Ma che bel castello

16 Maggio 2008

SCAVI DEL CASTELLO DI SASSARI
Sandro Roggio

Tutti i castelli hanno un fantasma, e non c’è colpo di piccone o carica di dinamite che possa eliminare lo spirito che rimane appiccicato all’ultimo brandello di un’architettura demolita. Curiosa questa storia del castello di Sassari riapparso con tutti i fantastici rimorsi della civitas che ne aveva sentenziato la demolizione nel 1877. Che ci faceva quel maniero malandato, simbolo di un potere cattivo, mondezzaio e covo di topi, nell’innesto che conduce alla città nuova disegnata secondo i modelli delle città piemontesi? Il contrasto con i rutilanti portici verso la piazza dedicata all’Italia unita sarà sembrato inconcepibile. Un fuorisquadra estraneo alla moda di allineare: più semplicemente un “tappo” (si usa ancora questo termine per definire manufatti che impediscono le messa in cantiere di un’idea nuova). Era questo il clima: dappertutto all’epoca si manifestava la propensione a rimuovere ogni vestigia del passato, disprezzato e indicato come imbarazzante ostacolo della modernizzazione. La ziddai si erà già esercitata nel corso del secolo a demolire e sostituire numerosi monumenti (il palazzo di Città era stato rinnovato da un po’, la piazza Santa Caterina ridisegnata alla radice eliminando il palazzo del governo e la omonima chiesa di cui restano i disegni di Simone Manca ). Se si misurasse la intensità del piccone demolitore nelle città italiane penso che Sassari gareggerebbe con un curriculum di tutto rispetto.
Così per molto tempo la figura cupa del castello è stata cancellata anche dalla memoria, che come è noto si perde e si ritrova. C’era quella foto imbarazzante di Delessert ad alimentare i rimorsi, perché in fondo quel castello era proprio un bel castello, e nessuno oggi capisce, o dice di non capire, quelle richieste di demolizione insensibili al valore del bel castello, costruito in pietra concia e solidissimo. Le città senza memoria – proprio come gli uomini – impazziscono. Così negli ultimi decenni è valso (ma non troppo) il coro di rimpianti per le architetture sacrificate nel nome del progresso urbanistico. L’evento di un ritrovamento a sorpresa di suggestivi muri antichi (perché la potenza semantica dell’antico è dirompente) determina un cortocircuito e chiarisce il significato delle demolizioni. E si capisce, a proposito di sviluppo sostenibile, che è cosa delicata decidere pure per le generazioni che verranno.
Così, grazie al lavoro degli archeologi, lo show dello scavo si propone con la forza evocatrice del monumento resuscitato, superstar che dovrebbe ammonire (nel senso di monere- manere) pure nel suo stato di rudere seminterrato. Gli archeologi ci vorrebbero in pianta stabile a svolgere il compito primario della disciplina e quello subordinato (ma altrettanto utile) di tenere lontane le auto dal centro. Si scopre, con preoccupante ritardo, che un cantiere archeologico pure nella umiliante condizione di stare dietro agli scavi di una condotta fognaria, si impone alla attenzione e richiama pure i turisti.
La nemesi del castello ritrovato, con tutti i suoi fantasmi, non è solo un argomento per riflettere sulle facili demolizioni del passato ma pure per esaminare i contemporanei giudizi via sms sull’edificio “brutto” del nostro tempo, per il quale è giunta l’ora (lampeddinilu!). L’idea demolitrice torna ciclicamente e negli anni recenti ha lasciato segni importanti. E qualche disegno è stato approvato di recente per ripulire – riallineare con accanimento terapeutico obiettivo qualche brandello superstite in “piazza sventramento”; dove (a proposito di monumenti perduti) è sottoterra ciò che resta del convento delle Clarisse e dintorni. La lista dei messaggi dei cittadini pubblicati da “La Nuova Sardegna” potrebbe essere oggetto di studi, per spiegare il pensiero della comunità, i sensi di colpa e le ambizioni per una città più bella. C’è chi rivuole il suo castello ricostruito pietra su pietra e “a terrà !” la caserma, non importa se ha quasi 150 anni. Tanto per dare ragione a chi pensa che le città, come le persone con difetti caratteriali radicati, non cambiano facilmente con il passare degli anni.
Il dibattito su queste questioni continuerà e metterà in luce interessi e contraddizioni nel processo decisionale sulla città di pietra, da osservare con attenzione: oltre le più note intenzioni di trasformazioni, in genere riguardanti le più grandi città sarde, c’è da tenere sotto controllo un lavorio verso meno illustri insediamenti che sta provocando esiti preoccupanti.

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