Lo sciopero come tempo ritrovato
1 Gennaio 2011Natalino Piras
1. Notizia – Roma. “È stato firmato il nuovo contratto per i 4600 lavoratori dello stabilimento Fiat di Pomigliano. Firmato da tutti meno che dalla Fiom che ha proclamato otto ore di sciopero generale dei metalmeccanici e dunque non solo dei lavoratori”. La Nuova Sardegna, 30 dicembre 2010, prima pagina. 2. “I due elementi della definizione che delimitano i confini del fenomeno sono: il soggetto e la modalità dell’azione conflittuale. Il soggetto può variare dall’intera forza lavoro, organizzata e diretta da un sindacato, fino a un piccolo gruppo di lavoratori (una squadra, un reparto, un ufficio) guidati da un leader informale; ma non può essere mai un singolo individuo…Lo Sciopero è sempre un’azione collettiva…” vedi alla voce Sciopero in “Dizionario di Politica” diretto da Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino, Utet 1983, pp.1026-1028. 3. «Lo sciopero è uno sei tanti spettri che aleggia sopra questa fabbrica. Non solo ai vari capetti dispiace sentirlo nominare ma anche ai braccianti a vita, ai manovali, agli operai qualificati. Temono sempre di perdere. Perdere un giorno di lavoro, il posto di lavoro, il salario. Per chi e cosa scioperare poi? Non si ottiene mai niente. I sindacati sono come i partiti politici che ti cercano solo al momento che gli servi e alla prima occasione ti abbandonano. Hanno potuto fare qualcosa per impedire il licenziamento di Lobinu e Zarrette? E poi quei due se lo meritavano visto che venivano ubriachi ogni giorno e non facevano punta di bene. Non bisogna esporsi. Silenzio. Sì lo straordinario lo facciamo tanto se non lo facciamo noi lo fa un altro o magari danno il cottimo a quelli di Ispartinabraia, non li vedi quando rinzaffano i muri? Sembra che spargano braci al vento e intanto rubano tre o quattro mesi di lavoro a noi. Nessuno qui si muove e se proviamo a muoverci c’è sempre qualche venduto come Zeri o Concone che prima si dice d’accordo e alla prima occasione va a mettersi d’accordo con ziu Mincris, il capo del personale, basso e in berretto da signore, sempre in mezzo a osservare e frugare, che musca in culu ‘e priteru. Nessuno può andargli contro a quello. Persino il capocantiere Fulgenzi è stato trasferito. Va bè che gli ha dato una surra di cazzotti ma veramente ziu Mincris se li meritava proprio. Lo sciopero. Che fine ha fatto Marco Murena con le sue idee? Fuori, licenziato. E tu vieni a parlarci di sciopero. È inutile, sono troppo forti. Non puoi contare su di noi, ormai siamo rassegnati e anche tu devi stare attento perché alla prima occasione ti fottono. Dicono che sei un lavativo e che ti tiri indietro quando c’è da lavorare. Piove ogni giorno. Gli operai scavano i pozzetti e verniciano i pali senza indossare gli incerati ammassati dentro il magazzino. Pedes capocantiere dice che sono troppo ingombranti. Provo a protestare e Pedes mi dice di farmi i cazzi miei e che i missionari devono andare in Africa. Non lavori forse tu dentro i capannoni, al riparo dalla pioggia e dalla neve? Quelli della linea esterna attaccano ogni giorno un quarto d’ora prima e distaccano due ore dopo. Sciopero. Ci hai rotto i coglioni con questo sciopero. Ci spieghi cosa ci guadagniamo? Serve solo ad attirarci inutili odi e fare la figura dei remitanos, pezzenti, miseri, diseredati senza arte né parte. Lasciaci in pace che è meglio e stai tranquillo che se continui a seguire questo filo tu muori di fame. Mancano due giorni allo sciopero generale e per il momento solo uno, Carlo Sanna, è d’accordo con me. È inutile cercare di smuovere anche gli altri. Si resta inascoltati, giullari al servizio di una causa perdente. Qui i servi ringraziano i padroni per i calci in culo che ricevono. L’indifferenza e la normalità sconfiggono il pallido sole della nostra piccola rivolta. Sbattiamo la testa contro un muro di sempre e di mai. I ribelli di prima tornano sempre all’ovile e i poveri sempre poveri restano. Mi costruisco parole dentro parole forti da dire al capocantiere. Odio questo lavoro. Lo sciopero significa un giorno di liberazione. Gli altri non possono capire. Sgobbano come matti e dicono sempre sissignore, giusto, ha ragione lei, arrivano sino al vostè, resterò a lavorare anche sabato, domenica se necessario. E il nulese mangiava sempre, il suo moccio. Per me esistono soltanto le cinque pomeriggio del venerdì. Inizio a contare dalle otto del lunedì. Calcoli infiniti di minuti e secondi si infittiscono nella testa sino alle cinque pomeriggio del venerdì. Poi via, dimenticare l’angoscia fino a domenica sera, quando la sveglia della mattina dopo appare in tutto il suo orrore. Quell’orologio batteva un tempo diverso. Suonava che ero già sveglio. Restava il tempo per bere il caffè prima di scendere alla fermata del bar ancora chiuso e aspettare il pullman. Un quarto d’ora di viaggio ed ecco che si intravedeva il Delta, il primo dei quattro capannoni. L’autista delle Ferrovie complementari sarde sapeva dove fermare. Non c’era bisogno di dirglielo. La portiera automatica si apriva, giusto il tempo di scendere. Scioperare vuol dire liberarsi per un attimo da questa ossessione.
Natalino Piras, Quasi una fabbrica nel Tradimento del mago. Storie di Mussingallone e altri racconti, Castello, 1986, pp. 53-55».