L’ultimo comunista?
15 Gennaio 2011Nei giorni scorsi è morto Pietro Cocco, ex minatore, Sindaco di Carbonia per tanti anni, militante comunista. Lo ricordiamo con questo scritto che ci ha inviato Fabio Desogus
Fabio Desogus
“Un giorno qualcuno mi disse che ero l’ultimo comunista. In realtà sono uno come tanti, l’ultimo comunista non esiste. Io sono solo un sopravvissuto”. Così mi spiegò Pietro Cocco, durante un incontro a casa sua. Da poco Pietro si è spento, 94 anni, una vita passata combattendo, senza disilludersi mai, senza mai smettere di credere nel cambiamento. Materiale resistente, come la Resistenza cui ha partecipato, come la pelle dei minatori di cui è stato collega in miniera, compagno nelle sedi di partito, rappresentante in ambito sindacale, guida politica e amministrativa nella sua quasi ventennale esperienza come Sindaco di Carbonia, la città dei minatori. Conobbi Pietro anni fa. La mia tesi di laurea era incentrata sulla sua esperienza di vita: minatore, antifascista, politico, Sindaco di Carbonia, ma anche tanto altro. Nato ad Iglesias nel 1917 da famiglia povera (il padre lavora in miniera, la madre casalinga), fin da bambino è costretto a darsi da fare per aiutare la famiglia. La scuola non gli piace granchè e fatica a terminare le elementari. Appena adolescente inizia a lavorare in miniera ad Iglesias: nella Laveria Mameli, poi direttamente in galleria a Campo Pisano. E’ qui che inizia una vita nuova per il giovane Pietro, ed è qui che avvengono alcune delle esperienze più significative della sua intensa vita. “Un giorno – mi racconta – in galleria, una mina non esplose e il mio superiore mi chiese di scendere dentro il buco in cui avevamo collocato l’ordigno per toccare la miccia e capire cosa non andava. Io ero ingenuo, non sapevo cosa mi aspettava e scesi a controllare. Dopo qualche minuto, la mina esplose, io allora capii che ero stato mandato a morire e che la mina non era esplosa con me vicino per pura casualità. Ecco cosa eravamo giù in galleria: degli animali che potevano anche essere sacrificati, carne da macello”. In galleria Pietro inizia a far conoscenza con i nuclei antifascisti e comunisti presenti ad Iglesias. Viene indirizzato lentamente verso l’opposizione al regime: dapprima con semplicissime ed innocue letture (La madre di Gorkij e Germinal di Zolà), poi attraverso un attività clandestina di esplicita opposizione al fascismo. E’ un crescendo di esperienze e di prese di coscienza riguardo la mancanza di libertà dentro e fuori la miniera e riguardo lo sfruttamento patito in quegli anni dalla classe operaia. Pietro passa rapidamente dalle letture innocue, ma comunque proibite, all’attività di volantinaggio clandestino e di diffusione de “L’Unità” in miniera, fino ad arrivare a mettere una bomba presso la sede del Sindacato fascista di Iglesias. Poi l’arresto, poichè sorpreso con dei volantini in cui si criticava il regime di sfruttamento che subivano i minatori iglesienti. Arrestato, picchiato, portato al carcere di Cagliari e da qui esiliato a Cortale, in Calabria. Pietro ha appena 17 anni ed avrà di Cortale un bellissimo ricordo. Mandato in Calabria con la nomea di pericoloso attivista politico, viene accolto e trattato dai cortalesi in modo familiare e amichevole. Nel piccolo centro calabro Pietro si sente a casa: incontra la sua prima moglie e stringe amicizie che dureranno per tutta la vita. Passato il periodo di esilio, Pietro ritorna ad Iglesias e riprende la sua attività di opposizione al fascismo, ma viene nuovamente arrestato e confinato prima a Ponza e poi a Maida. Durante il secondo periodo di confino completa la sua formazione culturale e conosce alcuni importantissimi personaggi dell’antifascismo italiano (tra tutti Sandro Pertini). Nel suo ultimo periodo di confino, riesce ad organizzare a Cortale dei nuclei clandestini del Partito Comunista. A fascismo sconfitto e guerra terminata, Pietro torna a Cortale dove costituisce una sezione del P.C.I., dopodichè si trasferisce in Sardegna con la moglie e i due figli. Lavora nelle miniere di carbone del Sulcis ed inizia per lui un periodo di intensissima attività politica che sfocerà in lotte, manifestazioni e scioperi di cui ancora sono forti i ricordi. Nel 1949 Pietro viene eletto Consigliere Regionale con il P.C.I., ma poco tempo dopo si dimetterà da questo incarico e tornerà tra i minatori di Carbonia perchè (come mi spiegherà in seguito) “non era quella la politica che volevo fare, mi sentivo con le mani legate, invece io volevo stare in mezzo alla gente, insieme ai minatori”. Sarà lo stesso tipo di ragionamento che farà poco più avanti quando, sul finire degli anni ’50, la dirigenza del P.C.I. gli propone un incarico importante ed un trasferimento a Roma, Pietro rifiuterà perchè “non voleva fare politica lontano dai minatori e dagli operai”. Come guida politica dei minatori diventa Sindaco di Carbonia nel 1952, incarico che ricoprirà fino al 1959 e poi nuovamente dal 1968 al 1982. Al termine del suo ultimo mandato, Pietro si ritirerà a vita privata. Con Pietro ho avuto rapporti negli ultimissimi anni della sua vita, dalla stesura della mia tesi (5 anni fa) fino a qualche mese fa (ci siamo sentiti l’ultima volta in Agosto). Sono tanti i discorsi che abbiamo fatto e che meriterebbero di esser riportati ed approfonditi. Tuttavia ne voglio ricordare solo alcuni, che meglio aiutano a delineare la personalità di Pietro e che, credo e spero, sono quelli che più di tutti gli altri lui avrebbe voluto lasciare ai posteri. Intanto il suo antifascismo militante e convinto, unito ad un sacro rispetto nei confronti degli avversari politici. Un giorno, mentre mi raccontava del suo mandato da Sindaco di Carbonia e dei normali dissidi avuti con altri politici locali e regionali, si interruppe e mi chiarì:”Fabio, prendi le mie opinioni su queste persone e sul loro operato come tali. Non voglio che vengano pubblicate. Se tu lo fai, è come se dessi a me l’ultima parola su quelle vicende. Ma io che meriti ho per avere l’ultima e definitiva parola? L’unico mio merito è di essere sopravvissuto, di essere ancora vivo, mentre loro non lo sono e non possono più spiegare le proprie ragioni”. Infine un ultima immagine. Quando Pietro parlava del suo operato da Sindaco e del suo essere comunista, più volte precisava:”Io ero quel che ero e avevo peso politico, perchè avevo il popolo insieme a me, avevo i cittadini di Carbonia, avevo i minatori delle miniere. Non ero un uomo solo, da solo non avrei avuto forza, la mia forza erano loro: i minatori, gli operai, gli uomini e le donne che mi sostenevano. E’ con loro e grazie a loro che ho portato avanti le nostre battaglie”. Ed ecco che con quest’ultima immagine io riesco a trovare un ruolo, una collocazione, un carattere e un senso all’operato politico e civile di Pietro. Lo svesto dai panni di Sindaco della mia citta, lo faccio uscire dal ruolo istituzionale e riesco così a vederlo in mezzo alle cernitrici ed ai minatori, anvanzare lento, incessante. Me lo immagino come uno dei braccianti del Quarto Stato di Pellizza, indistinto, in seconda o terza fila, tra di essi, insieme a loro cammina, avanza e ci indica un percorso di libertà e giustizia che ancora non si è compiuto. Adesso capisco perchè non è l’ultimo comunista.