Quando l’oblio invade la mente
1 Settembre 2016Amedeo Spagnuolo
L’espressione degli occhi diventa interrogativa, lo sguardo fisso su di te, senza dire una parola e tu, imbarazzato, cerchi di distogliere lo sguardo con una scusa qualsiasi, non riesci ad accettare che tua madre, tuo padre, una sorella, insomma persone con le quali hai condiviso la vita, ad un certo punto, non ti riconoscano più.
Inizialmente, in maniera molto stupida ma comprensibile, ti arrabbi, alzi la voce sperando che il tuo interlocutore, devastato dall’Alzheimer, in qualche modo abbia una reazione, ti sfiori la guancia con una carezza, così come faceva quando eri bambino. Col tempo ti rassegni, meno male che tra le tante risorse dell’uomo c’è anche la rassegnazione, l’unica arma che abbiamo per non impazzire osservando il volto inespressivo di chi ci ha messo al mondo o del fratello col quale abbiamo condiviso fino a quel momento giochi, progetti, gioie e dolori.
Col tempo però impari, comprendi che con queste persone può esserci una forma di comunicazione alternativa a quella del linguaggio, una comunicazione non verbale fatta di carezze, abbracci, presenza silenziosa. Un giorno poi ti capita qualcosa che ormai non pensavi potesse più accadere, la mano di chi pensavi ormai svanito nelle ombre dell’oblio, improvvisamente, come se un lampo di memoria gli avesse illuminato la mente, stringe la tua, la riscalda, ma riscalda soprattutto il tuo cuore. Tutto ciò dura solo qualche secondo, poi la mano si ritrae, ritorna fredda, ma a te basta, può bastare per riuscire a scacciare dalla tua mente quella riflessione infame, sempre più ricorrente, che t’induce a pensare che forse sarebbe meglio che tutto finisse.
L’”Associazione Alzheimer Cagliari” nel 2013, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer, organizzò un importante convegno dal titolo molto esplicativo: “Alzheimer: un viaggio per prendersi cura”. In quella sede vennero diffusi dati molto importanti, anche se inquietanti riguardanti l’incidenza della malattia in Sardegna. Nell’isola ci sono 15 – 20mila malati di Alzheimer, dunque la malattia in Sardegna ha un’incidenza superiore del 10 per cento rispetto alla media nazionale.
I soggetti coinvolti aumentano in maniera esponenziale e l’aspetto forse più inquietante è che questa patologia colpisce anche individui al di sotto dei 65 anni. In base a questi dati il numero dei malati in Sardegna è destinato a triplicare entro il 2025. All’interno di questo convegno, molto importante e incisivo è stato l’intervento dell’ex primario di geriatria Paolo Putzu che già nel 2013 sottolineava il silenzio della politica rispetto a questo serio e grave problema, queste le sue parole: “In Italia non esiste ancora un piano nazionale per le demenze, né esiste un piano regionale, e i protocolli operativi sono estremamente differenziati, impegno e risultati dipendono dalla sensibilità dei singoli”.
Dati più recenti che risalgono al mese di aprile del 2016, fotografano una situazione che non si discosta molto da quella delineata nel 2013. In questo caso ci si riferisce al Dossier “Alzheimer, demenze senili e invecchiamento della popolazione” realizzato dall’Ufficio Studi di Confartigianato Cagliari per l’ANAP e l’ANCOS su dati OCSE e ISTAT. I risultati di questo studio sono sconcertanti per quanto riguarda la situazione in Sardegna, infatti, dal 2005 al 2013 si è passati da un’incidenza del 4,4 per mille a un’incidenza dell’8,4 per mille per quanto riguarda l’Alzheimer e le altre demenze senili.
Quando la patologia raggiunge una sostanziale gravità, chi “soffre” di meno è forse proprio il malato, questa affermazione potrebbe sembrare cinica e paradossale, ma purtroppo corrisponde alla verità. Il dolore e il peso enorme ed angosciante di questa malattia, infatti, si scarica quasi totalmente sulle famiglie devastandole, sconvolgendo le abitudini, mettendo in crisi le dinamiche famigliari, logorandole al punto tale da mettere a rischio i rapporti affettivi. Sul piano economico poi la situazione diventa molto problematica, le spese per le cure e l’assistenza del malato costringono i famigliari a continue rinunce e sacrifici che aumentano proporzionalmente alle scarse risorse economiche delle famiglie. Tutto ciò è causato principalmente dalla quasi totale assenza del necessario sostegno logistico, economico e psicologico del servizio sanitario pubblico.
Certi i tagli alla sanità pubblica non sono una novità del governo Renzi, ma l’attuale esecutivo si è distinto per la pervicacia con la quale ha perseguito la graduale demolizione del welfare state. Nello specifico, i tagli alla Salute Mentale sono stati semplicemente scandalosi, le ASL conseguentemente agli accordi politici tra Ministero della Sanità e Regioni, obbligano tanti pazienti, altrimenti abbandonati a loro stessi, a terribili reclusioni in strutture private organizzate peggio dei vecchi manicomi o (nel caso di persone con sofferenza autrici di reato) nelle nuove REMS (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza) che nella maggioranza dei casi hanno cambiato solo il nome, ma che rimangono strutture disumane al pari dei vecchi OPG (ospedali psichiatrici giudiziari).
La soluzione ci sarebbe, basterebbe lasciare aperti i Centri di Salute Mentale potenziandoli con figure professionali adeguate per ogni ruolo e operanti sulle ventiquattro ore come, peraltro, previsto dalle leggi regionali e nazionali. Ciò che accade nella realtà, purtroppo, è molto diverso, in Italia chi ha in casa una persona affetta da disturbi mentali è totalmente abbandonato dallo stato e deve cavarsela da solo con costi umani ed economici devastanti.
Illustrazione di Silvia Ciccu – La fioritura