Manifestando ad Al Mas’ara
1 Febbraio 2010Alice Sassu
8 gennaio 2010. Sistemo videocamera e reflex, metto scarpe leggere, scialle e pantaloni comodi. Siamo soprattutto internazionali alla sede dell’AIC (http://www.alternativenews.org/), ma ci sono anche palestinesi. Aspettiamo i service con in mano bandiere palestinesi e bandiere nere in lutto per i morti dell’occupazione. Direzione: villaggio di Al-Mas’ara dove ogni venerdì si manifesta, si attraversa il paese e si stanzia di fronte al blocco militare israeliano. Motivo della protesta: la costruzione del muro di Apartheid, il saccheggio di terre, la distruzione di case, i soprusi e gli arresti ai danni dei palestinesi. Arriviamo nel villaggio presso la sede del comitato locale e aspettiamo l’arrivo di un gruppo di ragazzi israeliani che dovrebbero unirsi alla manifestazione. Sono in ritardo, ma non è facile per loro entrare nei territori occupati: agli israeliani è vietato l’ingresso in Palestina. Loro rischiano il carcere. Per partecipare ai cortei di protesta devono, dunque, evitare i checkpoint e passare per stradine secondarie. Alla fine arrivano, si presentano organizzatissimi: tamburelli, fischietti, bandiere, macchine fotografiche e videocamere. L’obiettivo è mostrare le conseguenze dell’occupazione, le iniziative di protesta, i soprusi commessi dai militari del proprio paese: i militari dell’”Israeli Defence Force”, quelli che permettono l’espropriazione delle terre, quelli che attuano l’occupazione, quelli che eseguono gli ordini dall’alto. Inizia il corteo. È aperto dai giovani di Al Mas’ara che reggono con fierezza la bandiera palestinese, i tamburelli degli israeliani tendono il ritmo e iniziano così i canti. Dalle case spuntano visi, occhi che osservano, ascoltano, ma non partecipano. È a quel punto che si unisce al corteo una donna in abiti tradizionali, lei va subito in testa al corteo e lancia canti insieme ad un’altra donna che ha in mano la foto incorniciata del figlio in carcere. Sono queste due donne che davanti al blocco militare israeliano parlano dei soprusi, dell’occupazione, dei diritti negati, delle loro case, della loro terra e dei loro figli. Già, perché la ragione principale per cui alcuni abitanti del paese non partecipano ai cortei è il rischio di arresti di massa. Tra i militari in tenuta mimetica e armati fino al collo, c’è chi ha videocamera e macchina fotografica. Documentano, infatti, per segnalare i soggetti “pericolosi”, palestinesi e israeliani militanti contro l’occupazione, tutti quelli che hanno il coraggio di resistere. Il sit-in dura poco. Secondo i militari israeliani la protesta doveva a quel punto finire. Iniziano a venirci incontro minacciosi, dicono di essere stati colpiti da una pietra. E allora inizia la repressione con spintoni, inseguimenti, lacrimogeni, bombe sonore, caos. Quando ritorniamo alla sede del comitato locale, quasi tutti abbiamo sguardi perplessi e mostriamo dei dubbi sul senso della manifestazione. Per noi è stata quasi una passeggiata, ma per gli abitanti del paese le conseguenze dell’iniziativa saranno dure, violente. Ci spiegano che loro subiscono quotidianamente arresti e soprusi e che la nostra presenza è importante per dare sostegno, raccontare le ragioni della protesta, le conseguenze dell’occupazione, ed evitare eccessiva violenza da parte dei militari durante le manifestazioni. Il giorno dopo, presso la sede dell’AIC, rappresentanti del comitato locale di Al Mas’ara parlano delle future iniziative e dell’appoggio ad altri villaggi in protesta. Raccontano che la notte della manifestazione hanno ricevuto avvisi di incursioni armate nelle case, ma grazie al pronto intervento di internazionali si è evitato il peggio. Inizia a quel punto un dibattito. Si discute di tipologie di azione, di resistenza non violenta, di mezzi per giungere al fine, si discute di quale fine. Se lottare per la Palestina storica del ‘48, se per la Palestina dei territori occupati, se contro il muro di Apartheid costruito sulla linea verde, o contro l’espansione del muro che permette ad Israele di occupare nuova terra palestinese. Insomma, nonostante le storiche differenze sul fine o sul mezzo, la resistenza prosegue, e non può che essere non violenta vista l’impossibilità di contrapporsi alla forza militare israeliana. Si manifesta, per urlare i propri diritti, semplicemente per il proprio futuro, per la propria vita, semplicemente per la propria terra.
Il link al racconto fotografico della giornata: http://www.flickr.com/photos/punalua/sets/72157623048907013/show/