L’isola non trovata
16 Settembre 2010
Marcello Madau
Nella discussione animatasi sulla proposta di Nur.At, il vero problema non è Atlantide, ma il rapporto fra tutela, ricerca, identità e valorizzazione, e il ruolo che vuole interpretare la politica nella costruzione di tale rapporto. La valorizzazione, costruendo il relativo e necessario immaginario trainante, non dovrebbe basarsi su una lettura della Sardegna (che sia Atlantide o Thule, o la guerriera Sardegna pastorale non fa alcuna differenza) non adeguatamente supportata e condivisa dalla comunità scientifica.
Ma il fatto è che nella gestione dei beni culturali rischia di prevalere l’aspetto mercantile: anche Nur.At è un segno di tale direzione, con il suo organismo per orientare la ricerca, politiche culturali e immagine sotto la direzione dell’Assessorato al Turismo ed al Commercio.
Non è sbagliato, tutt’altro, pensare a iniziative proprie dell’Assessorato al Turismo che si innestino sul patrimonio culturale: ‘validate’ da una commissione di esperti scientificamente e istituzionalmente titolati, se vogliamo che l’immagine della Sardegna non sia in mano a qualche cricca di venditori di perline colorate.
Ma emerge soprattutto un problema di visioni politiche, che ‘curiosamente’ si attraversano.
Pensare di imporre mediante un’istituzione elettiva una visione di parte, e non sufficientemente documentata, della Sardegna, è ad esempio molto statalista. E’ significativo che ambienti neo-nazionalisti riproducano modelli centralisti dove le istituzioni pubbliche sono marcate dall’ideologia: è dei giorni scorsi la risistemazione in salsa leghista, con i loghi persino nelle mattonelle, di una Scuola Pubblica del nord-est. Un’altra delle notti padane che abbiamo imparato a conoscere, purtroppo non solo attraverso i lucidi contributi di Valeria Piasentà sul nostro sito.
Hanno ragione alcuni attenti indipendentisti (lo ha fatto Angelo Morittu) nel ricordare che la scelta di puntare su una leggenda (più leggenda che mito, direi) come quella di Atlantide era già presente nella precedente esperienza di governo regionale presieduta da Renato Soru.
Nur.At a noi è sembrata iniziativa errata, anche nello stesso arcipelago che ruota attorno al centro.-destra nazionalista cominciano a fioccare i distinguo e le prese di distanza (lo stesso Pierpaolo Vargiu, preannunciando l’eventuale ritirata, si è ben guardato di informarci dei suoi consulenti scientifici, dice per non ‘esporli ad attacchi’ dopo la levata di scudi contro Nur.At. Che sia una presa di coscienza?).
Ma il filmato promozionale su Atlantide (poco resistibile per fascino, secondo la Murgia: io non l’avevo visto, ma ho resistito al suo fascino senza farmi legare all’albero maestro) con logo Regione Sarda, e soprattutto il piano del Turismo del 2006 appaiono, sulla questione, errori gravi e poco responsabili. Morittu e Michela Murgia hanno mostrato che l’amore indipendentista per l’identità può non smarrire la dignità e il senso della misura scientifica.
La visione commerciale della cultura e dell’identità, figlia naturale del capitalismo nell’età dello spettacolo, viaggia perciò in maniera trasversale: non solo da destra a sinistra, ma anche nelle varie anime nazionaliste e indipendentiste.
Ritengo ad esempio che la riflessione aperta, multiculturale e ‘non nazionalista’ in atto dentro IRS non avrebbe oggi potuto produrre un’idea come Nur.At, che piega l’identità all’immagine, seleziona una parte della storia e la fa dirigere dall’assessorato al turismo. E neppure un piano del Turismo come quello soriano, dove nel paragrafo “Il sogno e il Mito” (p. 206) si parla de i luoghi di Atlantide, un mito cioè che può offrire nuovi e altrettanto forti argomenti di comunicazione, di fascino e di offerta. E, fra gli obiettivi di comunicazione, quello di Rinverdire/sviluppare il legame con i miti, da quelli tradizionali fino a quelli legati ai luoghi di Atlantide (p. 30).
C’è quindi ancora, e non senza forza, una figura di sardo, molto coloniale, pronto a commercializzare territorio e identità a prescindere dalla realtà e dalle acquisizioni scientifiche. Però non vi è grande differenza, in questo, fra ciò che hanno detto i Riformatori Sardi e non poche linee e interventi del PD e dell’esperienza di Soru. Il PD peraltro, nella sua storia formativa, ci ha abituato ormai da anni a dare uno spazio eccessivo al mercantilismo nei beni culturali: ne sono testimonianza organica alcune delle linee praticate e istituite da Ministri dei beni culturali come Walter Veltroni e Giovanna Melandri. Potremmo ripetere che a sinistra basterebbe non smarrire la grande tradizione di Argan e Bianchi Bandinelli.
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La combinazione di questi due fattori (la priorità economicistica e l’ideologia) produce esiti che ci sembrano negativi proprio per fattori come identità, conoscenza, promozione verso l’esterno, che pure è giusto comporre a sistema. Su quali priorità?
Le azioni di censimento e ricerca, e le somme delle quali si è parlato, andrebbero più virtuosamente indirizzate, sotto l’egida dell’Assessorato competente (Pubblica Istruzione), verso urgentissimi problemi legati ai campi della tutela e della conoscenza del patrimonio.
Per quanto riguarda la tutela, le Soprintendenze non possono sopperire, con i mezzi e l’organico disponibili, alle esigenze di conservazione degli oltre ventimila monumenti sardi. L’unica possibilità è moltiplicare i soggetti responsabili mediante il coinvolgimento pieno delle comunità territoriali, con acquisizione delle aree e passaggio di competenze almeno concorrenti nel campo del vincolo.
Alcuni obiettivi sono in parte percorribili nelle redazioni dei PUC, ma va studiato un nuovo quadro istituzionale. L’alternativa è il nostro patrimonio allo sfascio (vi sono già diversi segni). Non si può pensare di attendere evoluzioni politiche o nuovi quadri istituzionali (stati confederali, indipendenza etc.), perché il degrado dei monumenti non attende – anche se ne può essere influenzato – i mutamenti di maggioranza.
La conoscenza del patrimonio: basta con i censimenti mosaico, o quelli che – certo, si aggiunge sempre qualcosa – si ripetono, come per i nuraghi, periodicamente. Meglio fare, ridando personalità al latitante Centro Regionale di Catalogazione, il censimento dei censimenti, portandoli tutti a standard unificato (i tracciati già esistono).
Gli scavi: orientarli, come si dice da anni, soprattutto, e mi verrebbe da dire esclusivamente, nei magazzini, dove giacciono centinaia di migliaia di manufatti non studiati e quindi sconosciuti, dove – altro che Monti Prama – centinaia di siti sono silenziosi. Conoscenza perduta, identità smarrita. Racconti museali per ora impossibili.
Infine, le risorse umane: non si può consentire lo smontaggio del sistema pubblico della ricerca, né si può attendere oltre nel riconoscimento della figura professionale dell’archeologo e delle altre figure specializzate nel campo dei beni culturali, come lo storico dell’arte, il demo-antropologo, il bibliotecario etc.
Tutte queste azioni portano lavoro, qualificato. La Sardegna ha bisogno di intellettuali preparati che servano come ‘classe’ un territorio e un’identità che ne hanno necessità estrema. Una risorsa collettiva che superi la vecchia figura individuale in grado di dirigere e gestire la tutela e la valorizzazione, governando l’apporto di quella straordinaria rete associativa di appassionati che pure ha bisogno di indirizzi competenti. E’ l’unica vera speranza di salvaguardia e sviluppo del nostro patrimonio.
Ma gli accessi alle scuole di specializzazione sono a numero chiuso assai limitato (quest’anno sembrerebbe venti!), e vi si accede con quiz molto cretini.