Ma quanti cardi possono crescere in Sardegna?

1 Ottobre 2012
Stefano Deliperi
In questi giorni scadono i termini per la presentazione di “osservazioni” nell’ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) relativa al progetto centrale a biomassa presentato dalla Enipower s.p.a. nella zona industriale di Porto Torres (SS). Il progetto rientra nel protocollo d’intesa Stato – Regione – gruppo ENI – gruppo Novamont sulla c.d. Chimica Verde stipulato il 26 maggio 2011, il quale prevede complessivamente la realizzazione di un nuovo stabilimento per la produzione di derivati di oli vegetali naturali non modificati, comprendente un impianto di produzione di monomeri biodegradabili e un impianto di produzione di oli lubrificanti biodegradabili da materie prime derivate da fonti rinnovabili, funzionalmente integrati e aventi capacità produttiva rispettivamente di 40.000 tonnellate/anno di monomeri biodegradabili e di 30.000 tonnellate/anno di oli lubrificanti biodegradabili.
Questa dovrebbe essere la bacchetta magica che permetterebbe di risolvere la crisi occupazionale pesantissima che attraversa il nord ovest della Sardegna e realizzare la bonifica ambientale di una zona industriale – quella di Porto Torres – che ha poco da invidiare alla più famosa Taranto.
E’ quindi grande l’aspettativa per la realizzazione degli interventi previsti dal protocollo della c.d. Chimica Verde.
Non possiamo, però, dimenticare che Porto Torres e Sassari fanno parte del Sito di Interesse Nazionale per le bonifiche  del nord Sardegna (SIN) ai sensi del D.M. 7 febbraio 2003, cioè territorio nel quale il livello di inquinamento dell’aria, dei suoli e delle falde, dovuto alla presenza industriale, mette a serio rischio la salute di chi ci lavora e di chi ci abita e, pertanto, deve essere bonificato.
Il rapporto  S.E.N.T.I.E.R.I. (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori  e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinanti, promosso dal Ministero della salute e pubblicato nel 2011) ha evidenziato come il territorio di Sassari (unico capoluogo di Provincia tra  i  57  siti  nazionali perimetrati) e quello di Porto Torres rientrino in uno dei 44 siti  che rappresentano le zone a maggior rischio di tumore in Italia.  Nel  SIN  Porto Torres-Sassari è stato rilevato un eccesso per tutte le cause di morte tra le quali tumori, malattie del sistema circolatorio, dell’apparato respiratorio, dell’apparato digerente, dell’apparato genitourinario.
In particolare, l’Organizzazione Mondiale della Sanità segnala che la maggior parte degli inquinanti dell’atmosfera deriva dalle combustioni e registra un incremento significativo della mortalità per cause polmonari e per cancro del polmone, per esposizione a lungo termine a PM 2.5.    Per tutti questi motivi, la più che decennale normativa europea  sulla materia impone ormai perentoriamente l’abbattimento dei valori di PM 2.5 nell’aria (mentre gli scienziati, come detto sopra, già avvertono dei danni, ancora maggiori, da nanoparticelle, PM 0.1).     In proposito, sembrerebbe non presente alcuna strumentazione necessaria per la misurazione del PM 2.5 presso le Strutture tecnico-scientifiche pubbliche operanti nella Provincia di Sassari, con ovvie conseguenze sul monitoraggio ambientale.
Invero, la situazione ambientale-sanitaria dell’area impone che i provvedimenti di bonifica ambientale (oggetto degli impegni sottoscritti nel Protocollo d’intesa sulla c.d. Chimica Verde) siano anteposti alla realizzazione di qualsiasi altro intervento industriale.
Invece le bonifiche ambientali non sono ancora partite e si aprono i cantieri per nuovi impianti industriali.
Il progetto della nuova centrale prevede la realizzazione di una nuova “caldaia da 135 MWt, ottimizzata per la combustione di biomassa erbacea, ma adatta anche all’utilizzo di biomassa legnosa, dei relativi sistemi di stoccaggio e movimentazione della biomassa e delle ceneri di combustione, dei sistemi di trattamento fumi, di una turbina a vapore da 43,5MWe con estrazione di vapore tecnologico e di una caldaia da 70MWt alimentata da combustibile fossile per integrazione e riserva della fornitura di vapore al sito industriale”.   L’impianto – previsto dal Protocollo d’intesa per la c.d. Chimica Verde – è finalizzato alla fornitura dell’energia termica e di parte dell’energia elettrica per gli impianti del polo industriale, utilizzando la biomassa erbacea sottoprodotto della filiera agricola per la produzione di olii vegetali collegata alla c.d. Chimica Verde.
E’ però evidente che la creazione di un nuovo polo energetico a combustione nelle vicinanze di quello ad elevata potenza, di proprietà di E.ON (640 MWe da carbone, 320 MWe da olio combustibile e 80 MWe da gasolio), sempre basato sulla combustione di fossili, peggiorerebbe  in termini di emissioni e di produzioni di ceneri tossiche le condizioni sanitarie già precarie del territorio di Porto Torres, caratterizzato da dati epidemiologici allarmanti riguardo alle patologie tumorali (anche della prima infanzia e dell’adolescenza) e cronico-degenerative.
Per questi motivi le associazioni ecologiste Gruppo d’Intervento Giuridico e Amici della Terra, grazie alla preziosa collaborazione con l’Associazione Medici per l’Ambiente, hanno inoltrato specifico atto di intervento con “osservazioni” (19 settembre 2012) nel procedimento V.I.A.
Interessato direttamente il Servizio regionale valutazione impatti, nonché – per opportuna informazione – la Commissione europea, il Ministero dell’ambiente, la Provincia di Sassari e i Comuni di Porto Torres e Sassari.
Sono numerose le “osservazioni” contenute nell’atto di intervento ecologista e riferite alla medesima veridicità e trasparenza del progetto presentato, in considerazione del fatto che almeno un terzo del combustibile impiegato sarebbe di origine fossile (è indicato il FOK, residuo del processo industriale di produzione dell’etilene, pericoloso, cancerogeno) e non proveniente da fonti rinnovabili, mentre non sussiste alcuna certezza della possibilità di impiegare biomassa vegetale in quelle proporzioni.
Secondo lo studio di impatto ambientale, in termini di emissioni questo impianto di “chimica verde” produrrebbe 32,4 t/anno di NOx, 4,2 t/anno di COV, 16,6 t/anno di CO, 10,3 t/anno “Polveri” e 5,4 T/anno di SO2. E’ sintomo di scarsa attenzione ai parametri della qualità dell’aria  considerare le “polveri” e non le loro frazioni (PM 10, PM 2,5  e tanto meno PM 0,1, UF e nano particelle); queste carenze sono presenti anche nella rete dei sistemi di monitoraggio nel territorio della Provincia e dell’intera Isola. Dal 6 novembre 2008 il sistema di monitoraggio della qualità  dell’aria della Provincia di Sassari è sotto il controllo dall’ARPAS; a tutt’oggi i valori di riferimento presi in considerazione non rispondono alla seconda fase attuativa temporale del D.M n. 60/2002, e tanto meno a quelle del nuovo D.Lgs. 13 agosto 2010; il valore del PM 2,5, elemento centrale della normativa più recente, non viene preso in considerazione.
Infatti, la creazione di una centrale a biomasse da 40 MWe è oltremodo sovradimensionata.
Gli studi effettuati dalla Facoltà di Agraria dell’Università di Sassari e dall’Ente Foreste della Sardegna prevedono per l’intera Isola una disponibilità di biomassa naturale, su 800.000 ettari di territorio boscato e con macchia, di circa 300.000 tonnellate annue che, con un potere calorifico medio di 3500 Kcal/Kg, basterebbero al raggiungimento di una produzione di potenza di 20 MWe.
Quindi troppo poco per il progetto presentato, anche considerando utilizzabile quella produzione di mais e di cardo proveniente dalle zone agricole del Sassarese e del Logudoro a cui fanno spesso riferimento i vertici dirigenziali delle Aziende coinvolte.
Quanto cardo e quanto mais sarebbe necessario per rispettare le “necessità” della centrale?
8-10.000 ettari coltivati a mais, 230.000 ettari circa a cardo: cioè a più di tutta la superficie attualmente impegnata in Sardegna dalle colture in atto. Il dubbio che possano essere impiegati in maniera estensiva OGM, fertilizzanti chimici, pesticidi ed altri composti chimici per l’agricoltura di cui si conosce il potenziale danno per la salute, genera preoccupazione dal punto di vista ambientale e sanitario.
Si ricorda poi che la normativa italiana (art. 17 del decreto legislativo n. 387/2003, decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i., decreto legislativo n. 28/2011) annovera tra le biomasse  (fonti rinnovabili) la parte biodegradabile dei rifiuti industriali ed urbani.
Ai fini della concessione di agevolazioni tariffarie, CIP 6, e di certificati verdi  ha, per lungo tempo,  consentito di assimilare alla biomassa vegetale vera e propria la frazione non biodegradabile dei rifiuti solidi urbani  (art. 17  D.Lgs. 387/2003 e s.m.i.), con ciò di fatto incoraggiando l’uso di tali combustibili nelle centrali a biomasse. Per questa scelta, l’Italia è stata sottoposta a procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea. Ciononostante, l’ultima normativa continua ad ammettere la  realizzazione di strutture ibride che accedono a incentivi economici (D.Lgs. n. 28/2011).
Possono, dunque, essere realizzate centrali che, ad esempio, bruciano  cardo  per il 51%, mentre per il resto bruciano rifiuti indifferenziati, con ricchi incentivi. Questo è possibile grazie a un passaggio dell’ultimo decreto, specifico per i rifiuti soggetti a forfettizzazione (D.M. 6 luglio 2012).  Tale elemento, assieme al sovradimensionamento dell’impianto, fa intravedere il rischio che la megastruttura possa essere adibita ad incenerimento di rifiuti solidi urbani, anche extra-regionali. A confermare questa ipotesi concorrono i riferimenti nel protocollo d’intesa e nell’addendum ai decreti legislativi citati e,soprattutto, le caratteristiche tecnologiche progettuali della centrale Enipower, che -si ribadisce, sono quelle preferite per l’incenerimento di rifiuti solidi urbani e assimilati.
In precedenza, con atto del 20 settembre 2011, le associazioni ecologiste Gruppo d’Intervento Giuridico e Amici della Terra erano intervenute nel procedimento di V.I.A. del complessivo  “Progetto Polo Verde – Fase I. Impianti per la produzione di monomeri ed oli lubrificanti, biodegradabili, da oli vegetali naturali” da parte della Matrica s.p.a. conclusosi con un giudizio di compatibilità ambientale subordinato a numerose condizioni (deliberazione Giunta regionale n. 52/40 del 23 dicembre 2011).
Insomma, poca chiarezza per finalità così rilevanti.

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