Morire con gli occhi aperti
1 Luglio 2009
Manuela Scroccu
Aveva 26 anni, Neda. E bel nome che significa “suono”. Sappiamo di lei che aveva una laurea all’Islamic Azad University in filosofia e religione, che aveva una bella voce e prendeva lezioni di violino e pianoforte, che lavorava in un’agenzia di viaggi e si era messa in testa di imparare il turco per fare la guida turistica e che aveva messo da parte un po’ di soldi per un viaggio con gli amici a Dubai e poi in Thailandia e Turchia. O almeno, così è scritto sulla pagina di Wikipedia a lei dedicata. Ci sono le foto che ritraggono una bella e giovane donna dallo sguardo luminoso. E’ stato il fidanzato, un fotoreporter iraniano, Caspian Makan, a fornirle ai media internazionali. Non era particolarmente impegnata politicamente, Neda. In questo non era diversa dai suoi coetanei descritti dalla giornalista Azadeh Moaveni in un bel libro di qualche anno fa, tradotto in Italia dall’editrice Pisani, “Lipstick jihad”. Una generazione culturalmente confusa, politicamente statica ed emotivamente provata. La generazione che aveva scelto la filosofia del “come se”. I giovani iraniani si comportavano “come se” fosse permesso tenersi per mano in strada, ascoltare la musica alle feste, mettersi troppo rossetto e esprimere la propria opinione. Fuori obbedienza simulata, dentro frustrazione e ribellione. Per questo i giovani, due terzi della popolazione, dopo la delusione delle mancate riforme promosse da Khatami, disertavano in massa le urne. La speranza del cambiamento, forse dovuta anche alla mano tesa del Presidente americano Obama, li ha riportati al voto, dando ossigeno a quel fuoco che covava da tempo sotto la cappa nera imposta dal Consiglio dei Guardiani. Quella stessa rinnovata passione però ha messo definitivamente in evidenza l’ossimoro iraniano di una repubblica mezza democrazia e mezza teocrazia. Un ossimoro che, se svelato, avrebbe mostrato tutta la sua debolezza al mondo. Chi è al potere, in Iran, l’ha capito ed ha reagito con le armi della repressione più feroce. La frode elettorale che ha regalato la vittoria al presidente uscente Ahmadinejad ha innescato la miccia della protesta. Non sarà più possibile, per gli iraniani, fare “come se”. O riforme o dittatura, questa è la posta in gioco. Per questo la gente è scesa in piazza e ha sfidato i bassiji, le milizie popolari create da Khomeini, e le motociclette dei poliziotti antisommossa di Teheran. Per questo una giovane donna della media borghesia iraniana, con un nome che significa “suono” ma anche “chiamata” o “voce”, è andata a manifestare. Per questo è salita su una Peugeot 206 con il suo amico e insegnante di musica Hamid Panahi, fino a raggiungere Kargar Avenue, a Teheran. Con la sua presenza voleva urlare al governo che il suo voto contava. Guardava la folla Neda e improvvisamente si è accasciata al suolo, gli occhi aperti e uno sguardo disperato e incredulo, non a me, vi prego, non a me, è profondamente ingiusto morire così. La sua testa è stata trapassata dal proiettile di una pistola impugnata da un devoto membro dei Bassiji. Forse non voleva uccidere proprio lei, probabilmente ha colpito nel mucchio. Non conosciamo il nome di chi ha sparato a Neda. Possiamo immaginarlo, pantaloni neri, camicia bianca abbottonata fino al collo e barba incolta. Forse avevano la stessa età. Coetanei in una società che ha trasformato i suoi giovani ora in vittime, pronte a farsi uccidere per la libertà, ora in carnefici in nome dell’ideale di un paese purificato dal’islam. Il sangue, denso e rosso, ha cominciato a ricoprirle il volto e a imbrattare le mani di chi ha cercato di soccorrerla e le gridava “non avere paura, dolce Neda”. Neda Agha-Soltan è stata uccisa il 20 giugno 2009. Io c’ero, milioni di persone c’erano. C’ero perché ho visto. Il mondo ha visto. Un ignoto passante ha ripreso la sua agonia con un telefono cellulare. Il video della sua morte è stato cliccato da milioni di persone su youtube ed è stato postato su Facebook e su Twitter, rimbalzando sulla rete e facendo di questa giovane donna il simbolo della contestazione iraniana. Qualcuno ha raccontato sui blog che i ragazzi hanno già ribattezzato quella strada via Neda e che hanno scritto il nome sui muri delle strade con la vernice spray verde. “Non avere paura/é il frastuono dei fuochi d’artificio, non dei proiettili/é la scintilla di un fuoco/noi siamo in fiamme/noi siamo il fuoco”.Così recitano i primi versi di una poesia, “Stay Neda” (Resta Neda), comparsa su un sito di esuli iraniani. Dice anche “Grazie ai manganelli e agli spari/noi siamo fuoco ardente/Non te ne andare, Neda”. Le sue ultime parole, pronunciate durante il disperato tentativo di portarla all’Ospedale Shariati di Teheran, sono state “I’m Burning”. Sto bruciando.