Malnutrizione e dinamica demografica
1 Agosto 2015Gianfranco Sabattini
I documenti “Global Hunger Index” e “Global Nutrition Report”, che l’International Food Policy Research Institute (IFPRI) ha predisposto per il 2015, fanno il punto sulla lotta alla malnutrizione nel mondo; di entrambi i documenti è riportato un estratto sul n. 69/2015 di “Aspenia”: il primo traccia il fenomeno della fame a livello globale, mentre il secondo, presentato all’Expo di Milano, è volto a stimolare i Paesi ricchi perché assumano un “maggiore impegno per una migliore qualità della nutrizione in tutti i Paesi del mondo”.
Presentando i due documenti, Shenggen Fan, direttore generale dell’IFPRI, dopo aver sottolineato la permanenza di diffuse vulnerabilità alle quali sono ancora esposti sul piano alimentare molti Paesi in via di sviluppo, mette in evidenza i risultati positivi cui la lotta contro la fame è pervenuta negli ultimi decenni, ma conclude osservando: i “progressi sul fronte della sicurezza alimentare globale sono deboli e per molti versi insostenibili dal punto di vista ambientale. La realtà dei fatti e l’esperienza indicano chiaramente la necessità di un cambiamento di strategia. Soddisfare le due esigenze è possibile, ma solo a condizione di un utilizzo più intelligente delle risorse, di un maggior senso di responsabilità e trasparenza e di uno sforzo di creatività da parte di tutti”.
Ciò che stupisce delle affermazioni di Shenggen Fan è che, per la lotta contro la fame nel mondo, si faccia appello essenzialmente solo ad un più intelligente uso delle risorse, per conciliare tale lotta con la sostenibilità ambientale, tacendo o sorvolando sul problema del controllo demografico. E’ plausibile, alle condizioni di funzionamento attuale dell’economia-mondo, trascurare gli effetti negativi del fenomeno della crescita incontrollata della popolazione mondiale sulle politiche finalizzate a rimuovere la malnutrizione globale?
Riguardo alla possibilità di conseguire risultati significativi nella lotta contro la malnutrizione, non si può non tener conto del fatto che oggi la popolazione mondiale ammonta a circa 7,3 miliardi e che l’ONU stima che, nel 2040, sul pianeta ci saranno circa 9 miliardi di abitanti. Questa previsione non può essere “compensata” da quella della maggior parte dei demografi, secondo i quali a partire da quella data la popolazione mondiale comincerà a diminuire, potendo tornare a 7,5 miliardi entro il 2100, a causa della diminuzione dei tassi di natalità.
La previsione dell’ONU e quella non universalmente accettata dei demografi inducono a pensare che il rapporto tra crescita demografica e sviluppo economico, dal quale dipende sostanzialmente il successo della lotta contro la fame, continueranno ad esercitare un “peso” negativo sulle strategie che saranno adottate per continuare a perseguire il contenimento della malnutrizione; ciò perché sembra fuori luogo fare eccessivo affidamento sull’esperienza del passato dei Paesi ricchi. In concreto, con riferimento a questi Paesi, si è osservato che lo sviluppo avvenuto tra Ottocento e Novecento ha avuto un riflesso negativo sulla crescita demografica, per effetto della diminuzione della fertilità (numero medio di figli per donna). Qualcosa di simile ci si attende possa avvenire nei Paesi in via di sviluppo; pertanto, si ritiene fondatamente prevedibile che in quelli, tra questi ultimi, maggiormente afflitti dalla malnutrizione, tanto più la fertilità diminuirà, tanto più le famiglie ridurranno il numero di membri “da sfamare”.
L’evoluzione del dibattito, iniziato con Malthus, sulla relazione esistente tra crescita demografica e sviluppo economico porta a chiederci che tipo di rapporto esista realmente oggi tra quelle due grandezze strategiche. Dagli anni Sessanta ad oggi si sono affermate due correnti di pensiero che sono pervenute a risposte alternative: una corrente è quella neo-malthusiana, arricchita da considerazioni ambientaliste, i cui sostenitori ripropongono il tema della scarsa disponibilità di risorse, soprattutto alimentari, ed il suo impatto sugli scenari della malnutrizione a livello mondiale; una seconda corrente, di carattere essenzialmente liberista, formula una possibile soluzione ottimista del problema della malnutrizione nel mondo, sostenendo che la crescita demografica è propulsiva per lo sviluppo economico.
Di fronte alle diverse interpretazioni che i demografi danno del rapporto esistente tra crescita demografica e sviluppo economico, gli economisti non hanno mai chiarito con certezza la loro posizione rispetto al problema oggetto di dibattito; alcuni studi empirici condotti all’interno dei Paesi in via di sviluppo mostrano una correlazione negativa tra crescita della popolazione e incremento del PIL, mentre altri escludono l’esistenza di una correlazione positiva. Gli economisti, quindi, soprattutto con riferimento ai Paesi in via di sviluppo, sono in disaccordo sulla interpretazione della relazione esistente tra crescita demografica e crescita economica.
Se si considera l’esperienza di due grandi Paesi in fase di sviluppo, quali Cina ed India, che per primi hanno adottato politiche demografiche malthusiane, l’aspetto del quale si discute circa la loro esperienza riguarda quanto le politiche demografiche abbiano avuto un effetto sul loro sviluppo economico e sulla riduzione della fertilità della popolazione femminile. I diversi tentativi di supportare la crescita attraverso politiche di “controllo delle nascite” hanno avuto un successo relativo: se in Cina, il tasso di natalità è sceso del 60%, tra il 1965 e il 1990, in altri casi, riguardanti molti Paesi in via di sviluppo, i ritmi di crescita della popolazione sono rimasti ancora molto elevati. I tassi di natalità sono calati sia per la Cina che per l’India, ma secondo ritmi diversi: stando alle previsioni, l’India raggiungerà intorno al 2050 un tasso di natalità pari alla “soglia di rimpiazzo”, mentre la Cina lo raggiungerà vent’anni prima.
Cosa suggerisce l’esperienza delle politiche demografiche attuate da Cina ed India? Lo studio comparativo sulle politiche demografiche nei due grandi Paesi asiatici dimostra che l’approccio neo-malthusiano esce “sconfitto” dal dibattito. Le politiche demografiche non sono risultate influenti sullo sviluppo, né in Cina e nemmeno in India; in sostanza, le tesi malthusiane di incompatibilità tra crescita demografica e crescita economica sono state smentite dall’evidenza storica nei due Paesi.
In conclusione, il dibattito resta e resterà aperto sul tema della sostenibilità della crescita, sia demografica che economica, riguardo all’ambiente e al sovraconsumo di risorse. Sulla base dei principi di Malthus, perciò, è realistico assumere che, per i fragili ecosistemi della Terra, siano troppe le persone da sfamare; celebrare una possibile vittoria sulla fame, come fa la maggior parte dei demografi, sulla base della diminuzione della natalità, è come congratularsi con i leader politici che, disattendendo il fenomeno della sovrapopolazione, riescono a condurre il mondo verso il disastro ambientale solo più lentamente.
Ciò che si rivelerà importante, ai fini del contenimento del fenomeno della malnutrizione, sarà quindi l’uso che nell’immediato si farà delle risorse e la capacità di evitare il più possibile gli sprechi. Al riguardo, non va dimenticato che la crescita e le politiche contro la fame nel mondo stanno aiutando centinaia di milioni di persone a sfuggire all’estrema povertà; ma è forte il rischio che questo processo avvenga nella forma che è stata propria dei Paesi europei e dell’America settentrionale, i quali, per raggiungere il loro livello di crescita e consumo, hanno “divorato” troppe risorse, con conseguenze ambientali che sono in cima alle preoccupazioni di tutti.
Fonte immagine: www.lantidiplomatico.it
1 Agosto 2015 alle 11:25
Che una riduzione della crescita della popolazione sia fondamentale per una economia sostenibile non mi pare possibile dubitare. Il fatto è che le politiche attuate in India e Cina non sono ripetibili né auspicabili fuori da una società povera e autoritaria. Inoltre nessuno ha saputo ripetere l’indubbio successo della Cina su questa materia. L’unica politica possibile si basa sulla democrazia e sull’empowerment delle donne (diritto a limitare le nascite e capacità di farlo) e non genericamente allo sviluppo economico. Perciò si tende a mettere la questione demografica tra parentesi e a concentrarsi solo sulla produzione di cibo. Chiaro che è una prospettiva limitata.