Liberi, uguali, fratelli
1 Agosto 2011Joan Oliva
Stiamo vivendo in un momento storico pieno di segni positivi. La generazione dei nostri figli ha eccezionali possibilità. La relativa facilità dei viaggi e i cosiddetti “fenomeni migratori” offrono a loro l’occasione di crescere maturando un sentimento sempre più forte: siamo tutti appartenenti alla famiglia umana.
Gli uomini si sono sempre spostati sulla superficie del nostro pianeta ma mai con l’intensità che contraddistingue i nostri giorni. Il mondo intero si è fatto nostro prossimo. “Noi sentiamo il mondo; prima lo pensavamo, solamente. Sentivamo il nostro piccolo mondo, eravamo compartecipi dei dolori, delle speranze, delle volontà, degli interessi del piccolo mondo nel quale eravamo immersi piú direttamente. Ci saldavamo alla collettività piú vasta solo con uno sforzo di pensiero, con uno sforzo enorme di astrazione. Ora la saldatura è diventata piú intima. Vediamo distintamente ciò che prima era incerto e vago. Vediamo uomini, moltitudini di uomini dove ieri non vedevamo che Stati o singoli uomini rappresentativi.”.
Così scriveva Antonio Gramsci dopo la prima guerra mondiale. Questo sentimento vale ancora di più oggi. E anzi potremmo aggiungere: “Il mondo che sentivamo ora lo possiamo anche toccare, ci sta seduto accanto”. Si diceva un tempo: “La Cina è vicina”.
Mio figlio, alle medie, ha un compagno di scuola cinese. Gli dico:” Ritorna a casa, ogni giorno, con una parola nuova in cinese”. Non mi da retta, alla lettera, ma ha già imparato alcune espressioni in quella lingua (per noi difficilissima).
Mie figlie, alle elementari, hanno per compagni di classe due bambini rom. Sulla loro storia e cultura sanno molte più cose di me alla loro età. E’ per loro normale che a scuola si organizzino iniziative, ricerche, letture, spettacoli e giochi che hanno al centro storie che riguardano “gli zingari”. Sanno come ci si saluta nella loro lingua. (per inciso: in famiglia parliamo generalmente in italiano, ma anche a volte in sardo nella variante logudorese, a volte in catalano-algherese. Non siamo interessati agli standard).
Si dice comunemente che le nuove generazioni hanno più stimoli di quanti ne abbiano avuto quelle che le hanno precedute. Forse. Sicuramente hanno stimoli diversi, molo diversi. I nostri figli possono sperimentare contatti fra mondi che prima sembravano lontanissimi e inavvicinabili. La strada sarà lunga ma l’internazionale futura umanità sta nelle cose; è oggi, volenti o nolenti, qualcosa di più di un vago orizzonte ideologico.
Le nuove generazioni, se solo non si chiudono superbamente nell’egoismo e nel pessimismo dei privilegiati destinati alla sconfitta, possono concretamente imparare a comunicare, vivere e costruire assieme, senza aver paura dell’altro. Compagno di banco, compagno di studi, compagno di lavoro, compagno di lotta, compagno di vita. I nostri figli possono sentire, meglio di noi, l’appartenenza ad un’unica famiglia umana. Possono sentire meglio della nostra generazione l’identità degli interessi della globalità degli uomini rispetto ai sistemi economici, politici, sociali, culturali attualmente al potere.
Possono sentire l’inadeguatezza dello stato di cose presente. E l’urgenza di cambiamento. Da una parte gli uomini in carne ed ossa, con i loro bisogni, dall’altra l’astrattezza delle “leggi economiche”, l’astrattezza del sistema finanziario e bancario, delle società di capitali e anche la stupida astrattezza delle ideologie neo-nazionaliste con le lugubri visioni (“o noi o loro”) e le tragicomiche misure protettive a favore solo dei primi nati sotto le stelle e strisce e sotto le stelle di Schengen.
Noi, capovolgendo i termini, possiamo interpretare i flussi migratori come ingerenza umanitaria nella nostra realtà falsata dal sistema di potere economico, politico e massmediatico.
I benestanti europei, semidei con standard di vita statunitense, non possono proprio raffigurarsi come gli indiani della praterie, come fa la propaganda leghista. Sono semmai i discendenti di quelli che son diventati più ricchi e potenti eliminando quelle popolazioni e sottraendogli la terra, o di quelli che indirettamente di quei massacri si sono avvantaggiati.
Si sa, il potere poggia la sua legittimità sulla forza, ma nel nostro sistema politico ha formalmente bisogno del consenso popolare. L’incubo dei superbi semidei è la gioia dei figli dell’uomo, che restano umani riconoscendosi fratelli: dall’arrivo di moltitudini di migranti nelle cittadelle del potere e della ricchezza accumulata (con l’ingiustizie) non può che venirne del bene per l’umanità intera.
“Ben scavato vecchia talpa”.
Chiedeteci pure di ripiegare le bandiere rosse, di rinunciare a simboli come il pugno chiuso e la falce e il martello, ammettiamo che possa esistere altro dalla materia fisica, altre dimensioni del reale, abbiamo ormai da tempo accettato di manifestare insieme a fedeli che praticano differenti religioni, ma non chiedeteci di rinunciare all’ideale, che ci accomuna tutti: l’ internazionale futura umanità. Liberi, uguali, fratelli.
9 Agosto 2011 alle 22:56
Sono d’accordo su tutto. Bellissimo, profondo, commovente, come sempre, l’articolo di Oliva che tratteggia quasi perfettamente l’evento epocale che stiamo per vivere che per trovarne di eguali bisognerebbe tornare indietro di qualche millennio. Vorrei però porre l’attenzione su due termini, in questi tempi nei quali le parole e il loro significato vengono facilmente stravolti, così che non solo le nuove generazioni, ma anche le vecchie assieme “possano concretamente imparare a comunicare, vivere e costruire assieme senza avere paura dell’altro”. Quindi più che di “astrattezza”delle leggi economiche e del sistema finanziario e bancario il termine giusto mi pare “colossale imbroglio”. Già all’inizio del secolo una bella mente come Jean Jono descriveva perfettamente e semplicemente i termini della questione (per non rischiare il default-come si dice oggi-basta stampare altri soldi), ma quello che stupisce ancor oggi è che fior di economisti di tutte le estrazioni-vedasi titoli di tutta la stampa- non denuncino il fatto che si sta dando un valore smisurato a ciò che in realtà strozza e uccide chi il “valore” veramente “produce”.
L’altro termine è “uguali”.Qui bisognerebbe aprire una discussione molto più profonda ma il tempo e il web ora non ci lasciano molto spazio.Vorrei solo ricordare due detti sardi: uguale è masciu e masciu e femina e femina(Sennori) e chentu concas chentu berrittas(tutta la Sardegna) Io preferirei usare “imprenscindibili/complementari”
12 Agosto 2011 alle 17:52
A proposito del termine “uguali” vorrei cercare di difenderlo. Metaforicamente, va trascinato fuori dal “piano” (in lat.“aequus”) da cui proviene e che potrebbe magari degenerare nell’”appiattimento”, fino a condurci nei pantani dell’”omologazione”, pericolo che Amleto teme. Fra gli ideogrammi cinesi c’è n’è uno costituito da due brevi linee parallele二, che ricorda il segno “uguale” e che invece corrisponde alla parola “due”. Ed in effetti non si può dare uguaglianza senza una relazione fra almeno due entità. Possiamo essere uguali proprio perché siamo più di uno. Possiamo essere uguali proprio perché siamo “diversi”. Nel detto sardo che cita Amleto l’uguaglianza sta fra “chentus” e “chentus” (cioè ognuno ha un copricapo, variano le forme e i colori de “sas barrita” oltre alla loro misura e naturalmente alle idee dentro “sas concas”). Il detto esprime bene un concetto di uguaglianza rispettosa delle individualità. La nostra uguaglianza non ci “obbliga” ad incontrarci se non all’Infinito (così vale per le parallele) o nelle tante forme in cui può darsi Amore (così vale fra “masciu e femina”). Il “piano” che possiamo ritrovare, lottando per l’uguaglianza, è allora quello del mondo liberato dai “cumuli” di piccole e grandi ingiustizie che impediscono ai figli dell’uomo di comunicare fra di loro. Se liberamente lo vogliono. Fra i detti sardi citerei anche: “ In su mundu totu sos homines sunt necessarios”. Imprescindibili, come suggerisce Amleto.