Licenziamenti anonimi

16 Aprile 2013
Roberto Loddo
Il 12 aprile la redazione di cagliaripad.it ha deciso di pubblicare integralmente la lettera anonima di un imprenditore sardo rivolta al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La decisione della redazione è determinata dal ”grave momento di difficoltà che il mondo delle imprese sta vivendo”. L’anonimo imprenditore descrive ai lettori del giornale online e al Presidente cosa si prova quando si licenziano delle persone: “Avere una pietra in gola e non sapere come far uscire la voce. La consapevolezza che dopo le tue parole un mondo intero crollerà sulle spalle di un’altra persona e che da quel momento in poi sarà solo il destino a decidere per lei”. La maggior parte dei cinquanta commenti che seguono la lettera esprimono vicinanza, stima e solidarietà all’imprenditore. In pochi si domandano quali cause reali ci siano dietro la crisi aziendale. Eppure non è un dettaglio poco importante.
La scelta dell’anonimato dell’imprenditore è spiegata in maniera estremamente curiosa: “La mia scelta di restare anonimo non è casuale, il mio è un dramma reale e sono talmente vicino alle persone che soffrono con me, e le rispetto talmente tanto, che non mi permetterei mai di mettermi in prima linea come protagonista-eroe della mia lettera. Alla gente piace leggere, partecipare e condividere queste cose, ma per me resta soltanto uno sfogo intimo e profondamente doloroso”.
Personalmente, di fronte al dramma della perdita del posto di lavoro, non riesco ad essere totalmente comprensivo nei confronti di questo anonimo imprenditore.
Può un licenziamento rimanere uno sfogo intimo e doloroso? No. Almeno finché esisterà in Italia una vecchia legge, ancora in vigore dal maggio 1970, lo Statuto dei Lavoratori.
Finché esisterà la legge 300 e la tutela dei diritti nel mondo del lavoro, questo imprenditore anonimo potrà anche scrivere a Papa Francesco o al Segretario generale delle Nazioni Unite, ma se non uscirà fuori allo scoperto, a difendere con i denti la sua azienda, dimostrerà solamente la sua mancanza di coraggio. Sarebbe stato interessante poter leggere, oltre l’identità dell’imprenditore, il nome dell’azienda, il numero dei dipendenti attualmente in produzione e la tipologia di contratto collettivo nazionale che la società sta applicando. Sarebbe stato altrettanto interessante comprendere i reali motivi della crisi di questa società e sopratutto il punto di vista delle lavoratrici e dei lavoratori coinvolti in questo dramma.
Eppure la vertenza Energit in Sardegna ha dimostrato che un azienda può essere salvata mantenendo ai massimi livelli l’interesse dell’opinione pubblica verso la tutela dei propri posti di lavoro. Un interesse che ha evitato la chiusura perché è stato sommato all’impegno dei sindacati e delle istituzioni.
Rimanere anonimi non è la soluzione utile per uscire dalla palude di una crisi aziendale. A meno che non si pensi che anche un licenziamento possa rimanere sotto il silenzio dell’anonimato.
La descrizione delle “emozioni” che l’imprenditore vorrebbe condividere con Napolitano si spinge oltre la sfera dei sentimenti e arriva finalmente alla descrizione delle procedure seguite dalla società per la comunicazione dei licenziamenti: “E non c’è un CHI che valga più di un altro. C’è solo una fottuta logica burocratica che impone di scegliere inesorabilmente l’ultimo della lista. L’ultimo assunto, a scalare dal basso”. E’ difficile comprendere a quali leggi, e a quale logica burocratica quest’imprenditore faccia riferimento per licenziare le persone. Ha dichiarato lo stato di crisi? Se si, allora perché non esce allo scoperto, e cerca una soluzione condivisa con le lavoratrici e i lavoratori per uscire dalla crisi? Prima di procedere ai licenziamenti, ha richiesto l’attivazione degli ammortizzatori sociali? Ha comunicato ai sindacati le procedure che intende seguire e il numero delle persone che saranno coinvolte nei licenziamenti?
Secondo i dati di Rete imprese Italia in Sardegna muoiono 27 imprese al giorno e negli ultimi cinque anni hanno chiuso i battenti 3.200 imprese artigiane con la perdita di oltre sei mila posti di lavoro. 27.979 persone si trovano parcheggiate a casa con gli ammortizzatori sociali in deroga. Per il 2013, 1486 aziende hanno fatto richiesta di cassa integrazione per quasi 9500 lavoratori.
È difficile immaginare tutti questi imprenditori dedicare il proprio tempo all’invio di lettere anonime al Presidente della Repubblica.

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