Memoria smemorata
1 Febbraio 2014Alfonso Stiglitz
Vedere ieri, 29 gennaio 2014, in televisione, il Presidente del Consiglio dei Ministri Enrico Letta intrattenersi affettuosamente con Matteo Salvini, segretario federale della Lega Nord, mi porta a riflettere su quanto sia fugace la memoria di chi svolge un ruolo istituzionale e politico, di quanto flebili siano i confini tra sentimento reale e ipocrisia.
Matteo Salvini, per chi non lo sapesse, è un personaggio che costantemente, direi quasi quotidianamente, esprime sentimenti dichiaratamente razzisti e xenofobi, e dirige un partito razzista e xenofobo che in questi giorni ha avuto molto spazio nei mezzi di comunicazione per le prese di posizione squallidamente razziali nei confronti del Ministro Cecile Kyenge. È un partito ormai saldamente ancorato al movimento europeo xenofobo e razzista che, purtroppo, avrà un certo peso nel prossimo parlamento che dovrà guidare la Comunità Europea.
“Il dovere della memoria non si conclude col Novecento: oggi tocca alla mia generazione, nata dopo la seconda guerra mondiale, fare tesoro delle testimonianze dei sopravvissuti, difendere la verità storica, e soprattutto educare i giovani a non rimanere mai più indifferenti […] Tenere alta la guardia – ha concluso Letta – contro ogni forma di antisemitismo, razzismo e discriminazione”.
Mi chiedo come possano andare d’accordo queste dichiarazioni di Letta fatte non più di due giorni prima, il 27 gennaio, con le affettuose carezze a Salvini. Come è possibile che ancora si corteggi la Lega, di oggi la norma regalo per permettere una rappresentanza parlamentare a un partito razzista, nel miope calcolo ragionieristico della possibilità di incrementare il proprio potere politico. È una domanda, una delle tante tantissime ormai, che possono essere poste a un Partito che si definisce “Democratico”, sempre più sconcertante.
Se mi è permessa una parentesi, si fa un regalo elettorale alla Lega razzista e, contemporaneamente, si continua a negare la possibilità di una rappresentanza europea ai Sardi che, comunque vadano l’elezioni, qualunque partito vinca sarà un partito democratico non razzista, sia esso italiano, sovranista o indipendentista.
Ma la domanda del rapporto col razzismo può essere estesa a molti, a partire dal centrodestra distintosi anch’esso per toni razzisti. Tra i molti ci siamo anche noi, cittadini, società civile come si diceva un tempo, che abbiamo un rapporto particolare con la memoria, quasi commerciale: prendiamo quello che ci serve e che ci consola, che ci ripara e ci permette di non porci domande scomode.
In questi ultimi mesi, culminanti con gennaio e con la Giornata della Memoria, ci sono state molte interessanti e belle iniziative volte a recuperare eventi positivi e negativi del passato; in tutti è stato ricordato che la guerra e le persecuzioni, sia politiche che razziste, ci hanno riguardato da vicino. Ne ricordo una per tutte, alla quale ho partecipato direttamente e che si è tenuta a Ghilarza il 30 Novembre 2013: un convegno in occasione del 70° anniversario della caduta del fascismo, dal titolo “Ora e sempre 1943, settant’anni dopo. Soldati, antifascisti e partigiani dell’alto-oristanese nella Resistenza”, organizzato dalla casa Gramsci di Ghilarza, in collaborazione con Terra Gramsci, Anpi e il patrocinio del Comune di Ghilarza. Nel convegno sono stati ricordati, nell’ordine: Francesco Curreli, di Austis, Pasquale Cocco di Sedilo, Bartolomeo Meloni di Santu Lussurgiu, Antonio Feurra di Seneghe, Giuseppe Medas di Narbolia, Cosimo Orrù di San Vero Milis, e Pietro Carboni di Paulilatino. Ma si è parlato anche di altri e sono tanti.
Alzi la mano chi ne aveva sentito parlare, chi conosce i nomi. Forse chi abita in quei paesi conosce il nome di una strada intitolata a essi e poco più. Sappiamo tutto dei combattenti antiromani guidati da Ampsicora, non sappiamo niente di coloro che ci hanno regalato, a caro prezzo, la nostra attuale libertà. Una memoria a compartimenti stagni. Meglio radici antiche, asettiche, che contemporanee, causa di problemi, di messe in discussione.
Ad esempio, ricordiamo i nostri deportati, politici e razziali, come se fossero stati colpiti da un male assoluto, non umano e, soprattutto lontano. In realtà anche i carnefici spesso erano sardi e, qui, la memoria si fa smemorata. Per cui è importante ricordare anche i loro nomi e, magari, fare degli approfondimenti su queste figure negative, ma importanti per non dimenticare. Qui alcuni nomi.
Mi riferisco a Lino Businco estensore del manifesto della razza, vicedirettore dell’Ufficio studi sulla razza del Ministero della Cultura popolare, visitatore dei campi nazisti, di cui altre volte ho parlato nel nostro giornale; ma altri sono ancora meno noti come il prete, capellano militare, Luciano Usai di San Gavino, uno dei tre cappellani militari sardi che aderì entusiasticamente alla Repubblica di Salò, sul cui ruolo nelle deportazioni ancora troppo poco si è scritto e, ultimo ma non l’ultimo, Francesco Maria Barracu di Santu Lussurgiu, che fu sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri della RSI e finì i suoi giorni appeso a piazzale Loreto con Mussolini. Tra le infamie quella di avere intitolato a Giovanni Maria Angioy, un nostro eroe della libertà, un battaglione della Repubblica Sociale. Non lo meritava Giovanni Maria.
Una memoria smemorata la nostra.