Intervento: Sardegna davvero meridionale?

1 Ottobre 2009

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Mario Cubeddu

La questione che l’articolo di Marcello Madau “L’Araba fenice” pone ai sardi è veramente fondamentale e merita una riflessione seria. A partire dai suoi presupposti. E’ proprio vero che la Sardegna può e deve essere inclusa nella “questione meridionale”? Siamo proprio sicuri di far parte della stessa vicenda storica? Molti italiani  e molti sardi hanno sempre ignorato perché si parlasse di “Regno delle due Sicilie” e  non sanno nulla della storia del Meridione d’Italia, se non quanto uno Stato e una scuola governata e indirizzata da un  Nord  che non si faceva ancora chiamare padano hanno voluto far sapere e insegnare, anche con la forza del “libro e moschetto”. In questa storia del Meridione la Sardegna non c’è mai stata e non c’è. Esiste invece nella storia del Mediterraneo occidentale, rivolto verso la Spagna.  Ma, si dice,  c’è  Antonio Gramsci e la sua “questione meridionale”. Cari compagni, siamo sicuri che scriverebbe per l’Italia, e la Sardegna di oggi, ciò che scriveva in carcere? Quell’Italia che la classe operaia, alleata con i proletari delle campagne del Meridione, avrebbe trasformato in una società nuova, guidata dal principe nuovo, è oggi solo concepibile? Parlare di questione meridionale in assenza di un progetto politico e di un modello di società nuova, valido per tutta l’Italia, non ha senso. E l’Italia non è più un contenitore sufficiente per qualsiasi discorso politico e sociale. E’ dunque possibile sovrapporre le parole letterali di Marx e di Gramsci al mondo in cui viviamo, e non invece la lezione di un’intelligenza del presente da cui è derivato un metodo che ci è ancora utile? Non meritano, per quello che ci hanno insegnato, che facciamo uno sforzo per capire il nostro tempo, anche se non siamo alla loro altezza? Che la Sardegna non possa coincidere col Meridione è dimostrato dai fatti che abbiamo sotto gli occhi. Non esiste una “Brigata Catania” pronta a partire per l’Afghanistan a difendere chissà cosa, forse un’idea di  Occidente di cui anche la Sardegna con la sua povera storia ha fatto parte. Umberto Bossi vuole il ritiro immediato dei soldati italiani dalle missioni all’estero. Bossi è più complesso e difficile da interpretare di quel che sembri. Perché vuole le stesse cose che vogliono le sinistre italiane? Che certo non meritano per questo di essere chiamate reazionarie e neofasciste. Il mondo, come sempre, non si fa leggere facilmente. Ritorna trionfante l’insulto “separatista”, rivolto a frange dell’indipendentismo sardo. Il termine fu coniato dai Sorcinelli e dai fascisti sardi per colpire il primo sardismo, quello di Lussu per intenderci. I movimenti autonomisti e indipendentisti sardi sono sempre stati antifascisti, quando non erano, e non sono, un prodotto dei Servizi. Non fa un’operazione limpida chi li assimila al “separatismo” siciliano. Tornare nel seno riposante della “questione meridionale” sarà anche rassicurante. Ma non si può eludere una serie di domande. Intanto si vorrebbe sapere: dove sta questo idillio di un Abruzzo simile alla Sicilia, al Lazio, alla Sardegna, alla Calabria? Volete dirci cosa hanno di comune, se non delle progressive contiguità geografiche, a cui peraltro la Sardegna è estranea? Cosa ha di comune “Gomorra” con Basilicata e Lazio, e con la Sardegna? Che cosa ha di comune una Sicilia che, essa si, è veramente un continente, per complessità di passato e di presente? In questa semplificazione meridionalistica c’è solo ideologia, credo. Che non fa i conti con la reale storia italiana. Una storia che si prepara a vedere riconosciuti i neofascisti di Gianfranco Fini come i reali salvatori della patria. Chi è così innamorato della “nazione italiana”, chi considera neofascisti i suoi avversari, dovrà spiegare come e perché il fascismo costituisca a tal punto elemento essenziale della natura della “nazione italiana” che i suoi eredi, Gianfranco Fini in testa, saranno chiamati a salvarne l’esistenza dagli altri virus che essa nel frattempo ha generato, la Lega e Berlusconi. I neofascisti sono chiamati a salvare la “patria” insieme a ciò che resta della sinistra.  Quindi, cari compagni, consentitemi di guardare la carta geografica e di contemplare Ichnusa al centro del Mediterraneo occidentale, ugualmente distante dalla penisola italiana, dalla costa del continente africano e dalle Baleari. I nostri veri vicini più prossimi, costantemente  e stranamente dimenticati, sono i Corsi. La grandiosa e spaventosa  costruzione degli Stati/Nazione , delle cui conseguenze nefaste il Novecento è stato testimone, ci costringe a considerare estranee le uniche coste e montagne che possiamo vedere a occhio nudo dalla nostra terra. Questo è il vero delirio nazionalista che ci costringe a considerarci parte di un Meridione che ci appartiene almeno quanto ogni altra parte dell’Europa e del resto del mondo.

2 Commenti a “Intervento: Sardegna davvero meridionale?”

  1. Vincenzo Carlo Monaco scrive:

    Nè Meridionali, nè Italiani, nè separatisti. La chiave per comprendere la vera natura politica, sociale ed istituzionale della Sardegna sta nella analisi sociologica del suo popolo. Si, il popolo sardo esiste, è vivo ed ha una storia, contrastata, a volte ambigua, ma costantemente resistenziale. Si, resiste il popolo sardo ai tempi, alle politiche, alle dominazioni ed ai colonialismi, compreso l’autocolonialismo. Ed allora, nel Meridione, in Italia, non esiste un popolo con i requisiti del popolo sardo che è mediterraneo, europeo e mondiale per la sua capacità di adattamento ai mutamenti storico politici, ma è fortemente e costantemente “sardo” diverso culturalmente e socialmente. Quindi il futuro di questo popolo può essere meridionale, se gli conviene, può essere italiano, se gli conviene, ma può essere anche indipendente perchè gli conviene, se vuole affermare nel mediterraneo, in europa e nel mondo un nuovo modello di società esportabile per i suoi valori e per l’enorme potenziale di socialità, solidarietà e semplicità che lo contraddistinguono nel rispetto di tutti gli altri popoli ed individui. I sardi sono certi di non volersi separare da nessuno ma devono solo riconquistare la consapevolezza che anche come cittadini di un nuovo Stato aderente “d’ufficio” alla Unione Europea o alla Federazione Europea di domani, facente parte dell’ONU o della Federazione Mondiale degli Stati, possono sopravvivere con le proprie risorse materiali ed umane, proprio perchè popolo sardo.

  2. Giulio Angioni scrive:

    Mi sembrano utili e acute molte delle cose scritte in questo pezzo forte di Cubeddu e nel suo primo commento di Monaco. Interessante anche la citazione convinta dell’idea della costante resistenziale sarda. A proposito della quale mi permetterei una considerazione. Non prima di una dichiarazione non rituale di stima e di affetto per il suo formulatore, Giovanni Lilliu ormai nostro Sardus Pater. Infatti, direi, alla constatazione di una costante resistenziale sarda (non solo culturale) si può altrettanto correttamente opporre l’idea di una costante acculturazione esterna forse prima ancora dei tempi storici . Ma certo l’dea della costante resistenziale sarda, della conservazione inalterata di prische virtù, è importante, secondo me, non tanto per la sua probabilità e utilizzabilità storica o storiografica, ma appunto e quasi solo perché è stata formulata, in Sardegna, ed ha trovato ampi consensi e ha scaldato e scalda molti cuori. Forse la sua importanza è davvero tutta qui, o soprattutto qui. Anche perché mille volte ieri come oggi, anche dai sardisti più sardisti, si esprime l’idea risentita e in fondo autodenigratoria e opposta che siamo un popolo di vinti con animi da vinti, sempre in attesa di salvezza o perdizione dall’esterno. Come l’anno scorso alle elezioni regionali vinte dal caimano. Strano che i siciliani ripongano tutta o quasi la loro autostima proprio nell’idea opposta di essere il risultato di una grande acculturazione panmediterranea, un miracolo meticcio.

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