Ma che bella necropolis

1 Settembre 2008

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Raffaello Ugo

Al tempo delle guerre puniche il piccolo Furbì (è un nome di fantasia) vendeva pere cotte ai legionari romani che si imbarcavano da Karalis per portare la democrazia a Cartagine. I legionari, infastiditi dal piccolo, lo allontanavano dandogli delle gran pedate con i pesanti calzari da combattimento ma l’ammirazione di Furbì per quegli uomini impavidi era senza limiti e giurò che anche lui da grande se la sarebbe presa preferibilmente con i più deboli, meglio ancora se già morti. Trascorse infatti l’infanzia prendendo a calci le lapidi nei cimiteri e scrivendo frasi sui muri delle cappelle, poi fece un concorso e divenne, per esempio, sindaco. Sempre vagando per cimiteri incontrò Furbé (anche questo è un nome di fantasia). Furbé era l’inventore delle famose sepolture in piedi che consentono cubature più compatte e notevoli risparmi sulle importo delle tasse cimiteriali comunali per l’occupazione dei suoli. Furbé definiva i punici “pivelli” e ironizzava sul fatto che perdessero tempo a bucare la roccia quando si poteva direttamente fare una colata di cemento sul cadavere. Insieme (anche grazie a una bizzarra ordinanza comunale sulle costruzioni che Furbì aveva fatto approvare nel frattempo e che prevedeva tasse solo per la parte dell’immobile a contatto col suolo) immaginarono enormi colonnati di sepolture su cui costruire migliaia di metri cubi di edifici abitativi di lusso quasi del tutto esenti da oneri. Le colonne usate, vuoi per la cattiva qualità del cemento, vuoi per lo stato di salute delle persone all’interno, spesso crollavano ma Furbé  usciva sempre indenne dalle numerose cause basandosi sull’evidenza che tanto quelli di dentro erano già morti da prima. Anzi, ogni volta che un suo edificio crollava Furbé faceva causa alla Regione Sardinia per danni sostenendo che nell’impatto il suolo della regione gli rovinava tutti gli infissi e, non essendo il suolo di sua proprietà, Furbé aveva buon gioco a far pagare i danni a tutti i contribuenti. Un giorno Furbì e Furbé sempre in cerca di sepolture scoprirono una vecchia necropoli punica e insieme decisero di organizzare l’affare della loro vita. Sostenendo che la superficie in oggetto aveva più vuoti (le tombe) che pieni, Furbé riuscì ad acquistare i terreni dal Comune spuntando un ottimo prezzo. Ma l’idea geniale fu quella di commercializzare anche tutti i vuoti così da moltiplicare i guadagni. Cominciò a fare buchi a casaccio nell’area chiamandoli tunnel e costruire enormi architetture vendendo gli uni e le altre. Nella confusione capitò anche che chi aveva acquistato entrambi non si trovasse poi in mano niente poiché, come è noto, il vuoto di un pieno equivale a un vuoto, ma i guadagni dei due divennero in breve stratosferici. Tuttavia l’immensa ricchezza non riusciva a nascondere l’ombra di inquietudine che di tanto in tanto faceva capolino nella vita dei due. Furbì, privo di affetti, avrebbe voluto tornare ai tempi felici in cui vendeva le pere ai legionari e Furbé aveva preso a lamentarsi sostenendo che tutti volevano i suoi soldi. La gigantesca macchina costruita dai due andava comunque avanti implacabile e chiedeva sempre nuovo carburante. La città traboccava di abitazioni che la gente si giocava a figurine e la media abitativa era ormai di un abitante ogni quattordici case. Le costruzioni crescevano le une sulle altre e il piano urbanistico veniva disegnato alle materne con i colori per dita mentre le autorizzazioni alla costruzione venivano scaricate direttamente da internet. La parabola era però ormai al termine. Una notte in uno degli strati inferiori del cumulo di mattoni, finestre e intonaco, si intese come un gemito e i due notarono una crepa che si faceva strada nella massa informe. La prima idea che balenò a Furbé fu di affittare il vuoto che si allargava. Afferrata la calcolatrice prese freneticamente a far conti mentre la crepa passava velocemente tra i suoi piedi. Cominciò a spedire fax a casaccio chiedendo risarcimenti mentre la luna, alta nel cielo, pareva indicare il punto preciso verso cui la crepa puntava decisamente. Si racconta di uno schianto e poi l’immensa costruzione cominciò ad affondare. Una voce popolare racconta come Furbé, intrappolato tra i fili per stendere di un condominio di lusso si inabissasse nel biancore accecante della nuvola di polvere e calcinacci indicando ripetutamente un punto lontano, probabilmente il posto dove gli era caduta la calcolatrice.

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