L’isola delle spie
1 Dicembre 2008
Mario Cubeddu
“I radar fanno impazzire anche le api”. Qualche giorno fa la Sindrome di Quirra tornava su un quotidiano sardo per il resoconto della conferenza stampa di tre giovani ricercatori, Massimo Coraddu, Andrea Tosciri e Basilio Littarru, autori di uno studio sulle emissioni dei radar nel poligono di Quirra. Negli stessi giorni Massimo Carlotto presentava in Sardegna il suo nuovo romanzo, “Perdas de Fogu”. Accanto a quello di Carlotto figura nel titolo il nome di un autore collettivo, Mama Sabot, in realtà nove autori più o meno giovani e più o meno noti. Si scopre sotto la copertura dell’anonimato anche uno scrittore già affermato come Francesco Abate. Dieci autori, quindi. A dar retta al booktrailer, largamente diffuso su Internet, i nove di Mama Sabot consegnano i risultati di una ricerca sul poligono di Perdas de Fogu e sulla Sindrome di Quirra a Carlotto che fissa il lettore/spettatore con occhi di ghiaccio nel fermo immagine conclusivo. Quasi a significare che è lui ad assumersi il compito dell’”inserimento dell’indagine nella struttura narrativa”. E’ una storia ambientata tra Cagliari e il Salto di Quirra nel corso dell’estate appena finita. Il romanzo è cupo e violento quanto la realtà di cui parla. Attraverso i dialoghi dei personaggi emerge la drammatica realtà della Sindrome di Quirra: malformazioni genetiche in uomini e animali, un’alta percentuale di linfomi causati dalle nanoparticelle diffuse dalle esplosioni nel poligono, un territorio inquinato. Fatti che in Sardegna dovrebbero essere ben noti, suscitare reazioni, essere capaci di mobilitare. Ma, si dice nel romanzo, ci sono più parole che fatti, i pochi che agiscono sono isolati e tenuti sotto stretto controllo, la Regione Sarda, al cui Presidente si riconosce una attenzione particolare al problema, è stata messa a tacere. Soprattutto pesa il ricatto dello “sviluppo” e dell’occupazione di cui si servono amministratori e politici per coprire i loro interessi. Da qui le osservazioni ironiche sulle sette liste che si contendono il Comune di Perdas de Fogu, in lotta per chi si dichiara più servile nei confronti dei militari. Il romanzo propone attraverso dialoghi didascalici tra i protagonisti i fatti che Massimo Carlotto e i suoi compagni presentano per rendere testimonianza su un problema gravissimo dell’Italia e della Sardegna attuali. Gli autori ci danno un quadro del tutto pessimista della società e delle istituzioni italiane. Corrisponde alla condanna senza appello che ci è capitato di leggere tempo fa in una intervista concessa da Massimo Carlotto al magazine settimanale del quotidiano spagnolo El Pais. Nel romanzo i tentativi di “fare del bene al prossimo” falliscono in ogni caso. E’ un mondo di intrighi oscuri in cui svanisce anche lo sfondo estivo e solare di Cagliari. Uno dei personaggi più complessi è un “faccendiere” sardo, ex guardia di finanza. Detective privato, agente di interessi politici in stretto contatto con i servizi segreti, è assolutamente credibile nel suo cinismo, tanto feroce quanto indifferente. Avido e bestiale in privato quanto subdolo e servile in pubblico: “Non aveva sonno e svegliò la moglie. Sapeva che lei non ne aveva voglia, ma non gliene importava nulla. E comunque avrebbe fatto in fretta.” Che il pessimo Tore Moi abbia un ruolo centrale nel romanzo è dimostrato dal fatto che la coppia dei protagonisti, la veterinaria Nina e il disertore Pierre Nazzari, sono in pratica messi fuori gioco già a pagina 67, molto prima della pagina 157 che conclude l’azione. Da quel momento non fanno che subire. La parte centrale del romanzo vede lo scontro di due personaggi interamente sardi e cagliaritani, l’ex finanziere che si è trasformato in longa manus dei poteri occulti e un ex spacciatore convertito dalla prudenza e dall’amore in gestore di un baretto sulla spiaggia. Da un lato c’è il degrado in ogni aspetto del comportamento degli uomini che hanno a che fare con il potere. Dall’altro sopravvive un minimo di moralità di fondo nei peggiori delinquenti. Sebastiano Trincas ha spacciato e continua a proteggere spacciatori, ricavando guadagno dalla loro attività, uccide e ricatta, ma è capace di amare la moglie, di salvare dalle fiamme e da morte certa due persone e rischia la vita per proteggerle. In un romanzo in cui nessuno si salva, in primo luogo quella che dovrebbe esserne la protagonista, l’ex spacciatore è l’unico personaggio positivo. La veterinaria è una figura di giovane donna sarda che annega nell’alcool indifferenza morale, vigliaccheria e ambizioni di carriera frustrate. Il lettore non prova nessuna emozione per la fine violenta di una vita che un tentativo velleitario di ribellione non riesce a riscattare. Trincas è l’unico personaggio a cui viene attribuita una parvenza di coscienza morale, anche se la sua “saggezza pura” si conclude con una massima decisamente cinica: “Gli assassini non dovrebbero mai essere i becchini delle proprie vittime.” Voltata l’ultima pagina il lettore sardo si interroga sul mondo che vive e agisce nel romanzo e su quello che conosce, di cui riesce ad avere notizia. Finzione romanzesca e realtà sono due cose diverse. Ma la realtà che conosciamo attraverso l’informazione è sempre più misera e ristretta. La luce che un romanzo-inchiesta come “Perdas de Fogu” getta su alcuni aspetti importanti della Sardegna di oggi è un dono prezioso. E come ogni opera riuscita pone domande inquietanti.