L’orchestrale e il direttore

1 Giugno 2008

Berlusconi e Veltroni
Marco Ligas

Il voto del 13/14 aprile ci ha consegnato un Parlamento che assomiglia molto ad un gruppo musicale dove tutti suonano la stessa musica. Ma se la coralità è fondamentale in un’orchestra, l’unanimismo diventa una pratica mortale nella vita delle istituzioni democratiche. È perciò avvilente vedere il maggiore partito dell’opposizione(?) e il suo segretario assumere atteggiamenti subalterni davanti ad un avversario arrogante e al tempo stesso irridente, un avversario diventato all’improvviso disponibile al dialogo e al confronto, in virtù della forza che gli deriva dall’aver vinto le elezioni e perciò consapevole di poter imporre le sue scelte. Così Berlusconi può affermare che occorre svelenire il clima che si è (ha) creato nel paese dopo anni di litigiosità e di contrapposizioni, e che i rapporti tra maggioranza e opposizione devono fondarsi sulla collaborazione. A questi slogan che vengono ripetuti incessantemente fanno eco le sconcertanti dichiarazioni di disponibilità di Veltroni. Neanche un orchestrale riuscirebbe ad interpretare così bene il contenuto e l’impostazione generale del componimento musicale che viene dato da un direttore d’orchestra. Già le prime sedute del Parlamento mostrano come il nuovo indirizzo registri qualche successo. Peccato che la convergenza sulla necessità di rasserenare gli animi si abbia soltanto dentro il Parlamento mentre nelle nostre città si diffonde un clima di caccia alle streghe, che ha come bersaglio preferito le fasce più deboli e diseredate della popolazione. Questa doppiezza, per cui si sollecita un clima collaborativo in Parlamento ma al tempo stesso viene imposta la presenza di ronde nei quartieri, si allontanano i Rom dalle loro dimore fatiscenti senza offrire loro alcuna alternativa, si programma la galera per gli immigrati e si mobilita l’esercito per ripulire le città, mette in evidenza in tutta la sua gravità quel fenomeno di autoreferenzialità della nostra classe dirigente. È un processo che ha assunto una dimensione sempre più rilevante e che ha coinvolto indifferentemente la destra e la sinistra. Le cose vanno bene – questo è il messaggio che viene inviato al paese – quando si fa riferimento a se stessi e alla propria realtà, quella che si vive all’interno delle istituzioni che sono sempre meno rappresentative dei cittadini ma generatrici di privilegi e ingiustizie.

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Oltre le misure sulla sicurezza altre se ne preparano, senza che l’opposizione intervenga con la necessaria determinazione. La detassazione degli straordinari viene presentata come un’occasione per migliorare i salari. In realtà le stime che vengono fatte ipotizzano un aumento salariale che difficilmente andrà oltre i 30 euro mensili, a meno che non si pensi ad un incremento sproporzionato dell’orario di lavoro. Ma in questo caso è facile ipotizzare un peggioramento delle condizioni di lavoro con forti rischi per la sicurezza. Non dimentichiamo che le morti e gli infortuni sul lavoro dipendono anche dalla durata della giornata lavorativa oltre che dalla vetustà dei macchinari e dalla inadeguatezza della prevenzione. Né bisogna sottovalutare un altro pericolo della detassazione: negli ultimi tempi è cresciuto notevolmente il numero dei contratti a part time, soprattutto nell’edilizia, e non è arbitrario ipotizzare che alcune imprese, commettendo irregolarità, portino a 8 le ore lavorative giornaliere considerando le nuove come lavoro straordinario. Se poi la detassazione comporta tagli su sanità, servizi, istruzione non ci vuole molto a capire che saranno soprattutto i lavoratori i primi a pagare per i mancati servizi. E allora c’è da chiedersi se ad aumentare i salari non dovrebbero essere le imprese e non il fisco, e comunque se non sia opportuno programmare una politica di sgravio generale su tutti i salari e le pensioni lasciando inalterati i servizi sociali.
La revisione del contratto nazionale del lavoro è un altro tentativo che mira a perpetuare la precarietà e la povertà salariale con la messa in discussione delle conquiste storiche del movimento sindacale. Si tratta di un vecchio disegno che il padronato cerca di realizzare soprattutto oggi consapevole che la nuova situazione politica possa facilitarne l’attuazione. Anche su questo versante il Partito Democratico balbetta e non riesce a contrastare il passo del governo e della confindustria, oggi particolarmente aggressiva perché sono state eliminate le componenti anti-industriali della nostra società. Sarà difficile difendere il modello contrattuale unico che tutela le categorie più deboli e più esposte dei lavoratori, anche perché il ruolo del sindacalismo confederale risulta indebolito.
L’altra perla del programma del Pdl riguarda la realizzazione del federalismo fiscale. Nella riforma annunciata manca ogni riferimento ai principi della Costituzione, soprattutto a quelli della solidarietà e della redistribuzione della ricchezza. Ogni regione provveda al suo destino – è il motto del governo condizionato sempre più dalle scelte xenofobe della Lega Nord. Per il Pdl non ha alcuna importanza che la sanità o l’istruzione non saranno più affrontati da un punto di vista dell’interesse nazionale. Tutto al più è presumibile che alle regioni del sud sarà accordata qualche modesta ricompensa, non foss’altro perché un contributo al successo elettorale è venuto anche dal Mezzogiorno. Ma sicuramente questi interventi ‘riparatori’ si esauriranno in qualche opera pubblica che, verosimilmente, sarà realizzata dalle imprese del nord o dalle mafie del sud. Lungo questo solco e in una posizione di avanguardia troviamo la Regione Lombardia pronta a sostenere le rivendicazioni del governo e soprattutto a vigilare sull’uso dei fondi pubblici nelle regioni del sud per assicurarne un corretto utilizzo. Intanto il segretario del maggiore partito di opposizione incontra Formigoni e informa di avere avuto un incontro interessante col governatore!

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E la sinistra che cosa fa? Non riesce a venir fuori dalla crisi che l’attanaglia, a riflettere sulla sconfitta e sulle trasformazioni che sono avvenute nella nostra società, a discutere senza accapigliarsi. Intanto programma i congressi dei propri partiti, per carità tutti separati perché ognuno è convinto di disporre della forza più consistente e della linea politica più adeguata, ma già si intravede la composizione dei prossimi organigrammi che, presumibilmente, saranno a maggioranze invertite, come in una resa dei conti. Proseguendo su questa strada non si andrà lontano. È difficile per chi ritiene ancora possibile una crescita democratica della nostra società, trovare forme e modi di un impegno politico e culturale che sia incisivo. Eppure bisogna provarci, avendo la consapevolezza che questo lavoro si può condurre in diversi modi: ancora dentro i partiti perché cambino pelle, oppure fuori, nelle associazioni, nei movimenti e, soprattutto, nella società dove tante persone operano e affrontano quotidianamente difficoltà che derivano da un’organizzazione della vita dove tende a consolidarsi la sopraffazione e l’arroganza di chi detiene il potere. Naturalmente bisognerebbe sedimentare le conquiste che di volta in volta si raggiungono per non dovere riprendere sempre da capo. Ma a questo punto sarebbe necessaria un’organizzazione più ricettiva verso questa esigenza. Chi sa se sarà possibile!

1 Commento a “L’orchestrale e il direttore”

  1. Cristina Ronzitti scrive:

    Chi difende, e come, i diritti dei lavoratori ?
    Condivido la metafora che Marco Ligas usa del gruppo musicale dove tutti suonano la stessa musica per descrivere il nostro nuovo parlamento. E a dire la sincerità tale situazione mi preoccupa grandemente ma ….non mi meraviglia perchè le premesse per un tale comportamento c’erano tutte. Non ultima la scelta del PD di candidare Matto Colaninno che come tutti sanno non contiene nel suo curriculum un ruolo di sindacalista CGIL bensì al contrario l’informazione che dice che dal 2005 al 15 febbraio 2008 è stato Presidente Nazionale dei Giovani Imprenditori di Confindustria e Vice Presidente di Confindustria.
    Arrivo al punto. Secondo me la SINISTRA non deve sentirsi “antistorica” (cosa che alcuni stanno cercando di far passare) perchè da lavoratrice vedo le condizioni dei lavoratori in continuo peggioramento e penso che in questo settore la SINISTRA potrebbe avere ancor un ruolo fuori e (si spera in un futuro vicino) di nuovo nelle sedi parlamentari; poi deve abbandonare ragionamenti circoscritti al solo stato italiano e volgere lo sguardo a quelle che sono diventate le vere sedi decisionali importanti per le future condizioni dei lavoratori e cioè WTO e UE perchè e’ in quelle sedi che si amministrano gli accordi commerciali e quindi in ultimo si decide delle condizioni dei lavoratori; vie alternative come il bloccare la globalizzazione sono impossi perchè equivarrebbe il considerare possibile il richiudersi in una cassaforte.

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