L’Italia non è un Paese per infermiere e infermieri

25 Marzo 2025

[Mario Fiumene]

«Oggi sono 24 milioni le persone con una patologia cronica e 4 milioni quelle con disabilità, in Italia. Secondo le stime dei demografi, nel 2040 accadrà qualcosa che non ha precedenti nella storia: gli over 50 saranno più degli under 50 e nel 2050 il 35% della popolazione avrà più di 65 anni. Un mix micidiale per la società tutta». Lo ha detto Barbara Mangiacavalli, Presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), aprendo i lavori del Congresso nazionale Infermiere³ – Innovazione, sfide e soluzioni, dal 20 al 22 a Rimini.

«Gli infermieri svolgono un ruolo fondamentale nella sanità pubblica anche alla luce delle tante sfide in atto. È una professione che siamo impegnati a valorizzare anche grazie all’impulso dato dalla Fnopi attraverso approcci innovativi e proattivi». Questo lo ha detto il Ministro della Salute, Orazio Schillaci intervenendo al Congresso.

A leggere queste dichiarazioni si può pensare che nel nostro Paese nel settore sanità, pubblico e privato, la presenza di Infermieri sia numericamente adeguata e che, anche la formazione di questi professionisti sia adeguata da poter dare la necessaria assistenza, a quella moltitudine di cittadini anziani e vecchi, citata dalla Dr.ssa Barbara Mangicavalli. La realtà è ben altra: sono oltre trentamila gli Infermieri, formatisi nelle Università italiane, che lavorano in vari Paesi europei. I motivi che spingono gli Infermieri Italiani ad emigrare sono vari: in altre nazioni trovano una retribuzione nettamente più adeguata: ad oggi non si è raggiunto un accordo tra sindacati e rappresentati della parte pubblica (Aran), per firmare il rinnovo; il contratto dell’area privata risulta dimenticato.

Mentre a Rimini, si apriva il Congresso delle Professioni infermieristiche in Senato accadeva qualcosa di ben più grave: la sospensione della proroga dello sblocco del vincolo di esclusività per gli infermieri e le ostetriche. Un colpo che, se non affrontato con fermezza nelle sedi opportune, rappresenterà un durissimo affondo per la professione. Inoltre, nel 2024, 20.000 infermieri hanno già presentato dimissioni volontarie nei primi 9 mesi dell’anno, un dato preoccupante che riflette una tensione crescente nel nostro sistema sanitario. In Europa mancano 1,6 milioni di infermieri, un dato che porterà, se non si interviene immediatamente, a un vuoto di 2,3 milioni di infermieri entro il 2030.

La Commissione Europea, nel suo Rapporto sullo sviluppo sociale, evidenzia anche come la tensione lavorativa per gli infermieri sia un problema reale a livello continentale, ma in Italia la situazione è particolarmente critica, tra le peggiori del vecchio continente, con un numero di Professionisti che non è sufficiente a coprire i bisogni di una popolazione sempre più anziana e affetta da patologie croniche. In Sardegna nei prossimi anni mancheranno circa 2000 Infermieri. Nel frattempo, i Paesi europei più avanzati, da almeno un biennio consci della crisi, stanno aumentando gli stipendi per attirare personale qualificato. Regno Unito, Germania, Olanda e Belgio hanno superato i 2.500 euro netti al mese, mentre nei Paesi del Nord Europa (come Svezia, Norvegia e Danimarca) gli stipendi superano i 3.500 euro netti.

Questi Paesi non solo offrono salari competitivi, ma anche prospettive di carriera migliori, attirando così infermieri e professionisti sanitari dalle nazioni con minori compensi, come l’Italia, ancorata al terzultimo posto tra le retribuzioni. Secondo il rapporto Agenas, solo il 3% delle case della comunità è effettivamente operativo con la presenza di medici e infermieri, mentre solo il 22% degli ospedali di comunità ha almeno un servizio attivo. Con la scadenza del 2026 per il completamento di queste strutture, la situazione nella sanità territoriale rischia di esplodere, sfociando in un enorme spreco di risorse pubbliche, quelle del Pnnr Missione Salute, se non si interviene immediatamente.

Il futuro della sanità italiana dipende da scelte politiche tempestive e concrete: aumentare gli stipendi, migliorare le condizioni di lavoro e garantire adeguate prospettive di carriera per fermare l’emorragia di infermieri e allo stesso tempo attrarre di nuovo i giovani verso le professioni sanitarie. In caso contrario, non solo l’Italia rischia di continuare perdere i suoi professionisti migliori, ma si compromette in modo irrimediabile anche l’obiettivo di migliorare la qualità dei servizi; accrescere l’efficienza; aumentare la capacità di portare sempre più le cure al domicilio del paziente.

E questo assume ancora più rilevanza in una Nazione longeva come la nostra con un numero crescente di persone anziane, pazienti con comorbilità e pluripatologie, che vanno curati a domicilio. 

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