Migranti del clima
16 Gennaio 2010Claudia Basciu*
Lo scorso mese di dicembre, a Copenhagen, si è tenuta la “XV Conferenza Onu sul Clima – COP 15”, il vertice dell’Onu che prevedeva, tra i suoi ambiziosi e ottimi obiettivi, quello di elaborare un accordo globale tra tutti i Paesi partecipanti, per limitare ulteriormente le emissioni di gas serra in atmosfera e andare oltre gli accordi fissati con il Protocollo di Kyoto, arrivando ad elaborare un Piano condiviso soprattutto nell’ambito della diffusione di migliori tecnologie per il contenimento del riscaldamento globale. Si parlava della Conferenza di Copenhagen come della conferenza cruciale per salvare il Pianeta ma, nonostante i buoni propositi, l’accordo raggiunto non sembra avere le caratteristiche necessarie per raggiungere l’obiettivo: si tratta di un accordo non vincolante né legalmente né politicamente, prevede solo un impegno a limitare entro un massimo di due gradi l’aumento delle temperature, non fissa cifre sui tagli alle emissioni di gas serra e prevede aiuti per 100 miliardi di dollari da qui al 2020 per i Paesi in via di sviluppo. Per ora, nulla di più, come se salvare il Pianeta fosse una scelta rinviabile. D’altra parte, per comprendere la necessità di adottare misure immediate per il contenimento del riscaldamento globale, e anche per fugare i dubbi degli scettici riguardo ai reali danni che i mutamenti climatici producono sulla Terra e sulle diverse specie che la abitano (compresi gli esseri umani) è sufficiente prendere in considerazione i dati recentemente diffusi dall’Organizzazione per le migrazioni (Iom, International organization for migration) su quelli che potremmo definire i “migranti del clima”: oggi, dovrebbero essere circa 50 milioni di persone e si stima che nel 2020, permanendo le attuali condizioni, potrebbero essere oltre 200 milioni, e a queste si sommano le persone, circa 192 milioni di persone che, fin dalla nascita, non vivono nella loro terra natale. Sono persone in fuga da ambienti ormai divenuti ostili ed inospitali, a causa di alluvioni, uragani, siccità, desertificazione, guerre per il controllo delle risorse primarie. L’impatto dei mutamenti climatici sul fenomeno della migrazione, peraltro, non è una scoperta recente, già negli anni ’90, l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change – l’ente istituito dalle Nazioni Unite e dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale – WMO, nel 1988, che svolge attività di raccolta e valutazione dei dati raccolti nelle varie ricerche di settore, ed è costituito da esperti delle varie discipline scientifiche interessate all’effetto serra) aveva previsto che uno degli effetti più gravi dei cambiamenti del clima avrebbe potuto essere proprio l’aumento dei flussi migratori dalle terre già povere ed interessate da eventi meteorologici devastanti verso zone ricche e non ancora pesantemente colpite dagli stessi eventi. Si tratta di studi che risalgono a vent’anni fa, così come gli studi scientifici relativi agli effetti del riscaldamento globale sul clima e, quindi, sull’ambiente, sugli esseri viventi, sull’uomo, sull’economia, sulla politica, sulla società, risalgono a quasi quarant’anni fa, non si tratta di bizzarrie di ecologisti catastrofisti. Com’è noto, i primi studi relativi ai mutamenti climatici risalgono alla fine degli anni ’70, diffusi in occasione della conferenza mondiale sul clima del 1979, svoltasi a Ginevra, successivamente, nel 1981 vengono diffusi gli studi James Hansen (astrofisico e climatologo statunitense) sul cambiamento climatico mentre nel 1990 viene reso pubblico il primo rapporto dell’IPCC e l’Onu avvia l’elaborazione di una convenzione sul cambiamento climatico, che sarà presentata alla conferenza di Rio de Janeiro ed entrerà in vigore nel marzo del 1994. Da allora fino ad oggi, gli studi scientifici sono migliorati e hanno confermato che i mutamenti climatici sono collegati in parte a fattori naturali e per un buon 90% a fattori antropici, all’attività dell’uomo (i rapporti dell’IPCC sono facilmente reperibili sul sito internet dell’ente) di conseguenza, la soglia di attenzione dei cittadini rispetto alla questione “clima” è senz’altro aumentata ed è andata di pari passo con la diffusione delle buone pratiche osservate da ognuno di noi nella vita quotidiana. La scienza si è messa al servizio dei cittadini, al servizio del benessere comune per aiutare l’intera comunità mondiale a vivere meglio, e questo semplice concetto è stato compreso dai singoli cittadini ad esclusione di coloro che hanno in mano le sorti del Pianeta, i “grandi della Terra” che, al contrario, si sono dimostrati piccoli e miopi davanti alla grande occasione di modificare il corso della storia in maniera positiva e costruttiva, buttando all’aria anni di studi, finanziati dai governi, e di speranze, che non costano nulla ma aiutano a vivere. E allora, spetterà ai cittadini riprendere in mano speranze e futuro.
*Centro di ricerche giuridiche ed ambientali del Gruppo d’Intervento Giuridico