L’urlo

12 Giugno 2024

Foto di Roberto Pili

[Marinella Lőrinczi]

Nella sala d’attesa dell’ambulatorio si trovava una sola persona, una donna di mezza età dai capelli neri corti e ricci, seduta rigidamente sulla sedia bianca, che si stava rigirando nervosamente una sigaretta tra le dita, così sembrava, o piuttosto ne stava arrotolando una, si capiva meglio se si osservava la trasparenza della carta.

Macché arrotolando, rollando si dice, sono proprio una dilettante, pensava dentro di sé guardando l’altra con un’espressione di vago rimprovero involontario. Ma dove l’avrebbe fumata e quando? il cortile non era vicino e poi toccava a lei farsi visitare, come avrebbe fatto? buttare subito la sigaretta e sciacquarsi pure la bocca? mica poteva alitare quel puzzo di tabacco appena fumato in faccia al dentista.

E’ il suo turno adesso, tocca a lei? – chiese, tanto per spiegare la ragione per cui la stava osservando. Oh, no, sto aspettando la mia amica che sta per uscire dallo studio … lo spero – disse con tono incerto, quasi in apprensione, guardandosi la sigaretta.

Allora, fingendo esitazione, si sedette sulla sedia accanto a lei – ora era permesso – e disse con voce comprensiva e con un sorriso: Ma suvvia, non fumi …  Eh sì, dice bene, fa male – rispose l’altra. Ma allora, perché fuma, cos’è che la spinge in questo momento a fumare? forse sarà qualche preoccupazione o l’ansia, siamo tutti ansiosi e provati dopo questi anni di pandemia e perciò molti vanno dallo psicologo, non sarebbe meglio lanciare un urlo per scaricarsi anziché fumare? … ovviamente non qui, adesso, ma in altre circostanze, in posti diversi da questo.

L’altra sorrise, rilassandosi: Io ho urlato una sola volta in vita mia – e sorridendo faceva vedere che anche lei avrebbe avuto necessità di interventi odontoiatrici, sui due lati degli incisivi bianchi si aprivano i buchi scuri dei molari mancanti.

Chiese, dopo questa confessione non richiesta e dopo qualche secondo di pausa di cortesia: Posso chiederle perché aveva urlato? Dopo quell’urlo mi hanno licenziata. Ma come, mi racconti, le persone di questi tempi sentono il bisogno di raccontare, di sfogarsi, sapesse quante ne ho sentite da quando circoliamo più liberamente; capita di stare seduti vicini, nell’autobus o nella metro o su una panchina, a lungo, e un commento tira l’altro, ma anche in un parco di Roma, periferico, mi è capitato di entrarci per curiosità – all’angolo opposto mi stavano preparando uno spuntino al bar – era l’area giochi per bambini e c’era una madre, un po’ scura di carnagione, con una bimba piccola che trascinava un giocattolo grande, un triciclo coloratissimo che non sapeva ancora usare, e dopo un saluto e un sorriso e qualche frase di reciproca empatia la madre mi ha raccontato che era delle Filippine, ma con la bambina parlava l’italiano e non il tagalog, e che una volta era andata dalla pediatra per un vaccino, nella sala d’attesa c’erano altri genitori con i bambini che correvano di qua e di là, e mamme e papà erano con le teste affondate nei telefonini, volti non se ne vedevano, solo luci riflesse, e soltanto lei parlava con la figlia che le faceva vedere i giocattoli sparsi lì nella sala, e infatti quando la pediatra uscì e vide la scena disse ad alta voce che lei sì che era una mamma che comunicava con la figlia, non come gli … che chissà se hanno notato e sentito la dottoressa per come erano occupati nel messaggiare all’infinito.

Bene – concluse – ora che le ho raccontato questo, mi racconta anche lei la storia del suo urlo? Lavoravo al centralino di una azienda privata, si doveva essere sempre tranquilli e cortesi, s’intende, è normale, soprattutto con i clienti nervosi o ansiosi o aggressivi, bisogna tranquillizzarli; avevamo però dei turni di lavoro folli, dalla mattina alle dodici e poi tre ore di intervallo, che io non sapevo dove trascorrere se non gironzolando al supermercato, e poi il rientro al lavoro, praticamente dalla mattina alla sera, sempre seduti; non parliamo dello stipendio, ma uno deve accontentarsi di questi tempi, vero?; una volta ho perso la pazienza con un cliente giovane e prepotente e pure volgare, per cui ho alzato la voce e ho interrotto la conversazione con rabbia, e poi mi sono sfogata col collega che era nell’altra postazione, e lui che fa? ha fatto la spia in direzione e quelli mi licenziano in tronco. Ma sa – continua – è stata una benedizione quell’urlo e il resto, perché finalmente potevo occuparmi con tranquillità della famiglia, dei figli, della scuola, della spesa, potevo riposare, senza tutte quelle preoccupazioni anche degli orari dei pullman, carichi, ogni giorno, ogni giorno, perché lavoravo in centro, non le dico; dovevo uscire di casa con una un’ora di anticipo, anche per via del traffico; l’urlo – ma chi l’avrebbe mai immaginato questo cambiamento in positivo? raccontarlo fa bene, lei ha ragione …  Vedo che la mia amica ancora non ha finito col dottore … Pausa – nel frattempo aveva dimenticato la sigaretta che si stava quasi sbriciolando e ripensava alla sua storia e alla sua vita. Chiede: Ha avuto anche lei esperienze significative recenti? … sììì? mi racconti, … dài …

Le vien da ridere e si nota dalle pieghe delle labbra, mentre l’altra la sta guardando e attende incuriosita e con aria interrogativa quasi imperativa, do ut des … Stava pensando a cosa le era successo a Milano e a Roma, in due mercati rionali, mentre vi gironzolava osservando le cose e le persone e chiedendo informazioni ogni tanto, così … Qualcuno dei venditori offriva anche dei piccoli assaggi infilati su stecchini per cui alla fine del giro la merenda era garantita, uscendo uno si fermava alla fontanella pubblica e beveva dal palmo della mano. Erano stati dei brevi viaggi, postpandemici, e lei andava per le città come se fosse arrivata in un mondo completamente ignoto, quasi come nel terribile romanzo Epepe, ma ovviamente senza quel senso di angoscia, tutto sommato era a Roma e a Milano, e non in una megalopoli distopica dal linguaggio completamente ignoto. Anche se, pensandoci più tardi, certi modi di comunicare le erano risultati effettivamente criptici, decifrati in seguito, quasi subito in verità, con un vago senso di sorpresa ma anche di divertimento, ma sì … doveva riconoscerlo.

L’altra attendeva la confessione, stuzzicata da quell’ombra di sorriso che le sembrava di scorgere: … allora? Mette ordine nei pensieri. Sì, ecco, ero in un mercatino di periferia, quasi di periferia, a Milano, e vedo un negozietto con una vetrina strana, piena di confezioni di roba da mangiare esotica nelle forme e nei colori e allora mi fermo. Ci vendevano prodotti latinoamericani, e siccome me la cavo con lo spagnolo, mi fermo per esercitarmi un po’ nella lettura: harina de maíz, priva di glutine, ben evidenziato, fagioli neri e viola, enormi, habichuelas? caraotas? … mai visto né sentito … entro e prendo in mano il pacco e leggo la ricetta consigliata: da cucinare con latte, zucchero, patate dolci, spezie e biscotti, insomma, alla fin fine fagioli dolci, curioso, e poi cioccolata amazzonica, sette euro per cento grammi, ma sì, proviamola … Doveva essere una cioccolata molto speciale – commenta l’altra – a me piace quella fondente con sale e pepe nero, buonissima, la trovo nei supermercati …  E mentre mi sto guardando intorno – prosegue – si avvicina per un can I help you un ragazzo di bell’aspetto e ci scambiamo qualche saluto e parola in italospagnolo, lui risponde ad una mia domanda, ora sta studiando in Italia e allora gli chiedo quanti anni ha. – Diciannove – dice. A me sembrava più giovane, a dire il vero, ma non avevo mai frequentato latinoamericani, cosicché ho lasciato correre, tuttavia ho notato qualcosa di strano, forse nello sguardo e poi, inequivocabilmente, con la coda dell’occhio, una mossa della mano, quasi fuori posto, per cui mi sono congedata quasi bruscamente dicendogli ¡Adiós, sigue estudiando!, continua a studiare.

Ma cosa le pareva di aver percepito? – chiede l’altra. Non capisco bene, mentre mi allontanavo forse c’è stato un lampo mentale prospettico, come se lo vedessi da lontano, e ho capito, mi sembrava di aver capito, che aveva sfiorato o indicato con le dita il famoso punto di cui si vantava pubblicamente il first boyfriend italico, poi mollato dalla sua first lady italica, e allora mi è parso di intuire che forse erano delle avances sessuali per cui doveva dichiararsi maggiorenne.

L’altra sgrana gli occhi il che significa: e poi che cosa sarebbe potuto succedere? Infatti, anch’io pensavo allora la stessa cosa e immaginavo un retrobottega attrezzato, ma come?, o qualche squallida cameretta nelle vicinanze, mi vennero in mente quelle casupole abbandonate in viale Trieste, dove si dice che si svolgeva la prostituzione mercanteggiata proprio in quel parcheggio davanti all’edificio regionale. Ma forse si è sbagliata … un ragazzino … – vuole ridimensionare l’altra. E’ vero, anch’io l’ho pensato se poi a Roma, sempre al mercato, mentre stavano quasi chiudendo, non fosse successo qualcosa di simile.

Che cosa, se me lo vuole raccontare? Oh certo, è bene sapere che anche da queste parti esiste la prostituzione maschile; in quell’altro mercato mi ero fermata per chiedere qualcosa su delle confezioni di verdure miste per insalata o per minestrone, che a me ovviamente non servivano, si capiva che ero una turista, pareva che fossero delle confezioni di avanzi riciclati, di quel che si può recuperare dalla roba da buttare, e il venditore che stava riordinando mi disse, senza nessuna coerenza evidente, di ritornare più tardi, alla chiusura …  Ci sarà stato anche lì un retrobottega.

Ma in fondo di che cosa mi meraviglio – commenta l’altra -, ho avuto un’esperienza del genere in un piazzale della stazione, sempre a Roma, verso l’imbrunire, non passava nessuno in quel momento, uno mi grida da lontano, ed era senza ombra di dubbio straniero, abbastanza giovane all’apparenza: ciao, sei bellissima, sai era molto bella anche l’avvocatessa di cinquantadue anni, che prima mi era amica. Io gli ho gridato, ridendo e rispondendo, grazie! ciao ciao! auguri! e tutto è finito lì, considerata la distanza.

Eh sì, anche quello era un urlo, il suo solo un grido allegro, una impercettibile e impensata avventuretta, ma forse quell’uomo non aveva di che comprarsi un pezzo di pane – ha commentato l’altra mentre nel vano della porta dello studio si erano fermati la paziente e il dottore e avevano ascoltato le ultime frasi senza capirci nulla.

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI