Monumenti fascisti
1 Agosto 2017Gianfranca Fois
Recentemente sembra diffondersi l’esigenza della posizione da prendere di fronte a certi monumenti della storia appena trascorsa che suscitano sentimenti contrastanti, di rifiuto o di nostalgia e devozione. È un’esigenza presente in diversi paesi, ultimamente la casa natale di Hitler in Austria a Branau am Inn o la casa del fascio a Predappio.
In Austria dopo varie discussioni è stata presa la decisione di non buttar giù la casa di Hitler, come si era pensato in un primo momento, ma di destinarla a sede di un’associazione caritatevole per disabili, quasi una legge del contrappasso se ricordiamo il piano di Hitler per l’eliminazione fisica delle persone con disabilità.
In Italia invece la discussione verte sulla destinazione della casa del fascio di Predappio, nella quale, grazie a fondi del governo e europei, il Comune vorrebbe far nascere un museo del Fascismo. Si è offerto, per questo compito, l’istituto Parri di Bologna ma ancora non sono stati chiariti i contenuti scientifici e culturali del progetto. L’iniziativa ha suscitato un certo dibattito, soprattutto fra storici e studiosi, che però ha visto uno schieramento su due fronti contrapposti, come succede spesso in Italia, anziché un tentativo di affrontare in modo libero il complesso problema che viene posto da questa proposta.
In effetti la decisione del Comune di Predappio pone tutta una serie di problemi difficili e importanti soprattutto in Italia dove pur essendo stati pubblicati numerosi libri sulla storia del fascismo è carente tuttavia una riflessione a più ampio raggio, e che soprattutto coinvolga gli Italiani, sul fascismo come movimento, stato e impero coloniale, sulla sua pervasività nella società italiana, e quindi i rapporti tra il regime e la cultura, la burocrazia, gli strati sociali, l’opinione pubblica. Insomma non abbiamo fatto i conti col fascismo così come li hanno fatti i Tedeschi con il nazionalsocialismo a partire dagli anni 60.
Proprio per questo motivo diverse sono le questioni e i problemi. Ci si chiede ad esempio quali, ai nostri giorni, possano essere le finalità di un museo storico, dal momento che la storia stessa attraversa una crisi profonda, perché stenta ad uscire dal mondo accademico e nella sua forma divulgativa è spesso affidata a non storici, a giornalisti, registi, documentaristi che mettono l’accento più sulla memoria e quindi sull’emotività, che su una rigorosa ricostruzione storica. Risulta perciò estremamente importante, come sostiene lo storico De Luna, che sia chiara, per la creazione del museo, l’ipotesi storiografica con scelte chiare e trasparenti nella documentazione e nel percorso di conoscenza in modo che i visitatori aumentino il loro bagaglio culturale e la capacità di riflessione con percorsi di cittadinanza e consapevolezza.
Le difficoltà risiedono anche nel rischio di considerare il museo come merce, specie se per parte della realizzazione e per il mantenimento, si dovrà ricorrere a fondi privati. È un pericolo reale che ha già infettato musei artistici o monumenti del nostro patrimonio architettonico, per attirare visitatori rigore scientifico e concettuale cedono di fronte alla spettacolarizzazione e alla necessità di incassi. Già questi aspetti renderebbero problematici i tentativi, in sé condivisibili, dell’amministrazione di Predappio di fare in modo che il paese venga sottratto ai pellegrinaggi dei fascisti nostalgici e divenga invece la sede di un’operazione culturale di riflessione e conoscenza del ventennio. In particolar modo, se si tiene presente che la maggioranza degli Italiani ignora che cosa sia stato realmente il fascismo, appaiono evidenti le difficoltà di superare fascinazioni e ricostruzioni quasi mitiche.
Ma il discorso si allarga ulteriormente come ci ricorda S. Levis Sullam che mette in luce diversi aspetti legati al passaggio da monumento, la casa del fascio in questo caso, al documento, base della ricerca storica, al pericolo di ridurre il fascismo a mussolinismo, proprio ora che gli studi privilegiano soprattutto l’indagine sul fascismo legato a esperienze simili europee, alla difficoltà di decostruire uno spazio considerato sacro dagli epigoni del fascismo.
Nello stesso tempo però, come cittadina, mi rendo conto che noi siamo il prodotto di una storia che ha lasciato dietro di sé piccoli e grandi monumenti, segni concreti del suo passaggio, nel bene e nel male, e che non si possono ignorare o demolire queste testimonianze. Ma anzi credo che sia essenziale che noi le conosciamo e riusciamo a inserirle criticamente in una rete diffusa di monumenti, segni, ognuno con la propria particolarità ma uniti da un legame trasparente, monumenti che illuminino il passato e siano di insegnamento per i cittadini di oggi e del futuro.
Dico questo ispirandomi anche all’esperienza dell’Africa che ha trasformato forti, case e magazzini di negrieri, alberi, monumenti in un enorme museo che attraversa gli stati africani per ricordare la tratta degli schiavi, una delle pagine più indegne e vergognose della storia dell’umanità. In questo modo si fanno conoscere oltre all’organizzazione, alla logistica e alla documentazione del commercio degli schiavi, anche i percorsi, la sofferenza sia fisica che psicologica degli Africani catturati dai mercanti e si sensibilizzano i visitatori sulla violenza e sulle schiavitù dei giorni nostri.
Ecco, partendo dalla proposta di costruire un museo a Fossoli, luogo di raccolta degli Ebrei italiani prima di essere inviati ad Auschwitz, proposto da Levis Sullam, sarebbe interessante aprire i luoghi dove il fascismo ha agito per far conoscere ciò che è successo in Italia sotto la dittatura, per richiamare alla memoria quanti dissero No al fascismo, quanti furono perseguitati, imprigionati o deportati o uccisi per le loro idee antifasciste o per la loro religione o origine ma anche quanti, con l’ indifferenza, la cieca e burocratica obbedienza agli ordini, si sono resi complici e quanti sono stati delatori, esecutori e carnefici.
Insomma anche le testimonianze e i monumenti del fascismo, se parte di un progetto più ampio, servono a contribuire a creare condivisione sociale e appartenenza civile fuori da ogni travisamento e mito, il contrario cioè della rincorsa acriticamente identitaria che si sta diffondendo in Italia.