Lo sguardo fotografico del pittore
16 Febbraio 2008
Antonio Mannu
Sino al 30 marzo Nuoro ospita la mostra “Antonio Ballero – lo sguardo fotografico del pittore”. Promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Nuoro, organizzata dalla Ilisso, in collaborazione con l’Istituto Superiore Regionale Etnografico, la mostra presenta un centinaio di fotografie realizzate dal pittore nuorese (Nuoro 1864-Sassari 1932), tra i protagonisti, insieme a Sebastiano Satta, alla Deledda, a Francesco Ciusa, di un periodo importante per Nuoro, il tempo andato dell’Atene Sarda. Tempo trascorso, tempo che è misura, usura, tempo che muta, trattiene. Cambiano i luoghi ed i costumi, si trasformano le attitudini, le abitudini si modificano. Eppure l’oggi porta con se anche ciò che è stato, forse “anche” quello che non è più, non più in quel certo dove, migrato, o conservato, altrove. Il ventre gonfio ad esempio, ed il torace piatto, le braccia sottili, le costole in rilievo dei bambini, radunati a giocare felici in quel di Solotti, colonia estiva. I segni, oggi scomparsi, della denutrizione, di una mancanza. Ad osservare con qualche attenzione, se ci fosse dato, se ci fosse attenzione, li vedremo affiorare nell’infanzia iraqena, o tra i picciocos di Gaza, Palestina. Il tempo ed il suo andare, la precarietà dell’esistenza, la caducità dell’istante. Tutto ciò si deposita nelle fotografie e lo troviamo nelle immagini di Antonio Ballero che, in buona parte, erano andate disperse. Forse perché intese come cose private, o come catalogo parziale di un‘ esistente a cui far, poi, riferimento. Oggi le vediamo grazie a un lavoro di ricerca della casa editrice Ilisso. Diversi negativi vennero forniti dalla moglie, Ofelia Verzelloni, nata a Faenza, arrivata a Nuoro, dopo la fine della Grande Guerra, per insegnare materie artistiche presso la Scuola Normale. Giovane, appassionata di pittura e di fotografia, Ofelia, di trent’anni più giovane di Ballero, diventò in breve la sua compagna e sposa, ed anche la sua complice modella: un rapporto intimo svelato da alcune immagini scattate dal pittore. Tra gli involucri in cui custodiva i negativi ve n’era uno, marcato “Fotografie Signora Nudis” all’interno del quale Ballero conservava i fotogrammi di un’Ofelia senza veli, ritratta in pose diverse, in alcuni casi protagonista di doppie esposizioni: immagini ingenue, a volte grossolane. Chissà che avrebbero detto i protagonisti nel vederle pubblicate ed esposte? Il fondo fotografico Ballero è attualmente composto da 570 negativi e 384 stampe. Racconta di un rapporto intenso, non estemporaneo, tra Ballero e la fotografia, per lui anche utile strumento per la produzione pittorica, taccuino visivo su cui depositare frammenti di vita e di luoghi, appunti da riconsiderare per una loro trasfigurazione sulla tela. Se si confrontano le fotografie con alcuni lavori pittorici gli esempi di una ricaduta del “reale fotografico” sulla tela sono diversi: a volte si tratta di personaggi traslati da una fotografia all’interno di un’opera pittorica, a volte il soggetto del dipinto riprende dalla visione fotografica la scena. Che Ballero usasse la fotografia come mezzo per arrivare alla pittura è testimoniato dal fatto che diverse stampe portano tracce del loro utilizzo in tal senso: sul retro di alcune, e in qualche caso anche sulla fotografia, si trovano degli schizzi; altre conservano tracce dei colori usati. La fotografia come ancella, quindi, dell’arte pittorica, in cui c’ é spazio vasto per l’espressione, per l’interpretazione, piuttosto che per una diretta, e “realistica”, riproduzione di una porzione di mondo così come é? O meglio, così come è stato perché, un’ istante dopo lo scatto, così non è più. Diretta e “realistica” nonostante l’ alterità, obbligata al tempo di Ballero, del bianco e nero, che di per se reinterpreta, altera, sintetizza. La Sardegna di allora conobbe altri autori che utilizzarono la fotografia come ausilio alla loro attività pittorica. Ma il rapporto dell’artista nuorese fu più sfumato e più attento al tempo stesso. Forse Ballero fu consapevole del magico potere della fotografia, della sua capacità di rigenerazione alchemica del fatto, del luogo, dell’atto, della forza dirompente dell’istantanea? Forse questa ipotetica consapevolezza la rese in parte un fine a se stante e non più, e non soltanto, umile mezzo? A quasi un secolo di distanza questo appare evidente, e il lascito fotografico di Antonio Ballero è, oggi, tanto significativo quanto quello pittorico, anzi, per certi versi, ancor di più. Perché, lo scrive Marcello Fois nelle pagine introduttive del catalogo della Ilisso, “la fotografia può diventare un atto politico più potente di qualunque pittura”. Questo nonostante Ballero, uno tra i primi dilettanti, a Nuoro, a fornirsi di un’attrezzatura fotografica, non fosse troppo rigoroso nell’esecuzione dei suoi scatti. Il tempo scorre per le fotografie come attraverso i dipinti, ma le immagini formate dalla luce, raccolta dai negativi, hanno un momento ed un luogo precisi ed unici: si possono riprodurre, è impossibile rifarle. Non esiste più l’abito del pastore, ritratto di spalle nella fotografia “la sosta”, probabilmente un’immagine posata: seduto sopra un muro, dall’alto scruta le case di una Nuoro raccolta, particolari architettonici che consentono, più dell’abito antico del pastore, di dare una collocazione temporale, pur imprecisa, alla scena. Scena che Ballero trasforma, nell’opera del 1930 “Un pastore”, in un’immagine senza tempo, eliminando le tracce architettoniche, inserendo i colori, aggiungendo un bastone, usando come sfondo il puro cielo. Naturalmente anche l’opera pittorica di Ballero è datata, dallo stile, dallo stesso soggetto, dalla corrente artistica di riferimento. Ma la fotografia è trascorsa, in qualche modo è finita, conclusa, mentre il dipinto é li, intatto, prosegue il suo cammino, idealmente diretto verso la fine del tempo. Lo abbiamo scritto: non era fotografo particolarmente rigoroso Antonio Ballero, altri hanno lasciato testimonianze più compiute della Nuoro del tempo, in alcuni casi fotografie utilizzate dallo stesso Ballero per realizzare dei dipinti, come nell’opera “Il padrone della tanca”, il cui soggetto è rubato ad un’immagine realizzata da Sebastiano Satta. Ma l’ importanza delle fotografie che ha lasciato nasce dal fatto che l’autore si confrontava, in maniera diretta, con il mondo reale e quotidiano, con la vita del borgo. Ballero porta la sua attrezzatura fotografica per le strade di Nuoro, ritrae i momenti dell’incontro, i personaggi, le chiacchiere, la festa, le celebrazioni religiose, gli scorci di una cittadina che viveva un momento di trasformazione, di intenso cambiamento, di fermento culturale. Ballero la racconta, a tratti compiutamente, a tratti con minore efficacia. Ma è nell’irruzione dell’istantanea, nella quotidianità della strada, nella comunione con il luogo, che sta la forza della testimonianza che ha lasciato; nell’aver portato la camera a fare i conti con la realtà, fuori dallo studio, dove il fotografo “vero” ritraeva, in calcolate pose, i personaggi abbienti della società dell’epoca, trascurando il mondo. Un fotoreporter anzi tempo, in parte motivato dalle necessità pittoriche, in parte forse consapevole dell’importanza di raccontare le cose della vita degli uomini, della vita di un luogo. Lasciando delle tracce, per noi intelligibili, di quello che è stato, di quanto resta, di ciò che non è più.
Sino al 30 marzo a Nuoro, presso l’ex Tribunale, aperto tutti i giorni, escluso il lunedì, dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19 e 30.