Manovre energetiche
16 Novembre 2013Graziano Pintori
Potrebbe esistere una connessione tra il GALSI (Gasdotto Libia Sardegna Italia) e il TAP (Transit Adriatic Pipeline)? Io penso di si, almeno dal punto di vista politico, finanziario, ambientale, sociale. Il Galsi con 285 chilometri ha squarciato la Sardegna per garantire otto miliardi di metri cubi di gas all’anno; il TAP parte dal Mar Caspio, dovrebbe attraversare la Grecia, l’Albania, l’Adriatico per fermarsi dopo 870 chilometri sulle coste pugliesi, tra i comuni di Melendugno e Vernole. A causa dei disastrosi impatti ambientali, prima la popolazione sarda e tuttora quella pugliese si oppongono con convinzione ai due progetti. Come già avvenuto in Sardegna, anche sul Salento ad opera della NOMISMA ENERGIA, compagnia bolognese che si occupa di ricerca e analisi dei mercati energetici, volano i coriandoli dell’ottimismo, ossia le promesse di centinaia di milioni di euro, migliaia di posti di lavoro e conseguenti benefici economici per l’indotto e la fiscalità locale: una manna, dicono, con effetto cinquantennale. I dischetti di carta colorati sono l’anteprima per far leva contro gli oppositori del TAP, una partita da cento miliardi messi sul campo dal consorzio SHAH DENITZ, gestore dell’oro azzurro che fuoriesce dal Mar Caspio. La mega operazione ha richiamato i colossi mondiali dell’energia, compresa la multinazionale tedesca E.On, abbastanza nota in Sardegna. La notorietà è dovuta per il modo di fare e disfare accordi intrapresi con tutti i livelli istituzionali sardi, perché E.on pensa solo al proprio tornaconto: 78 milioni di utili nel 2012 a scapito delle ricadute economiche, sociali e ambientali attese dai cittadini, dagli operai e dal territorio di Fiume Santo – Porto Torres e dalla Sardegna tutta. Gli esempi della Sardegna e della Puglia dimostrano quanto sia allineata la politica energetica italiana alle strategie finanziarie globali e alle logiche delle multinazionali dell’energia, di cui può essere esempio il paradosso pugliese. Vediamo. Il consorzio SHAH DENITZ ha preferito la soluzione TAP rispetto ad un altro progetto “pronto per l’uso” del 2005, chiamato IGI POSEIDON. La singolarità dell’operazione consiste che il TAP avrebbe la disponibilità del gas di SHAH DENITZ, però non possiede le necessarie autorizzazioni ed il consenso delle comunità dei territori interessati dall’opera, invece l’IGE POSEIDON è in regola con le autorizzazioni e la popolazione accetta l’approdo del super gasdotto a Otranto, in provincia di Lecce. In Sardegna, nonostante l’opposizione popolare, come già detto, ci troviamo con l’isola spaccata dall’estremo Sud-Ovest all’estremo Nord-Est per accogliere il GALSI vuoto, senza gas: né libico né di altra provenienza. Infatti il progetto multi milionario è scomparso dagli interventi dei tanti tromboni della politica, dei sindacati e degli interessi privati. E’ un’opera “desaparecido”: non ci sono spiegazioni alla misera fine del progetto, solo aspettative frantumate e problematiche ambientali seminate nell’interminabile tracciato. Un accenno indiretto della fine del GALSI viene fuori solo dall’assessore all’industria Liori: “In Sardegna potrebbero essere realizzati due gassificatori: uno a Sarroch e l’altro a Porto Torres, in attesa di capire la fine che dovrà subire il GALSI”. Davanti a questa scoraggiante politica energetica l’operosità dell’ape Letta non demorde, va avanti con il programma diversificato delle fonti di approvvigionamento per far diventare l’Italia la pancia europea del gas, grazie al TAP. Una strategia che nel tempo potrebbe rivelarsi vincente, anche perché si contrappone alle frenesie nucleari manifestate dalla nominata NOMISMA ENERGIE. Comunque sia la Sardegna è messa fuori da questo scenario, il che dimostra l’incapacità dei politici nostrani nel difendere gli interessi dell’isola, preda dei soliti e squallidi tentativi di chi vede nella Sardegna una immensa vacca da mungere. Prova ne sia il subdolo tentativo della Ottana Energia, la quale, in attesa del gas libico o di chissà chi, vorrebbe convertire l’olio combustibile con il carbone per la produzione di energia elettrica. La richiesta è respinta dalle popolazioni di almeno dieci paesi che ruotano nella piana di Ottana, perché conoscono gli effetti devastanti del carbone sulla salute e, sanno bene, che l’operazione è mirata agli esclusivi interessi del Clivati di turno. Infatti, non si prevede la crescita della forza lavoro e tanto meno, con i danni ambientali conseguenti, ci saranno benefici per l’economia locale.
Ottana Energia è sostenuta dai sindacati e dalle organizzazioni degli imprenditori e, come rivelano le cronache, anche da qualche cigiellino passato armi e bagagli all’azienda Clivati. Una scelta mercenaria che disonora la sua storia davanti a tanti operai che hanno creduto in lui, è evidente che vorrebbe seppellire le false promesse sostenute chissà per quanto tempo, constatato che con le industrie di Ottana sono state sepolte l’idea e la speranza del riscatto socio economico di tutta la Sardegna Centrale.