Nemmeno la pandemia ferma il commercio delle armi

18 Maggio 2021

[Franco Uda]

Il Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) è un istituto internazionale indipendente che si occupa di ‘peace studies’. Conduce ricerche scientifiche in materia di conflitti e cooperazione, di importanza per la pace e la sicurezza internazionale.

Attraverso le sue ricerche il Sipri rende accessibili informazioni imparziali su sviluppo degli armamenti, spese militari, produzione e commercio di armi, controllo degli armamenti e disarmo. La principale delle pubblicazioni dell’Istituto è il “Sipri Yearbook”, un rapporto annuale dei principali avvenimenti e statistiche in tema di sicurezza internazionale e armamenti.

Nell’ultimo rapporto, che prende in esame il quinquennio 2016-20, emerge in maniera nettissima che il commercio delle armi non conosce crisi, neanche durante una pandemia. Si alimenta perlopiù delle esportazioni, dal momento che il materiale bellico proviene in gran parte da industrie con base in Paesi “di pace”, sostanzialmente liberi da conflitti militari sul proprio territorio. Paesi ai quali, per fare profitti, servono guerre in corso da qualche altra parte, o almeno arsenali pronti a combatterle.

Nel complesso i volumi di scambi internazionali nel settore delle armi non hanno subito modifiche rispetto al precedente quinquennio: il considerevole aumento delle forniture richieste da tre dei cinque maggiori esportatori di armi (Usa, Francia e Germania) è stato in larga misura compensato dalla contrazione delle esportazioni cinesi e russe di armamenti. Per la prima volta, dopo l’intervallo 2001-05, il volume delle vendite delle principali tipologie di armamenti non è aumentato. Tuttavia la portata degli scambi in questo mercato rimane prossima ai massimi valori registrati dal termine della Guerra fredda.

Gli Stati Uniti continuano ad essere il principale esportatore di armi al mondo, con una quota pari a un terzo del totale, aumentata nell’ultimo periodo dal 32% al 37%. Circa la metà di queste forniture è destinata ai Paesi del Medio Oriente, primo fra tutti l’Arabia Saudita. Le esportazioni statunitensi hanno registrato una crescita del 15%, il che ha ampliato ulteriormente il divario tra gli Usa e la Russia, le cui esportazioni hanno registrato una contrazione del 18%.

Il terzo fornitore al mondo è la Francia, che ha incrementato le esportazioni del 44%, aggiudicandosi l’8,2% degli scambi di settore a livello globale. La Germania rimane salda al quarto posto, avendo aumentato le esportazioni di armi del 21%, e rappresenta il 5,5% degli scambi totali. A chiudere la cinquina troviamo la Cina, con un volume di vendite in calo del 7,8%, ma comunque pari al 5,2% degli scambi totali.

L’Italia è al decimo posto, vende soprattutto aerei militari e navi: ha esportato il 2,2% del totale delle armi vendute, ma rispetto al 2011-15 le sue esportazioni sono diminuite del 22%. I Paesi che hanno ricevuto le maggiori quote sono stati Turchia, Egitto e Pakistan. Per ciò che riguarda le importazioni, l’Italia è al 19° posto, un dato in aumento rispetto al 2011-15, e acquista maggiormente da Usa, Germania e Israele.

In generale la maggior parte degli armamenti viene esportata verso il Medio Oriente: la quota delle importazioni è cresciuta del 25% rispetto al precedente lustro, e riflette la dinamica concorrenziale strategica che caratterizza la regione del Golfo Persico. L’Egitto ha aumentato gli acquisti del 136% nell’ultimo decennio. Le importazioni turche di armi nel 2011-20 hanno invece registrato una contrazione del 59%.

Ma le armi esportate dai vari Paesi finiscono davvero nelle mani di chi firma i contratti di acquisto? Uno dei fenomeni che talvolta si verifica è la cosiddetta “diversion”, cioè succede che queste passino di mano illegalmente dopo la prima consegna, entrando quindi nella disponibilità incontrollata di circuiti e destinatari sconosciuti, spesso anche in violazione di misure di embargo sulle armi decise dall’Onu. Mancano dati certi ampi, aggregati e globali, o stime sulle dimensioni del fenomeno delle deviazioni; né ci sono valutazioni adeguate sull’efficacia delle ispezioni fisiche in loco nel prevenire la deviazione. Inoltre c’è il tema dei materiali “dual use”: pezzi e componenti che possono contribuire alla costruzione di manufatti per scopi civili ma anche per scopi militari, una vasta gamma di prodotti la cui esportazione è vigilata in Europa da una legislazione comune.

[Da sinistrasindacale.it]

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