L’irresponsabilità politica e la responsabilità filosofica
1 Dicembre 2019[Amedeo Spagnuolo]
Viviamo in un’epoca che possiamo definire della deresponsabilizzazione generale, si ha l’impressione che l’uomo, schiacciato dalla disperazione di una vita priva di senso, sia giunto alla conclusione che l’unico modo per cercare, quanto meno, di sopravvivere sia quello di condurre un’esistenza che tenga conto unicamente del “qui e ora”.
Questa però può diventare una buona filosofia di vita quando non viene assolutizzata e quindi è capace di non rendere, la necessaria assunzione di responsabilità nei confronti delle generazioni future, un aspetto marginale. Infatti, è proprio quello che ci sta accadendo, ognuno di noi vive in maniera autoreferenziale, non si dedica più all’altro, al punto che gli stessi figli sono considerati quasi un fardello, un peso che rende la nostra vita ancora più cupa e problematica e quindi ci comportiamo come se noi adulti fossimo l’ultima generazione destinata a vivere sul pianeta Terra, per cui tutto quello che accadrà dopo di noi non c’interessa.
E i nostri figli? Al diavolo anche loro, in qualche modo si arrangeranno, intanto c’illudiamo di goderci la vita e andiamo avanti, giorno dopo giorno, depredando il presente e fregandocene del futuro e di quelli che verranno dopo di noi.
Da dove hanno origine queste farneticazioni? Non siamo stati sempre così egoisti, io almeno ricordo che quando ero adolescente prima e studente universitario dopo, ero anche troppo proteso verso il futuro, eravamo quasi tutti spinti da un’incredibile energia che ci forniva la certezza assoluta che prima o poi saremmo riusciti a cambiare il mondo e a renderlo migliore.
Mai avrei pensato allora di dover vivere in età adulta tempi così bui, tempi cupi nei quali la barbarie avanza e l’unica cosa che conta è saccheggiare il presente noncuranti che, continuando in questo modo, la devastazione, inevitabilmente, si abbatterà sul futuro.
Pensiamo, ad esempio, a quello che sta accadendo a livello mondiale per ciò che riguarda l’atteggiamento di tanti politici nei confronti dell’ambiente.
Il presidente degli USA, Donald Trump, è il campione di questa nuova pseudofilosofia informata dall’egoismo e dalla cancellazione del futuro. Trump è, probabilmente, il presidente più irresponsabile che gli USA abbiano generato, lo dimostra la guerra che ha scatenato nei confronti dell’ambiente da quando si è insediato alla Casa Bianca: l’uso smodato e senza regole dei pesticidi, la cancellazione dei limiti imposti alle emissioni delle centrali elettriche, addirittura il rilancio della fonte energetica più inquinante, il carbone, senza contare le sue deliranti affermazioni a riguardo della possibilità di tornare a utilizzare il micidiale amianto.
La sua avversità a qualsiasi politica di tutela ambientale è ormai evidente e si è concretizzata con il ritiro degli USA dal Patto di Parigi sul riscaldamento globale. Il Presidente Trump rappresenta, in maniera esemplare, la società egoista e deresponsabilizzata dei nostri tempi, quella formata da individui interessati unicamente a consumare freneticamente il presente incuranti di preservare il pianeta per i nostri figli e nipoti.
A questo proposito potrebbe essere salutare riproporre le osservazioni del grande filosofo tedesco Hans Jonas che nel 1979 scrisse un bellissimo libro dal titolo Il principio responsabilità. In esso il filosofo tedesco sviluppa un’interessante analisi che parte da un’etica razionalista applicata prevalentemente ai temi dell’ecologia. Egli afferma, mostrando l’incredibile attualità della sua filosofia, che l’uomo deve applicare il principio della responsabilità a ogni piccolo gesto, a ogni atto che egli compie poiché questi avranno, inevitabilmente, delle conseguenze su chi verrà dopo di noi.
Nello specifico egli si concentra sullo sviluppo tecnologico e sul devastante impatto che esso può avere sul nostro pianeta asservito totalmente alla logica dominante del profitto. Jonas, infatti, afferma che quest’etica della responsabilità deve basarsi sulla seguente formulazione: “Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la continuazione di una vita autenticamente umana”. Per fare questo bisogna però limitare quella che Jonas definisce “l’esagerazione tecnica” alimentata dall’assurda filosofia del progresso illimitato e dall’altrettanto assurda “arroganza filosofica” che autorizza l’uomo a concepire la natura come qualcosa che esiste per essere a disposizione completa dell’uomo e del soddisfacimento della sua avidità.
In Italia, purtroppo, corresponsabile, a livello politico, di questa irresponsabilità diffusa nei confronti dell’ambiente nel quale viviamo e dunque nei confronti delle generazioni future, è senza ombra di dubbio anche la sinistra del nostro paese o meglio quella parte della sinistra che da molti anni ormai ha abbandonato al proprio destino tutti coloro che vivono ai margini della società capitalista e, durante il renzismo, ha subito una vera e propria mutazione antropologica trasformando il maggiore partito della sinistra italiana in un organismo politico di destra travestito da forza politica di sinistra.
Dati questi presupposti, una sinistra italiana moderna e al passo coi tempi non può più ritenere la questione ambientale un aspetto marginale e secondario del suo programma politico, soprattutto dopo che le recenti elezioni europee hanno sancito in quasi tutta Europa l’avanzata dei partiti d’ispirazione ecologista. Il vero problema è che in Italia non solo non esiste una sensibilità ecologista di massa, purtroppo non esiste più nemmeno una sinistra autentica che possa farsi carico anche della questione ambientale.
In questo clima d’irresponsabilità generale è caduta anche la sinistra italiana che, a partire dall’ultimo Segretario del PCI Achille Occhetto in poi, ha dissipato decenni di esperienze e fondamentali conquiste proprio perché, parafrasando Jonas, essa non ha agito in modo tale che gli effetti della sua azione fossero compatibili con la continuazione di una vita umana solidale e dignitosa.
2 Dicembre 2019 alle 01:16
La conclusione dell’articolo, che condivido pienamente, sembra non collimare con quanto sostenuto prima e cioè che la mutazione antropologica del partito di sinistra sarebbe avvenuta col renzismo. In verità la sterzata verso il neoliberismo, la subalternità a un sistema di mercato predatorio e vorace, la lenta rassegnazione all’esistente, cancellando, con i simboli della sua storia, una tradizione nobile e un orizzonte di valori, tutto questo è cominciato alla fine degli anni Novanta, ben prima del renzismo.