraverso le politiche recessive.
È evidente come queste imposizioni violino gli obiettivi e i diritti che la stessa Unione Europea dice, con ipocrisia, di voler tutelare. Se si impongono politiche di impoverimento siamo ben lontani dal rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia e della solidarietà.
Ma c’è un altro aspetto grave nell’ultimatum presentato al governo greco: riguarda la tassa sui grandi patrimoni che Tsipras aveva previsto nel suo programma di governo. L’UE intende cancellarla. C’è da chiedersi come L’UE possa giustificare questa decisione, soprattutto dopo aver imposto la riduzione delle pensioni. Il salvataggio dei grandi patrimoni di singoli cittadini non è una scelta tesa al risanamento del debito pubblico ma un’indicazione ben precisa che ha la scopo di tutelare le politiche neoliberiste della troika: colpire le fasce deboli della popolazione e salvaguardare i patrimoni dei ricchi.
Davanti a questa arroganza è del tutto condivisibile la reazione del governo greco finalizzata a garantire la democrazia e la sovranità nazionale. Giusto dunque il rifiuto delle imposizioni accompagnato dalla proposta referendaria del 5 luglio. È bene sottolineare come nella scelta di Tsipras non c’è l’orientamento di uscire dall’Unione Europea. Non a caso viene ribadito che l’Europa deve essere la casa comune dei suoi popoli e come, al suo interno, non debbano esserci padroni e ospiti. Un sostegno al governo e al popolo greco dovrebbe arrivare anche dai rappresentanti delle nostre istituzioni; purtroppo sono assenti, l’unica affermazione che hanno rilasciato ci informa che il nostro paese non subirà conseguenze dall’eventuale uscita della Grecia dall’euro!
L’altra vicenda a cui ho fatto riferimento riguarda il trattamento che, nella nostra grande Europa, viene riservato ai migranti. Non mi soffermo sui molteplici e tragici episodi che si sono verificati negli ultimi tempi. Il manifesto sardo ne parla frequentemente senza tacere la gravità di alcune prese di posizione di capi di Stato europei.
Proprio in questi giorni sono stati definiti i quattro pilastri su cui si baserà la nuova agenda della Commissione UE sul’immigrazione. Li indico come li ha presentati Federica Mogherini: 1) ridurre gli incentivi alla migrazione irregolare, 2) gestire e rendere sicure le frontiere esterne della Ue, 3) proteggere i richiedenti asilo e 4) creare una nuova politica della migrazione legale.
La Mogherini ha precisato che l’Italia sarà esonerata dal dover accogliere nuovi profughi, perché il nostro Paese ha già superato la quota prevista dagli schemi di redistribuzione presentati dalla Commissione. Salvini dunque potrà stare tranquillo.
È possibile cogliere in questi pilastri (che termine incauto!) qualche segnale di cambiamento rispetto al passato? Per esempio, i migranti che riusciranno a lasciare i loro paesi ce la faranno ad arrivare in territorio europeo senza morire annegati nel Mediterraneo? E se arriveranno, verso quali paesi saranno avviati?
Cerchiamo di orientarci e di capire meglio le decisioni dell’UE. Non so se in passato abbiamo incentivato la migrazione irregolare. Ho paura che non abbiamo incentivato neppure quella regolare e allora c’è da chiedersi a che cosa ci riferiamo quando parliamo di frontiere esterne sicure: forse alla disposizione delle forze dell’ordine che avranno il compito, lungo i confini, di allontanare (ma come?) i migranti irregolari.
Ancora, i migranti che arrivano da noi, in Europa, hanno bisogno di ospitalità. È sensato parlare di migrazioni legali o illegali? C’è da chiedersi se i nostri rappresentanti istituzionali siano consapevoli del significato delle parole che usano.
In realtà, la conclusione che ancora una volta si ricava è che l’Unione Europea, quando non riesce a trovare una soluzione unitaria sul problema che affronta, o rinvia la decisione o ne trova una che colpisce i più deboli. Grecia e migranti sono oggi l’anello debole della catena: su di loro si riversa l’inettitudine, l’arroganza e il potere di questa Europa che non sembra disponibile a rispettare le norme accettate e sottoscritte nei vari trattati.