L’isola che non c’è? – Un interrogativo civico ed etico su ciò che chiamiamo ancora la nostra isola

26 Ottobre 2024

[Aldo Lotta]

Ma siamo sicuri che la Sardegna sia davvero, oggi, un’isola? Forse ha continuato ad esserlo fino a qualche decennio fa, fin quando l’Unione Europea ha sembrato tener fede ai principi per cui è nata.

Dopo le due grandi tragedie della prima metà del ‘900, contro i campi di concentramento, i fili spinati, la tortura, le discriminazioni e contro il razzismo. E a favore dei diritti dell’uomo, specie dei più svantaggiati, a cominciare dall’uguaglianza, la solidarietà, il diritto allo studio, alla salute, al lavoro, alla casa, alla libera circolazione dell’individuo.

Certo, per dirla con le parole del giurista Luigi Ferrajoli “l’Europa aveva un debito gigantesco nei confronti del resto dell’umanità. Per secoli, proprio in nome del diritto di emigrare, da essa stessa teorizzato alle origini dell’età moderna, ha invaso, depredato e assoggettato gran parte del pianeta. Nel secolo scorso ha allevato fascismi e razzismi e ha scatenato due guerre mondiali”*. Non a caso, nel tentativo di non ingannare se stessa e l’intelligenza dei suoi abitanti, ha voluto stilare solennemente una Carta fondamentale dei diritti dell’uomo, grandiosa, avanzatissima, così come fondamentale resta la nostra, italiana,  altrettanto solenne, Carta Costituzionale.

Ma per tornare alle affermazioni di Ferrajoli “oggi l’Europa sta rinnegando se stessa. Con le sue leggi contro i migranti – le odierne leggi razziste – ha moltiplicato le disuguaglianze di status, per nascita, tra cittadini, stranieri più o meno regolarizzati e immigrati clandestini ridotti allo stato di non-persone. Ha fatto così la sua ricomparsa la figura della persona illegale, per colpa soltanto della sua identità ed esistenza. Pagando, per imprigionarli nei loro lager, i regimi dai quali i migranti tentano di evadere, l’Europa si è nuovamente consegnata agli egoismi nazionali, ai populismi xenofobi, alle paure, alle intolleranze e ai suprematismi identitari, in una gara penosa di tutti i suoi Stati membri nelle politiche di esclusione e repressione dei diversi”.

Da qui a identificare il clima in cui stiamo vivendo come esito infernale e tossico di una cultura della violenza che si credeva sanata e dimenticata il passo è breve. Violenza che si declina in tanti modi: sfruttamento, derisione delle norme etiche e giuridiche, diffusione di veri e propri campi di internamento dove si pratica la tortura, apartheid di fatto nei confronti di larghe fasce di popolazione. Lo vediamo nel campo dell’istruzione, della salute, del settore penitenziario: 75 suicidi fino ad ora contro i 70 dell’intero 2023. Lo vediamo nelle pieghe della mera sussistenza civile: 15 milioni di persone in stato di povertà, di cui sei milioni di poveri assoluti…ma sono certo che ognuno di noi potrebbe riflettere su un elenco lunghissimo di prove di una violenza sadica e spietata da parte del potere, del palazzo. Lo vediamo, infine, nell’incombenza tragica dell’attuazione del D.L. 1660, coacervo di principi razzisti e liberticidi, provocatoriamente anticostituzionali.

Trovarsi in alcuni luoghi della Sardegna, come i poligoni o l’RWM, ci fa sentire come se, attraversando un luogo riconosciuto come un presunto Paradiso, ci trovassimo improvvisamente sull’orlo di un baratro infernale. Perché da qui è finalmente possibile vedere, come dall’alto, i prodotti di una violenza inenarrabile. Violenza espressa in tanti modi, fino al crimine più orrendo contro l’umanità: la guerra. Esiste, anche da noi, un tripudio di psicopatici intorno a questo settore: in particolare ho letto di un asse Roma-Berlino (certo, fa rabbrividire, ma è così): protagonisti Leonardo e Rheinmetall, produttori di tutto quanto possa causare morte e distruzione, dai carro-armati che giungono in Ucraina ai cannoni che straziano il profilo delle case di Gaza dal mare, alle bombe, ai proiettili “per tutti” o ai droni-killer, che contribuiscono alla carneficina senza fine di bambini e donne in medio-oriente, di cui pare ci sia qui una linea di produzione con brevetto israeliano (la U-Vision). Il settore militare in Italia e in Sardegna è molto fiorente: in questo lungo periodo di austerità è l’unico non solo a non aver subito tagli, ma ad essere stato sempre abbondantemente finanziato.

La guerra dunque, la famosa guerra a pezzi che Papa Francesco denuncia da tanti anni. E’ l’elefante invisibile nella stanza della nostra coscienza. Attraverso una fitta nebbia provocata da una propaganda mefitica potremmo vedere nitidamente i cadaveri dei 4000 e più naufraghi affogati nel nostro amato mediterraneo solo l’anno scorso. Potremmo osservare la sofferenza inenarrabile dei palestinesi che cercano spesso invano i resti dei familiari sepolti sotto le macerie, o le loro agonie per fame o malattie. Ebbene, queste sono le nostre guerre: l’Italia, con la Sardegna buona protagonista è il terzo fornitore mondiale di armi ad Israele (e Israele in cambio ci ha fornito i suoi avanzatissimi sistemi di software informatico bellico per entrare facilmente nella nostra privacy. Ma non solo: dobbiamo al modello israeliano l’estendersi della pratica dell’illegale detenzione amministrativa, la ferocia in forma di trattamento di apartheid verso i diversi e bisognosi, le tecniche repressive violente della polizia, gli orrendi articoli del decreto 1660 sicurezza, ognuno di loro un oltraggio, inconcepibile in altri tempi, alla Costituzione).

Ed ecco perché la Sardegna non è più un’isola, ma un minaccioso promontorio nel mediterraneo, parte di un vasto terribile impero, territorio subalterno e insignificante in termini di popolazione, ma essenziale per valore bellico, al servizio di una visione di dominio unilaterale sul mondo. Ciò non significa affatto che i sardi siano semplici vittime inconsapevoli di tale crimine. Ne sono consapevoli e partecipi, e lo saranno finché non si opporranno concretamente a questa tragica pervasiva presenza. Ora anche gli F35 rombano minacciosi, non lontano dal capoluogo regionale, perché il presidente USA potrebbe decidere di assalire anche l’Iran oltre (e dopo) la Palestina, il Libano, l’Iraq e la Siria. Ed ecco perché questo promontorio con carattere bellico deterrente-offensivo non può che essere in via di costante ulteriore degrado, e lasciato a se potrebbe seguire le sorti di Teulada, della “penisola Delta” di fatto di proprietà militare, e di conseguenza priva di vita, brulicante di veleni mortali e non più bonificabile.

Ci troviamo dunque di fronte ad un bivio. La Sardegna, con l’Italia e l’Europa può cedere definitivamente alle logiche della violenza contro una parte di umanità sempre più estesa, violenza strisciante e pervasiva che si esprime secondo le solite logiche indotte (psicopatologicamente proiettive) identitarie e razziste del nemico o del diverso, per combatterlo e annientarlo. Oppure riscoprire orgogliosamente la propria identità insulare, in termini di territorio-laboratorio ideale per sostenere e attuare concretamente i principi etici universali e i valori fondanti delle Carte dei diritti umanitari e della Costituzione, a cominciare dall’uguaglianza e la dignità delle persone tutte.

Dire no alla guerra è dunque sacrosanto ma non basta. E’ necessario un atto eclatante e perentorio di amore per la vita e l’umanità, di recupero di dignità, il solo che può precedere e rendere credibile, e non ipocrita, qualsiasi rivendicazione politica e sociale: la comunità sarda, la comunità isolana, attraverso i movimenti, i sindacati, le associazioni per i diritti costituzionali e universali, la Chiesa, i comitati contro la speculazione energetica, si schierino insieme dalla parte giusta della storia, attraverso un atto simbolico ma insieme incisivo e concreto: un gemellaggio dichiarato e pragmatico tra la Sardegna e la sofferente comunità civile palestinese.

Gemellaggio che si esprima attraverso pratiche sociali e politiche pacifiche e diversificate, rivolte come primo passo a coinvolgere eticamente e giuridicamente il palazzo: chi abbiamo eletto a rappresentarci davanti al mondo. Perché queste persone escano, anche attraverso questa assunzione di responsabilità civile, dall’ignoranza di chi non vuole vedere e dal cerchio miseramente chiuso dell’asservimento agli interessi distruttivi e genocidi di pochi.

* Luigi Ferraioli è autore di “Manifesto per l’uguaglianza” e “Per una costituzione della terra”  Ed. Feltrinelli, e fondatore del movimento “Costituente Terra

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