Lo straniero
1 Marzo 2016Paola De Gioannis
Era una mattina come le altre. L’esercito degli ambulanti attraversava l’arenile proponendo gli oggetti più diversi. Nonostante chiudessi gli occhi per isolarmi, ero costretta a ripetere quasi senza intervallo, – no grazie – no grazie – no grazie. In quel meccanismo automatico di rifiuto, riuscii tuttavia a rendermi conto, dal sole oscurato, che uno di loro si era fermato davanti a me senza chiedere nulla. Era molto alto, visibilmente stanco e i suoi capelli erano bianchi. Ebbi una reazione quasi immediata. Liberai dalla sabbia l’asciugamano che ricopriva il lettino – siediti – gli dissi – riposati un po’, lo prendi un caffè? – preferisco un po’ d’acqua. Bevette avidamente ma per qualche tempo, continuò a rimanere in silenzio. Finalmente sembrò riprendersi, aprì il suo pesante borsone e cominciò a cercare. Niente di quanto mostrava mi interessava, ma la sua immagine, la sua stanchezza, i suoi capelli candidi mi avevano talmente coinvolta che dissi a me stessa che avrei accolto volentieri una qualunque proposta, anche la più inutile. In lui c’era qualcosa che non era facile definire. Non era soltanto stanchezza, quanto piuttosto una profonda tristezza. La sua voce visibilmente affaticata, lasciava trasparire l’amore per la sua terra e la delusione per la mancanza di interesse che veniva mostrata un po’ da tutti. Sbirciai dentro il borsone e notai dei libri – e questi? li vendi? – sono storie della mia terra, ti interessano? – perché li tieni nascosti? – non interessano nessuno…. l’Africa è una terra molto povera – E’ vero, l’ Africa è una terra povera ma potenzialmente ricchissima. La mia è invece un’isola davvero povera – Ma è molto bella! aggiunse. – I tuoi libri mi interessano molto, ripresi – Dici davvero? In un attimo, come se la stanchezza intrecciata al dolore fosse prodigiosamente scomparsa, tirò fuori i suoi libri. Li presi fra le mani, la loro veste editoriale era gradevolissima, addirittura elegante. Erano libri per bambini, coloratissimi e vivaci. Ne scelsi alcuni – Non hai nulla per me? rovistò meglio – ho solo questo, disse ponendomelo fra le mani – Lo vuoi? Il mio sguardo cadde sul titolo, Neyla, un incontro, due mondi Sì lo prendo, – domani vado a Milano, la settimana ventura ritorno, ti ritrovo? – ti aspetto Scegli tu, portami una qualunque storia della tua Africa. Dove vengono stampati questi libri? – a Milano. Mi raccontò di essere laureato in Letteratura, e di occuparsi di una cooperativa che tentava di diffondere la storia dell’Africa nei paesi europei. Ci sedemmo al bar e parlammo per otre un’ora di libri e di scrittura. In una perfetta sintonia, scoprimmo di amare le stesse cose – Lunedì ritorno Mise sulle spalle il pesante borsone e riprese il suo andare faticoso. Si voltò e mi sorrise – Ti aspetto Ma non tornò. Non lo rividi mai più.
Una volta a casa, riposi il libro e lo dimenticai La “ letteratura della migrazione” raccoglie gli scritti dei migranti che scelgono di esprimersi nella lingua del paese ospitante. La scrittura è per loro un momento di incontro, un contributo al dialogo fra i popoli, in un’ottica di giustizia e di pace. Durante l’inverno, in una giornata umida di pioggia me lo ritrovai, quasi inspiegabilmente, sul tavolo. Mi tornò in mente la mattina al mare, l’inutile attesa dell’amico africano e rilessi il titolo del solo libro che ero riuscita ad avere, Neyla, un incontro due mondi Decisi di leggerlo. Un libro arrivato nelle mie mani da un ambulante, a me abituata alle riflessioni impegnate della cultura occidentale, sembrò una lettura senza importanza per un pomeriggio di freddo, ma quel tema doloroso del ritorno alla terra e dell’allontanamento dalla terra, si mostrò, fino dalle prime righe, particolarmente bello e trascinante.
Un uomo, dopo cinque anni di lontananza dalla sua terra, il Togo, durante i quali ha studiato in Occidente, ritorna per una vacanza E’ proprio in quei giorni che incontra Neyla, una donna bellissima dalla pelle scura “brillante,” che con i suoi abitini corti e gli occhialoni neri, simula modi e atteggiamenti da occidentale. Dal passato disordinato, ceduto spesso agli occidentali, e dal presente vissuto intensamente giorno dopo giorno, esercita sul giovane africano un fascino incontenibile. E dopo soli quindici giorni, il loro incontro si trasforma in una storia d’amore profonda e intensa . Ma durante quella permanenza l’uomo incontra tutte le difficoltà del ritorno e conosce, ancora una volta, il dolore. E’ in una terra che non riconosce, attratta com’è dai miti e dalle illusioni dell’Occidente. Neyla ha saputo risvegliare in lui ricordi e sensazioni, ma anche la donna vive al bivio fra modernità e tradizione ed anche lei, nonostante l’amore per l’africano, non è più se stessa. L’uomo si domanda a quale delle due culture egli appartenga. E’ un africano legato alle sue tradizioni ancestrali o un occidentale integrato nella cultura universitaria il cui sapere ha poco a che fare con la sua storia? Straniero nella propria terra, stenta a ritrovare la sua identità. Il dolore dell’allontanamento diventa il dolore del ritorno e ricerca senza più trovarlo, il suo passato . Il tempo è volato via, quello che una volta era il suo mondo è oggi molto diverso Gli spazi lasciati vuoti sono occupati da altri. Non cambia soltanto chi parte, cambia anche chi resta. Avverte allora la diffidenza e il sospetto da parte di coloro che lo hanno conosciuto bambino perché oggi egli porta in sé il diverso che ha vissuto. Sono momenti di angoscia. In una realtà quasi irriconoscibile, I due riescono ugualmente a vivere giorni indimenticabili. Viaggiano insieme per incontrare le loro famiglie ma l’uomo si renderà conto quanto difficile sia muoversi in un ambiente confuso, senza regole, sporco, sfruttato, violato, sempre costretto alla condanna dell’emigrazione. Sarà lei a fargli vivere le gioie di un ricongiungimento con la famiglia la sola che è rimasta invece, insieme allo zio stregone, quella di sempre Ma quest’ amore grande, assoluto, muterà in un immenso dolore.
Neyla morirà dando alla luce un figlio. “ Rimangono gli occhi della sua anima”, cosi come l’Africa che muore prostituendosi all’Occidente, dà alla luce una forma iniziale di consapevole accettazione di sé. Ho disimparato a piangere……avrei voluto piangere tutta l’angoscia che mi soffocava all’ultimo sguardo dei miei genitori, della mia infanzia, di una famiglia mai vissuta, degli amici perduti, dei soldi elemosinati, della mia umiliazione avrei voluto piangere per il mio corpo malato costretto ad andare, piangere la miseria, la fame, piangere per le promesse tradite, per le ferite mai cicatrizzate e riaperte ad ogni chiaro di luna, piangere per le speranze morte prima del sorgere del giorno, piangere per il desiderio di carezze, piangere per lo struggente bisogno d’amore, piangere per quello che avrei voluto essere ed ho dovuto essere. Piangere la mia Africa sempre sulle sponde della miseria, piangere la mia gente tanto amata da spaccarmi l’anima. Domani ripartirò per affrontare il freddo, l’indifferenza, e soprattutto la sconfinata, immensa solitudine.
Kossi Komla-Ebri – Neyla,un incontro due mondi
Nell’immagine: clandestini, Franco Accursio Gulino
3 Marzo 2016 alle 22:48
Chi parte col desiderio di volare non può tornare a casa con le ali bruciate, può farlo solamente continuando a volare.
13 Ottobre 2017 alle 21:15
La tristezza di chi parte per sfuggire alla miseria e trovare una nuova vita rimane
e si accuisce ancora di più quando ,la nostalgia del proprio tetto natio, ti porta a tornare nei posti della tua giovinezza e non trovi più quello che hai lasciato , tutto è cambiato e ti senti ancora più straniero nella tua terra di origine
14 Ottobre 2017 alle 09:10
Piangere per l’indifferenza e la solitudine è spesso la realtà a cui va incontro chi parte verso nuovi lidi per cercare fortuna. La speranza deve essere la fedele compagna di viaggio e la fortuna l’incontro inatteso che ti conforta.