Moneta statale a circolazione interna
16 Dicembre 2014Gianfranco Sabattini
Di recente, un gruppo di economisti (Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Luciano Gallino, Enrico Grazzini, Stefano Sylos Labini) hanno sottoscritto un appello per sottolineare la necessità che il Paese per uscire dalle “secche della stagnazione” ricorra all’emissione di Certificati di Credito Fiscale (CCF) a circolazione interna, finalizzati al rilancio della domanda finale aggregata del sistema economico.
Per uscire dalla crisi e dai vincoli del debito pubblico, i sottoscrittori dell’appello propongono che lo Stato italiano emetta dei CCF ad utilizzo differito; in questo modo, secondo gli autori dell’appello, lo Stato creerebbe moneta nazionale complementare all’euro e, di conseguenza, nuova capacità di spesa in modo del tutto compatibile con le regole ed i vincoli posti dal sistema dell’euro e delle istituzioni europee e senza peggiorare il livello del debito pubblico,.
Il motivo dell’appello è riconducibile ad una spiegazione della persistenza della stagnazione del sistema-Italia che può dirsi ormai consolidata per i molti critici dell’adozione del sistema della moneta unica europea. A causa della rigidità intrinseche al sistema-euro, i “Paesi virtuosi” (creditori), quali, ad esempio, la Germania e gli altri Paesi integrati nell’area economica tedesca, sostengono l’adozione di politiche depressive per i “Paesi poco virtuosi” (debitori), quali, ad esempio, i famosi “Piigs” (Portogallo, Italia, Irlanda e Spagna) ed altri Paesi tra i quali la Francia. Per garantirsi contro il default dei loro crediti, i primi pretendono che i secondi assumano misure di austerità, riduzioni drastiche della spesa pubblica e del costo del lavoro, nonché tagli del welfare e aumenti delle tasse. Le economie dei Paesi più indebitati e vincolati dalle misure di austerità, persistendo nella loro posizione stagnante, sostengono i sottoscrittori dell’appello, finiscono per trascinarvi anche quelle dei Paesi cosiddetti “virtuosi”. Ciò perché l’euro, invece di spingere verso la convergenza tra i Paesi-membri dell’eurozona, ne aumenta le divaricazioni e i conflitti.
I CCF a utilizzo differito, validi cioè a partire da due anni dopo la loro emissione, dovrebbero essere posti in circolazione gratuitamente a favore di lavoratori dipendenti e autonomi, delle imprese, dei disoccupati e dei pensionati, per pagare qualsiasi tipo di impegno finanziario verso la pubblica amministrazione (tasse statali e locali, contributi, multe, etc.). L’assegnazione dei CCF dovrebbe privilegiare quelle imprese che dovessero impegnarsi ad assumere, in termini netti, dei disoccupati, oppure a realizzare immediatamente opere pubbliche urgenti, ad esempio per il riassetto idrogeologico, il risanamento delle scuole, il disinquinamento dell’ambiente ed altro ancora.
L’immissione dei CCF, secondo le previsioni dei sottoscrittori dell’appello, contrasterebbe l’austerità imposta dall’Unione Europea e risolverebbe il problema della carenza di liquidità della quale soffre il sistema economico, rimediando in tal modo al “credit crunch”, per via del fatto che le banche, sebbene siano state abbondantemente finanziate dalla Banca Centrale Europea, hanno ridotto i crediti all’economia reale, a causa delle sempre più deboli prospettive di quest’ultima, ma anche a causa della propensione ad irrobustire la loro posizione patrimoniale attraverso investimenti in attività finanziarie, per lo più di natura speculativa.
L’appello è stato accolto da molti con scetticismo, per i molti problemi che si prevede possano originare dall’adozione del provvedimento fondato sull’missione dei CCF; le perplessità sono connesse al fatto che gli effetti attesi sono legati in modo fideistico alla speranza che il mercato sia caratterizzato dallo svolgersi in esso di comportamenti virtuosi da parte di tutti i beneficiari; fatto, questo, poco probabile se si pensa che il mercato è caratterizzato da operatori finanziari unicamente interessati ad attività che hanno spesso riflessi negativi sull’economia reale, come insegna quanto è accaduto nelle economie di mercato dopo la crisi dei mercati immobiliari statunitensi.
Inoltre, viene anche criticamente osservato che la proposta di emettere CCF, perché possa avere successo necessita di un’azione politica “forte”, che al presente risulta del tutto impossibile in Italia; ancora, la proposta, non essendo di facile comprensione, dovrebbe essere esplicitata ed illustrata, soprattutto in pro dei lavoratori ed anche della imprese, attraverso un esempio realizzato.
L’unica possibilità che i CCF possano essere finalizzati allo scopo dichiarato è espressa dalla possibilità di poterli utilizzare per finanziare investimenti produttivi; in questo caso, i certificati andrebbero sicuramente ad aumentare la produzione, l’occupazione e i consumi cui si aggiungerebbero gli effetti positivi sulla infrastrutturazione e sul miglioramento della produttività dei fattori della produzione.
Per tutte le ragioni illustrate, sembra perciò che solo quest’ultima forma di “canalizzazione” dei CCF possa essere produttrice di effetti certi affrancati dagli esiti dei liberi mercati dominati prevalentemente da forze finanziarie, che sono del tutto “insensibili” alle esigenze di un rilancio effettivo dell’economia reale.
Da tempo, Carlo D’Adda ha avanzato una proposta che si prefigge di raggiungere gli stessi scolpi di quella dell’appello di Biagio Cassone e compagni. Per D’Adda basterebbe finanziare nuovi investimenti volti a potenziare crescita e competitività del sistema-Italia; poiché lo Stato non possiede i mezzi per finanziare tali investimenti, il governo italiano dovrebbe impegnarsi per fare accogliere a livello europeo la possibilità di calcolare il disavanzo pubblico al netto del valore degli investimenti, connessi all’attuazione di riforme strutturali produttive. La copertura di tali finanziamenti dovrebbe essere assicurata da titoli emessi sul mercato finanziario e rimunerati in funzione del ritorno atteso.
L’accoglimento e l’attuazione della proposta di valutare il disavanzo pubblico al netto degli investimenti pubblici produttivi di un rendimento renderebbero possibile il rilancio della crescita e l’avvio di efficaci politiche attive per l’occupazione, senza continuare ad “opprimere” la domanda interna. Inoltre, la proposta di D’Adda contribuirebbe ad aumentare il grado di fedeltà delle società civili dei Paesi dell’eurozona verso l’Unione Europea, senza il rischio dei possibili effetti di ritorno negativi che potrebbero aversi ove i CCF dell’appello di Cassone e compagni fossero canalizzati anche verso i lavoratori, i disoccupati, i pensionati e le imprese; nelle circostanze attuali, considerando il vento antieuropeo che spira per ogni dove, un aumento del livello di gradimento delle istituzioni europee non sarebbe, almeno in prospettiva, un vantaggio di poco conto.