Ritornare alla Costituzione
1 Novembre 2007Andrea Pubusa
Al di là di ogni più rosea previsione, la cittadinanza attiva, quella che partecipa e fa opinione, quella che conta anche giuridicamente in questi referendum confermativi, ha detto nettamente No alla Legge Statutaria (68% contro 32%). La cittadinanza attiva non è d’accordo su una forma di governo regionale iperpresidenzialista, disapprova un presidenzialismo privo di contrappesi. Vuole un ruolo più incisivo del Consiglio regionale e dei cittadini. Non vuole un uomo solo al comando.
In fondo, nulla di nuovo rispetto al voto del giugno del 2006 contro la legge costituzionale di Berlusconi. Anche allora, in un referendum confermativo, i sardi (e gli italiani) hanno detto no ad una proposta volta a dare al Capo dell’esecutivo un potere non adeguatamente bilanciato dal Parlamento e non temperato dal ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica. Ora si tratta di fare un passo avanti, tornando con questa ispirazione, sulla Legge Statutaria in modo da farne un’altra, e ancor prima sullo Statuto speciale, che non solo giuridicamente, ma anche logicamente sta prima di ogni altra legge regionale. Per questo il Comitato per il NO si trasforma in Comitato per lo Statuto. Per passare alla fase propositiva, alla battaglia per una nuova Legge fondamentale della Sardegna e per la riforma delle nostre istituzioni. Una riforma vera, discussa, partecipata e condivisa..
Che fare, dunque? Una indicazione positiva viene dalla Commissione costituzionale della Camera dei deputati. Dopo vent’anni di leggi e proposte elettorali eversive della Carta repubblicana (liste bloccate dei candidati, listini, presidenzialismo estremizzato regionale etc.), ecco nei giorni scorsi un testo che, invece, ne rappresenta uno sviluppo e un aggiornamento. Un’opera di “manutenzione” della Costituzione doverosa perché incide su meccanismi ormai superati e logorati. E’ il caso del bicameralismo perfetto. Ad onor del vero la sinistra anche in Assemblea costituente preferiva il monocameralismo, ma oggi è giusto fare un passo in avanti verso un bicameralismo in cui il Senato sia espressione delle Regioni. Forse il termine federale assegnato a questo ramo del Parlamento è improprio e certamente richiede ulteriore riflessione, ma la strada imboccata è incoraggiante. Non mi sfuggono alcune critiche al modello formulate anche da alcuni giovani costituzionalisti cagliaritani sulla base di esperienze non entusiasmanti di altri ordinamenti, ma si deve andare avanti. Ecco, dunque, un primo corposo capitolo di una discussione di merito: la Camera federale (o delle regioni?). Certamente è da approvare la riduzione dei componenti della seconda Camera da 315 a 186. Da discutere è invece la modalità di elezione: dai Consigli regionali con voto limitato al proprio interno, dai Consigli delle autonomie locali, tra i consiglieri comunali, provinciali e delle Città metropolitane tenendo conto della rispettiva popolazione. A questa Camera federale spetta la funzione legislativa solo in alcune materie: revisione costituzionale, leggi elettorali, organi di governo e funzioni fondamentali dei Comuni, Province, Città metropolitane, funzioni statali rilevanti per le Regioni, tutela delle minoranze linguistiche, autorità garanti. Nessuna funzione, dunque, d’indirizzo politico né sulla fiducia al governo. E poi ancora potestà legislativa su tutte le relazioni, legislative, amministrative e finanziarie, fra Stato, regioni e Autonomie locali. Insomma, non è forse il miglior progetto, ma si muove in un ambito accettabile, in cui il dibattito può correggere e migliorare. La Camera dei deputati invece mantiene le sue attuali prerogative e viene ridotta a 500 componenti contro i 630 attuali. Ed anche questa revisione è positiva.
Ma la parte più importante della proposta è quella attinente alla forma di governo. Spazzata via ogni ipotesi autocratica della Legge Berlusconi, si lavora su una forma dichiaratamente parlamentare, nel rispetto del voto referendario del 25-26 giugno 2006. Il Presidente della Repubblica continua a nominare il Presidente del Consiglio dei Ministri sulla base del risultato elettorale. E’ invece il Presidente del Consiglio a chiedere entro dieci giorni la fiducia della Camera dei deputati. Egli viene così rafforzato nei confronti dei Ministri, che vengono da lui designati e nominati dal Presidente della Repubblica. Chissà, forse è un rinforzo illusorio in un sistema di coalizione, in cui i ministri sono espressione dei partiti. Non è illusorio, invece, il rinforzo dell’esecutivo nella disciplina della fiducia, che viene accordata a maggioranza semplice, mentre la sfiducia richiede la maggioranza assoluta e la richiesta da parte di un terzo dei deputati. Si tratta di un’asimmetria fra fiducia e sfiducia discutibile e tutto sommato di incerta utilità; per cui è decisamente meglio introdurre la sfiducia costruttiva, che ha già dato buona prova nell’ordinamento tedesco. Concordo coi costituzionalisti che dicono che, sotto questo profilo, questa è una occasione da non perdere, uno strumento sperimentato a garanzia della governabilità, senza stravolgimenti.
Ecco, in estrema sintesi, le linee della revisione in discussione alla Camera dei deputati. Si può criticare e migliorare, ma su un punto dobbiamo concordare: è un ritorno alla ragionevolezza, alla volontà espressa dagli italiani nel giugno 2006. E’ un ritorno alla Costituzione antifascista del 1948. E’ una inversione di tendenza rispetto a quello che Gramsci chiamava “il sovversivismo dall’alto”, che si è manifestato in questi anni a livello nazionale (legge di revisione e legge elettorale Berlusconi), regionale (modifica del titolo V sulla forma di governo nella revisione del centrosinistra nel 1999), comunale (elezione diretta dei sindaci) e, in Sardegna, con la Legge statutaria. Ecco il punto. Urgente. Indifferibile. A sinistra bisogna riaprire la discussione, dev’essere un tema centrale nella costruzione della “cosa rossa” isolana e non solo. Di più: occorre rimescolare le carte fra le forze democratiche, fra i cittadini di buona volontà, dopo la divisione cui ci ha condotto l’anacronistica e perentoria pretesa monocratica di Soru. Con lo spirito del giugno 2006 ne discuterà certamente il Comitato per lo Statuto. Dobbiamo parlarne anche nel Manifestosardo, a sinistra e oltre. Senza paletti, dando prevalenza all’ascolto. Con una sola pregiudiziale: per riformare in senso democratico le nostre istituzioni torniamo alla Costituzione antifascista!
1 Novembre 2007 alle 16:48
“cittadinanza attiva” (?)
“giovani costituzionalisti cagliaritani ” (?);
presente e passato, conservatori e progressisti
fantasisti e terzini, capitani e gregari,
professori e studenti.
ecco, ogni ulteriore commento è superfluo
grazie prof. Pubusa!
Enrico demontis
3 Novembre 2007 alle 15:23
Una riforma vera, discussa, partecipata e condivisa..
Come il referendum sulla statutaria, veramente sentito, discusso con l’urgenza di un appuntamento ineludibile. Sui posti di lavoro, nelle code al supermercato, all’ora dell’aperitivo, nei pasti consumati in famiglia. Questa è l’emergenza, ciò di cui i lavoratori, i cittadini, sentiamo più forte il bisogno. Non altro. “La cittadinanza attiva, quella che partecipa e fa opinione.”
Ê meglio chiarire di chi e a chi si sta parlando. Soprattutto quando il tema in discussione è chiaro a pochi, verrebbe da dire a una minoranza se i numeri del referendum moltitudinario e la mobilitazione massiva che l’ha accompagnato non fossero lì a smentirci. Da Decimoputzu a Fiumesanto, dal Sulcis alla Gallura, dai residenti ai migranti, la Sardegna ha una voce sola: “Riforme, ci vogliono, riforme”. O no?