Protezione affarile
16 Febbraio 2010Marcello Madau
Il G8 e l’emergenza, il terremoto e la strada a quattro corsie. I bronzi di Riace o le statue di Monti Prama? E ora l’inchiesta della Procura fiorentina sulla Protezione Civile.
E’ successo di tutto, tranne l’unico fatto che poteva essere rilevante: costruire, attorno alla liberazione – mai realmente avvenuta – dell’Arcipelago della Maddalena dal colonialismo una possibilità di sviluppo sostenibile con al centro le risorse del territorio.
Sarebbe facile dire che quello del G8 maddalenino era un disastro annunciato. Ne avevamo più volte parlato in tempi non sospetti (ma che iniziavano a diventarlo: vedi “Non dovremo permetterci il lusso” dell’aprile 2008, o addirittura nell’agosto del 2007 “La sconfitta della patella” di Ignazio Camarda) sperando un po’retoricamente che non avvenisse. Ciò che stiamo vedendo in questi giorni conferma quanto la stagione di Mani pulite e la fine del CAF (Craxi Andreotti Forlani) siano stati modesti episodi che il sistema ha avuto la capacità di riassorbire, con piena e cosciente direzione del centro-destra. Riprendendo il suo funzionamento con la novità dell’attacco alla Magistratura e confermando quella una regola aurea: in Italia l’eccezionalità produce strutturalmente malaffare, giganteschi profitti e soprattutto l’esproprio dei territori.
Dai territori vorremmo partire. Perché non si tratta solo di un problema di legalità. Emerge un serissimo problema di cultura del paesaggio.
E’ sicuramente centrale opporsi alla creazione di un mondo definitivamente al di fuori delle regole: quello che si sta cercando di fare della Protezione Civile è la via maestra per eludere i sistemi di controllo degli abusi che quarant’anni di scritture democratiche, conseguenti all’irruzione delle masse nella scena sociale, hanno progressivamente disegnato (dalla Costituzione repubblicana alla ‘Legge Galasso’ sino agli esiti, pur talora contradditori, del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio). Si vogliono garantire i più grandi affari sul territorio coprendoli con una società per azioni a gestire – consegnandola all’esecutivo politico – una ridefinizione dell’emergenza, pienamente intesa come architettura degli affari più appetitosi senza limiti alla devastazione del territorio e del paesaggio: ricostruzioni, giochi olimpici e mondiali, grandi opere, termovalorizzatori, centrali nucleari. E ci si oppone anche firmando appelli, come quello promosso da la ‘La Repubblica’.
Ma il ‘centro-sinistra’ non ha proprio nulla da rimproverarsi, pur nella incomparabile differenza di moralità, legalità e senso democratico rispetto ai governi di Berlusconi e Cappellacci?? Siccome alcuni dicono che noi del Manifesto – pure quello sardo – essendo critici della sinistra (cosa volete, è il nostro marchio di nascita) siamo rompiscatole e grilli parlanti, vorrei dare un contributo a confermare questa idea.
Inizio allora col ricordare che anche il Governo Prodi, e il governatore Renato Soru, hanno usato “l’eccezionalità” per forzare una riconversione territoriale dell’Arcipelago della Maddalena non proprio aderente alle linee dello sviluppo sostenibile e di una democrazia partecipata, trasparente nelle sue politiche.
E’ vero che la deriva susseguente alla caduta del centro-sinistra, prima in Italia che in Sardegna – ha distrutto un ragionamento come quello soriano comprensibile e non privo di una sua razionalità, che voleva risarcire La Maddalena potenziando un segmento turistico alto con un importante tassello-approdo. Lo ha spiegato bene Costantino Cossu sul Manifesto qualche giorno fa. Però questa operazione, benedetta da Legambiente e altre associazioni ambientaliste (le quali, con l’eccezione del Gruppo di Intervento Giuridico e degli Amici della Terra, si accontentavano del piano, pur apprezzabile da questo punto di vista ma non certo sufficiente, di non aggiungere cemento ma operare solo interventi conservativi e di ristrutturazione), si è basata sul turismo di lusso, notoriamente aggressivo verso i contesti ambientali più delicati. Ha strizzato l’occhio ai peggiori sentimenti antiparco dimenticando completamente il campo dei beni culturali.
Nel grande flusso finanziario previsto per il G8 a La Maddalena c’era – prima e poco prima – una serie di convegni importanti che cercavano di intercettare l’importanza dell’evento in un ottica sostenibile. Ma, a parte il fatto che il G8 di per sé non è sostenibile, non c’è stata parola né azione politica, culturale e finanziaria destinate per il Compendio Garibaldino di Caprera, il museo statale dell’isola più visitato, o per il Museo della nave romana tardo-repubblicana rinvenuta nei fondali del mare di Spargi, in perenne affanno. Nè in genere per la valorizzazione dell’intera rete dei siti archeologici ed architettonici che costituiscono il palinsesto storico dell’arcipelago.
Uno degli effetti più pericolosi dei grandi eventi, quando essi non sono assistiti da una convinta adesione alla cultura della democrazia partecipata e della centralità dei territori, è costituito dalla prevalenza del segno più attrattivo, a prescindere dalla realtà territoriale coinvolta. Non è in fondo casuale che l’unica discussione riguardante i beni culturali abbia visto una singolare e centralistica tenzone fra le statue di Monti Prama ed i Bronzi di Riace e nulla del patrimonio prima indicato.
Fossero solo cattivi o errati indirizzi archeologici e sui beni culturali! Non è una spiegazione sufficiente. Vi è stata una insufficiente capacità di immaginare sviluppo culturale e ambientale a partire dalla realtà del territorio, generata anche da una carente concezione democratica sulla gestione dello stesso.
Oggi sul pezzo di ‘rinascita’ veicolata dal G8 a La Maddalena appare uno scenario di rovine. La lezione che apprendiamo è tremenda: fare ‘da sinistra’ e con relativa legalità ciò che alla destra appartiene come modello, e che essa fa con molta più forza grazie allo sfondamento della legalità, non è possibile. E non funziona. Il modello della democrazia dal basso non ammette, tantomeno in casi come questo, scorciatoie o surrogati. Almeno ci siamo risparmiati qualche telefonata macabra, ma a La Maddalena ora non si vede alcuna prospettiva precisa, e sul risanamento ambientale permangono gravi interrogativi.
Solo pochi, già con moltissimi denari, ci hanno guadagnato e continueranno a guadagnarci sulle nostre spalle, iniziando da quelle dei maddalenini. Hanno nomi importanti, sono amici del centro-destra ed anche del centro-sinistra.
Almeno sinora, l’occasione perduta è di quelle che pesano.
18 Febbraio 2010 alle 00:28
Caro Marcello, il Gruppo d’Intervento Giuridico e gli Amici della Terra sono associazioni ecologiste e quel ruolo hanno esercitato – come sempre – nella vicenda della programmata riunione G 8 a La Maddalena. Come ricorderai, quasi in splendida solitudine. I ruoli di tipo politico erano di spettanza di partiti, formazioni sociali, sindacati. E chi c’era s’è accodato felicemente alla grande “festa” del G 8 che poi è mancato. Un “grande evento” per la felicità esclusiva dei “professionisti del grande evento”. L’avevamo previsto e l’abbiamo denunciato. Altri hanno fatto gli “sherpa” e questi sono i risultati, sotto gli occhi di tutti.
18 Febbraio 2010 alle 16:44
Esattamente.
20 Febbraio 2010 alle 09:03
Assolutamente condivisibile la denuncia della mancanza di una cultura del paesaggio e dell’assenza del momento culturale nella valorizzazione della specificità del territorio, momenti che cedono il passo alla logica mercantile dell’investimento su un bene unico e non riproducibile – il territorio – il cui ritorno economico diventa l’unica chiave di lettura dell’intervento umano.
In quest’ottica è conseguente la visione miope e parassitaria della valorizzazione di un territorio attraverso un turismo di lusso, turismo che mal tollera tutte quelle norme di rispetto e tollerante fruizione di un comune luogo di origine ; ma forse sfugge ai superficiali affaristi in erba il momento di riflessione sulle risorse naturali offerto dall’istituzione dei parchi, enti che dovrebbero favorire un’armonica coesistenza di ruoli nei territori da salvaguardare.
La verità, come giustamente notato, è che manca un presupposto qualificante dell’intervento umano, anche a sinistra, che non può essere fondato che sulla dimensione collettiva, per interessi e loro rappresentazione : se non si parte da questa nuova visione, antropologica e politica al contempo, la logica dell’intervento sarà sempre inficiata da opportunismi pilateschi e malaffare d’alto bordo.
Il risultato della fiducia sull’opera di un ipotetico demiurgo si è disperso tra la falsa consapevolezza di una grandeur mai esistita e la squallida pratica dei partecipanti al gioco del potere, il cui “piatto” è stato a carico dei maddalenini.