L’utopia necessaria di Marco
2 Aprile 2021[Loris Campetti]
Marco è morto solo, lui che ha passato tutti gli anni della sua vita insieme agli altri, al fianco dei più deboli, con in testa un’idea fissa che l’ha accompagnato per tutto il suo viaggio: un altro mondo è possibile.
All’inizio del suo impegno politico nel Pci non si usava ancora questa espressione, sbocciata a Seattle e cresciuta al G8 di Genova ma il senso era lo stesso, si diceva “è ora di cambiare”, erano i tempi dell’internazionalismo proletario, quando si sapeva tutto sul 38° parallelo a dividere le due Coree, sul Vietnam, sul Congo di Lumumba. Oggi sappiamo a stento dove sta la Jugoslavia, visto che non esiste più. Ma Marco Ligas, che se ne è andato nelle prime ore di mercoledì primo aprile nell’ospedale di Cagliari, sapeva tutto anche della vita e del lavoro dei pastori barbaricini come degli operai chimici di Porto Torres e Pula. Marco era sardo dentro, orgogliosamente. Mi ha insegnato parole sconosciute in quella sua amata lingua, insieme ad altri bontemponi aveva persino tradotto in sardo il mio cognome, Tanchigeddas, piccoli campi votati al pascolo. Non era sardista come i teorici dell’improbabile indipendenza dell’Isola ma legato all’idea dell’autogoverno che fu di Gramsci e Lussu e alla solidarietà intesa con Rodotà come utopia necessaria.
Tra i suoi riferimenti più importanti, Luigi Pintor, sardo anche lui, comunista anche lui. Dopo la sconfitta di Ingrao all’11° congresso il Pci lo inviò in Sardegna, terra di sole, mare e profumi ma anche di redenzione. Come se fosse possibile redimere Luigi, e infatti finì che fu lui a redimere tanti comunisti sardi legandoli intorno all’eresia del manifesto. Marco Ligas, insegnante, ricercatore, saggista e soprattutto comunista guidava le brigate degli ingraiani e poi dei pintoriani a Cagliari, infine diede un contributo straordinario alla nascita del gruppo politico del Manifesto nell’isola, ai tempi in cui Orgosolo veniva ridipinto con i murales che raccontavano quell’eresia. Si deve a Marco la nascita del manifesto sardo per raccontare il manifesto ai sardi e la Sardegna ai continentali, prima come foglio legato al quotidiano nazionale e infine come giornale online che vive tutt’ora e tutt’ora continua la sua colta narrazione.
Giornale e organizzazione, le due gambe dell’utopia di Ligas. Non ha mai smesso di cercare, studiare, aggiornare l’analisi in rapporto con una realtà in perenne cambiamento che ha sempre indagato. Ha incrociato pacifismo e ambientalismo, ha vinto battaglie e subito come tanti di noi sonore sconfitte ma si è sempre rialzato, mite quanto determinato. Solo una polmonite e poi un’infezione “da ospedale” in un corpo già indebolito sono riuscite a spezzarlo. Marco se n’è andato senza poter rivedere e salutare Maria Grazia, la sua compagna di sempre, le figlie Laura e Valeria e la nipote Lesline. Ciao amico mio, la terra ti sia lieve.